2022-07-20
Letta in pellegrinaggio dal premier. Il campo largo non è ancora morto
Il segretario del Pd torna da Supermario per farlo restare e fa arrabbiare la destra. Mentre Simona Malpezzi svela le carte: «Vogliamo evitare le elezioni». L’illusione è quella di ricostruire l’asse con il leader pentastellato.C’è chi rivisita la torta Pasqualina e chi rispolvera le convergenze parallele. Dopo i giorni del tormento Enrico Letta ha preso a prestito l’onirica strategia di Aldo Moro per provare a tenere insieme governo, partito ed elezioni. «Vogliamo tutto, occhio a non rimanere con un pugno di mosche in mano», lo hanno redarguito gli ex renziani di Base riformista al coordinamento nazionale. Ma lui non può rinunciare a nulla: né a Mario Draghi oggi, né a Giuseppe Conte e quel che resta della sua armata Brancaleone domani, né al sogno del campo largo per «battere le destre» dopodomani.Ossessionato dalle elezioni come un vampiro dall’aglio, il segretario ha lavorato per cinque giorni alla riconferma del premier e arriva al mercoledì da leoni con una certezza: di più non si poteva fare. Da leader del Pds - nessun refuso, è il Partito di Sergio (Mattarella) - ha seguito le indicazione del Colle in tutto e per tutto: stringere le fila e chiamare a raccolta i «responsabili» attorno all’unica parola chiave: continuità. Di suo si è inventato un paio di giochi da circo Medrano che alla sinistra riescono sempre: le manifestazioni «spintanee» nelle piazze semideserte (poche foto sui giornali a conferma che al di là di quattro attivisti non c’era nessuno) e le firme dei sindaci, arrivate a 1.600 su oltre 8000 Comuni italiani. Con una curiosità: i firmatari sono quasi tutti in Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Puglia dove il Pd guida l’orchestra. In realtà il più grande spettacolo dopo il Big Bang ha un unico, minimo, utilitaristico scopo e lo spiattella la presidente dei senatori, Simona Malpezzi, in tv: «L’obiettivo è evitare che il Paese vada alle elezioni adesso».Pur di irritare l’intero centrodestra di governo, ieri mattina Letta si è presentato a Palazzo Chigi (la seconda volta in una settimana) per un incontro di un’ora. Per ribadire a Draghi la supplica di restare, per promettere che non toglierà dal cilindro altre provocazioni dopo Ius scholae e cannabis libera. Nessuna dichiarazione, trapela solo che «non è il momento dell’ improntitudine, serve serietà». Verso sera, a un convegno sul destino dell’automotive, il segretario aggiunge: «Se c’è una cosa positiva avvenuta negli ultimi giorni è la ripresa di centralità del dialogo sociale fra governo, parti sociali e Parlamento. Il governo di unità nazionale è un’occasione per tanti settori che, come la giustizia, hanno fatto passi avanti insperati. Non vorrei che si perdesse questa opportunità». Puro politichese. In realtà al Pd del destino di Draghi importa il giusto; ciò che conta è evitare lo scioglimento delle Camere per avere il tempo di ricucire con Conte e di rimettere insieme l’esercito pentastellato in rotta, con la consapevolezza che Beppe Grillo alla fine avrà mille motivi per dare una mano al magico mondo dem, politico e mediatico e giudiziario. Anche l’appello alla continuità risulta raffermo. Oggi è indispensabile il governo Draghi come un anno e mezzo fa lo era il governo Conte, così imprescindibile che il Pd aveva prestato a parametro zero (ma con diritto di riscatto) la senatrice Tatjana Rojc pur di non farlo cadere. L’operazione «convergenze parallele» ha il plauso dell’ala sinistra del partito, lo ha ribadito Nicola Zingaretti: «Avanti con questo governo, ma per farlo non servono tifosi o anatemi, servono persone che aiutino a unire. Questo è il ruolo che si è ritagliato Letta e ha fatto molto bene». Il riavvicinamento nel nome del Quirinale non deve illudere, parte del Pd è infastidito dalla porta ancora aperta ai grillini. È il governatore Stefano Bonaccini a dire ciò che in molti pensano: «Se Conte crede di tornare su posizioni estremiste e populiste facendo saltare il governo non vedo possibilità di convergenza. In ogni caso qualsiasi alleanza non va fatta a tavolino ma condividendo i programmi». Anche Giorgio Gori mette i paletti: «Con chi si prende la responsabilità di non votare la fiducia facendo concludere la legislatura non c’è nessun accordo possibile. Noi siamo perché il governo vada avanti, mantenga gli impegni e rafforzi la coesione europea. Non è pensabile un’alleanza con chi va nella direzione opposta».Così il Pd si sveglia, forse si ritrova Draghi a Palazzo Chigi ma di sicuro vede riaperta totalmente la partita del campo largo. In molti al Nazareno hanno un motivo in più per prendere le distanze da Conte e avvicinarsi ai centrini liberal (Matteo Renzi e Carlo Calenda). Le convergenze parallele oggi non funzionano, forse torneranno di moda domani davanti a sondaggi preoccupanti. Oggi c’è da salvare il soldato Mario per ordine superiore del Quirinale e ogni argomento è buono. Graziano Delrio su Twitter prova con l’allarme sociale: «O rimane questo premier oppure i poveri pagheranno la crisi». Il risultato è una shitstorm nei confronti del partito che ha tirato a campare al governo per dieci degli ultimi undici anni. E vuole fortemente continuare a farlo.