2024-06-22
Letta e Mes, le armi di ricatto di Bruxelles
Enrico Letta (Imagoeconomica)
Per fare pressioni su Giorgia Meloni circa le nomine, agitano lo spettro dell’ex premier presidente del Consiglio europeo «in quota Italia». Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini sul fondo: «Una follia, non lo voteremo mai».Il 3 luglio del 2019 David Sassoli viene eletto presidente del Parlamento. Il suo nome spunta quasi dal nulla grazie ai fuochi incrociati contro l’allora leader dei socialdemocratici, il bulgaro Sergej Stanislev. Al primo scrutinio il politico italiano che ci ha lasciato anzi tempo a causa di un male incurabile, prende 325 voti. Al secondo 345. Poco prima a Bruxelles si era consumato l’appoggio esterno dei 5 stelle al Ppe garantendo nei fatti il nome di Ursula von der Leyen. La maggioranza di governo in quel momento, luglio 2019, era però ancora giallo blu. Metà 5 stelle e metà Lega. Solo nel settembre successivo e dopo l’uscita di Matteo Salvini l’esecutivo di Giuseppe Conte avrebbe virato verso il colore giallorosso. Significa che cinque anni fa i socialisti hanno fregato l’Italia dando al nostro Paese una figura di primo piano (la presidenza del Parlamento) con la certezza di non favorire né Roma né il governo in carica. Un semplice esempio di quanto ciclicamente si può ripetere. Non sappiamo se avverrà né come. Ma siamo certi che le possibilità sono elevate. Notizie di cronaca segnalano che l’altro giorno Enrico Letta, il più francese degli italiani (dopo Sandro Gozi) si sarebbe dimesso dal suo incarico al prestigioso ateneo di SciencePo. Scelta ben ponderata visto che per alcuni mesi è stato persino in corsa per dirigere l’istituto. Scelta ben valutata visto che l’ex segretario del Pd potrebbe diventare, come lo fu Sassoli nel 2019, l’italiano da mettere in un ruolo chiave con la certezza che non remerebbe mai a favore del governo italiano. Certamente di questo. Vecchi metodi e nuovi pericoli. La Repubblica ieri indicava la possibilità che Letta potesse ricevere incarico per il Consiglio Ue o, in seconda istanza, quale inviato Ue per il Medioriente. Non facile, ma possibile visto che il gruppo dei socialisti sa muoversi benissimo dentro l’Aula ma anche dentro lungo i corridoi come abbiamo già scritto su queste colonne. D’altronde la notizia delle dimissioni e del possibile incarico in Ue esce con un certo tempismo. Lo stesso che ha spinto l’altro ieri il numero uno del Mes, il meccanismoeuropeo di stabilità, a intervenire con nuove pressioni sull’Italia. «Quando parliamo della revisione degli strumenti finanziari a disposizione del Mes intendiamo che ovviamente ci sarà un’opportunità per sentire dall’Italia che cosa intendono fare dopo. Ora che le elezioni europee hanno avuto luogo, tocca al ministro Giorgetti, noi siamo in modalità di ascolto, e speriamo che questa relazione su come rendere il Mes adatto agli scopi», ha detto il direttore generale Pierre Gramegna , «incoraggerà l’Italia ad avere un’attitudine positiva». Il solito gioco delle pressioni nonostante i chiari pronunciamenti del Parlamento di Roma. Tanto chiari che ieri Giorgetti ha detto due cose. Prima. «È sangue sulle nostre ferite, la discussione sulla riforma del Mes appena abbozzata ha incontrato molte resistenze da quasi tutti i Paesi, specialmente quelli nordici», ha spiegato il ministro, ribadendo che «a breve è impossibile» che il Mes venga ratificato, mentre «a lungo dipende se cambia natura, se migliora, come abbiamo sempre chiesto noi. È evidente che se chiedono prima la ratifica» come condizione di una successiva modifica «diventa impraticabile, è una discussione su cui siamo ormai da qualche tempo», ha ribadito Giorgetti, spiegando che «dalla discussione di ieri non mi sembra» che ci sia un impegno «in direzione della modifica». Per poi chiarire il secondo aspetto. «Di nuovo c’è che per la prima volta Gramegna ha fatto delle riflessioni, recependo anche le critiche che abbiamo sempre fatto per cercare di cambiarlo e portarlo verso un utilizzo tipo un fondo sovrano europeo, per esempio in tema di Difesa, evitando che i singoli Stati nazionali si debbano indebitare o spendere a livello nazionale», ha concluso Giorgetti tagliando la testa al toro. Se non bastasse ieri pomeriggio è intervenuto anche Salvini. «Altra follia Ue, se lo approvino loro», ha detto ribadendo vecchi concetti. Vecchi quanto lo sono i costanti pizzini che sherpa o rappresentanti Bruxelles periodicamente inviano a Sud verso Roma. Opinione personale, se il Mes diventa un fondo sovrano diventa un tema interessante e in ogni caso prima non avrebbe senso senza mettere la questione sul piatto dell’Unione bancaria. Altrimenti si costruisce un meccanismo senza vasi comunicanti. Tema che non sfugge nemmeno a Bruxelles, il che inevitabilmente ci porta ad dover analizzare le coincidenze temporali. Da un lato si torna a insistere per l’approvazione del Mes e dall’altro si ricorda all’Italia che Enrico Letta potrebbe diventare il candidato italiano di peso. Peccato che verrebbe votato da francesi e socialisti. Nè dagli italiani né dal centrodestra che è la colazione più votate alle politiche e alle Europee. È chiaro che sarebbe uno sfregio che qualunque governo vorrebbe votare. Saremo maliziosi, ma qui ci vediamo il ricattino. «Non vuoi Letta prendi il Mes». Stiamo ovviamente semplificando, ma spesso sia la vita che la politica sono semplici esercizi di forza. E le nomine per la Commissione e dei commissari sono per definizione un esercizio di forza. Speriamo che l’Italia prosegua con il metodo che sembra aver avviato: mantenere la barra sui temi e sui programmi. Industria e Ambiente sarebbe puntare in alto ma significherebbe coinvolgere le alleanze su basi stabili per il futuro della legislatura.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)