2023-02-15
«Al Pd più voti delle ultime elezioni». La bufala di Letta smentita dai dati
Il segretario dem nel pallone si aggrappa alle fake news e inventa un miglioramento dei risultati inesistente. In verità sia i candidati governatori che il partito hanno peggiorato lo score del 2018 e delle politiche del 2022.Ai tempi della mitica schedina del Totocalcio, «fare tredici» non era certamente facile: ma - se possibile - «fare zero» era ancora più difficile, e richiedeva un talento e una competenza speciali. Sbagliare tutti i pronostici, non azzeccarne nemmeno uno, era davvero una cosa prodigiosa.Questo «miracolo» è riuscito a Enrico Letta, un autentico Re Mida al contrario, uno che trasforma in cenere tutto ciò che tocca (oro compreso). Sarà merito degli anni parigini, o forse lo scambio costante con i cervelli migliori di Sciences Po: sta di fatto che il segretario uscente del Pd è riuscito a non fare mai la cosa giusta. Nemmeno per sbaglio. Appena arrivato, ha inchiodato il partito a battaglie totalmente sconnesse dai sentimenti della gran parte degli italiani (aumento della tassa di successione, ius soli, voto ai sedicenni). Poi ha partecipato allo scombiccherato tentativo di «fascistizzazione» di Giorgia Meloni, venendone schiantato alle politiche. In quell’occasione, prima predicò l’esigenza di un «campo largo» e poi riuscì nell’impresa di non allearsi né con i grillini né con i centristi. Dopo di che, invece, alla vigilia delle regionali, ha inaugurato lo schema dell’alleanza schizofrenica: nel Lazio con i 5 stelle, in Lombardia con Calenda-Renzi. Risultato? Una doppia Caporetto. E l’altra sera - come questo giornale ha raccontato ieri - ha perfino dato la sensazione, mentre camminava sulle macerie fumanti, di festeggiare il fatto che il Pd non fosse stato scavalcato dagli altri competitor di opposizione, ridotti ancora peggio.Evidentemente non bastandogli tutto questo, Letta si è prodotto in un estremo colpo da prestigiatore pasticcione, sparando cifre a vanvera che sono state impallinate prima sui social e poi dai mitici fact-checker. Un classico caso di nemesi: i «competenti» e i «progressisti» amano invocare la verifica, il fact-checking appunto, a proposito delle affermazioni dei loro arcinemici. Ma stavolta a essere sbugiardato e ridicolizzato è stato proprio l’uomo di Sciences Po. Ci ha pensato, con precisione chirurgica, il sito Pagella politica. I fatti, intanto: secondo Letta, i candidati del Pd, pur battuti, avrebbero preso «più voti» sia rispetto alle regionali del 2018 sia rispetto alle politiche del 25 settembre scorso. Ma quelli di Pagella politica, impietosi, hanno sparato il verdetto: «Abbiamo verificato che cosa dicono i numeri e Letta sbaglia».Vediamo subito perché. In Lombardia Pierfrancesco Majorino ha raccolto 1,1 milioni di voti, il 33,9% circa. Chiosa Pagella politica: «Alle elezioni regionali del 4 marzo 2018 il candidato del Pd Giorgio Gori, oggi sindaco di Bergamo, aveva preso il 29,1%, ma con un milione e 633.000 voti: oltre 500.000 in più rispetto a Majorino». Prima sberla. Passando alle liste, «nel 2018 quella del Pd ha ottenuto poco più di un milione di voti, quasi 400.000 in più rispetto ai circa 630.000 voti presi dalla lista del Pd il 12 e 13 febbraio. Nonostante i molti voti presi in meno, in termini percentuali c’è stata una crescita della lista, passata dal 19,2% al 21,8%». Dunque, se si guardano le cifre assolute, un altro sdeng. Né va meglio il confronto con le politiche di settembre. Scrive Pagella politica: «In quella data la lista del Pd ha ottenuto circa 962.000 voti nelle quattro circoscrizioni della Lombardia alla Camera e circa 972.000 al Senato, oltre 300.000 voti in più rispetto a quelli presi alle regionali del 12 e 13 febbraio».E nel Lazio? Stessa musica. «Alessio D’Amato […] ha preso 581.000 voti, il 33,5%. A marzo 2018 Nicola Zingaretti aveva preso oltre un milione di voti (quasi il doppio di D’Amato)». E ancora: «La singola lista del Pd ha raccolto 313.000 voti, il 20,2%. Nel 2018 erano stati quasi 540.000, con il 21,2% sul totale, due dati entrambi più alti». Confronto con le politiche? Male anche in questo caso: «In quell’occasione la lista del Pd ha raccolto circa 496.000 voti al Senato e circa 523.000 voti nelle due circoscrizioni alla Camera». La conclusione di Pagella politica è inequivocabile: «I numeri danno torto al segretario uscente del Pd. In Lombardia Majorino ha preso oltre 500.000 voti in meno di Gori nel 2018, anche se con una percentuale più alta. Le liste del Pd hanno perso voti sia rispetto alle ultime regionali sia rispetto alle politiche del 2022. Discorso analogo per il Lazio. D’Amato ha preso oltre 400.000 voti in meno rispetto al vincitore Zingaretti nel 2018, sebbene con una percentuale un po’ più alta. La lista del Pd ha perso più di 200.000 voti, scendendo anche di percentuale». E dopo questa compilation di schiaffoni, della tesi lettiana di lunedì sera non resta nulla. Quanto al dibattito di giornata, secondo Goffredo Bettini (che ha parlato su La7) «è fallito il doppio assalto al Pd da parte del M5S e del Terzo polo». Stessa tesi da parte di Debora Serracchiani sul Corsera: «Il Pd c’è, teniamocelo stretto. Chi pensava di crescere sulle sconfitte del Pd deve ricredersi perché è uscito da queste elezioni fortemente ridimensionato». Quanto ai principali contendenti per la segreteria, secondo Stefano Bonaccini (sentito da La7), «serve un cambio di fase: bisogna chiudere un capitolo e aprirne un altro, serve un nuovo gruppo dirigente che rigeneri il partito». Mentre Zingaretti conferma il suo sostegno a Elly Schlein parlando al Foglio: «Serve uno choc, serve la Schlein, l’unica che può rispondere a una domanda di rinnovamento». Intanto, pare in bilico perfino la definizione di «partito-Ztl»: a Roma-centro il Pd non è più prima lista, essendo stato scavalcato pure lì da Fdi.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)