2021-06-23
Letta si busca l’ennesimo ceffone. E il Nazareno medita il colpo di grazia
Enrico Letta (Getty Images)
L'ex premier prende solo abbagli: gelato da Mario Draghi sulla patrimoniale, ora gli tocca la lavata di capo vaticana, dopo che aveva blindato la legge anti omofobia. Ormai gli stessi dem (elettori e dirigenti) non gli danno più retta.«Ha scambiato il suo ombelico per il centro del mondo». La critica più feroce arriva dal Nazareno, dove i vecchi marpioni osservano il disfacimento di Enrico Letta sotto la calura di fine giugno. I temporali non portano refrigerio a Sottiletta (così lo chiama Dagospia), servono solo ad aumentare l'elettricità nell'aria. Arrivato da Parigi il 14 marzo, il nuovo segretario del Pd ha trascorso i primi 100 giorni da incubo: fin qui, in politica, le ha sbagliate tutte. Candidati di genere, ius soli, voto ai sedicenni, «Via Salvini dal governo», patrimoniale di successione, Nazionale degli inginocchiati e ddl Zan; mai una gioia.Al rientro in Italia dopo sette anni, gli amici gli consigliano prudenza: «Qui bisogna essere bravi nello slalom speciale». Risultato, finora ha centrato in pieno tutte le porte e sta arrivando al traguardo come un cartone animato, sopraffatto dai paletti. Nessuno aveva fatto peggio di lui, neppure Achille Occhetto nel 1994 con la cravatta color vinaccia da Comitato centrale al confronto tv contro Silvio Berlusconi. Eppure Letta sembrava un genio negli affari politici, aveva insegnato per anni a Sciences-Po (dopo il suo passaggio ribattezzata Incosciences-Po) e imparato a memoria gli aforismi economici di Jacques Attali. Tutto inutile, ad abbatterlo come gli orsi al luna park è arrivato addirittura papa Francesco, con quella nota formale in cui si sottolinea che «il ddl Zan viola il Concordato». Quindi è incostituzionale e costringe il neosegretario piddino, che lo aveva fortemente sponsorizzato, ad abbozzare: «Sosteniamo la legge ma siamo pronti a dialogare». Dovrà decidere se inginocchiarsi davanti a Fedez o a Bergoglio. La faccenda del ginocchio non è casuale. Neppure 48 ore fa l'onnipresente Letta va al circolo dem intitolato in vita a Lilli Gruber per dire la sua sulla Nazionale di calcio. Da milanista di ferro ne ha facoltà, ma preferisce soffermarsi sul gesto simbolo del Black lives matter: «Avrei voluto vedere inginocchiati tutti gli atleti azzurri, alcuni non lo hanno fatto. Una scena pessima, spero che prossimamente lo facciano». Un tentativo maldestro di forzare la libera coscienza individuale di chi ritiene che il razzismo si combatta meglio stando in piedi. Sul tema l'Uefa non impone nulla e il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, conferma: «Poniamo in essere ogni attività contro tutte le forme di razzismo ma lasciamo liberi i nostri ragazzi». Una lezione di stile al segretario, non tutti gli azzurri sono Sardine.Quando fuggì in Francia qualcuno deve avergli detto: «Sei poco brillante e troppo noioso». Così, appena insediato, Letta decide di sparare fuochi d'artificio da festa dell'Unità. Comincia con la battaglia di genere: «Candidati e capigruppo Pd devono essere donne». Poi cambia solo gli ex renziani per ripicca e a Bologna lancia anatemi contro Isabella Conti che non è in linea con il partito. È in arrivo la prima boutade con disfatta incorporata. «Ci sono tanti giovani che non hanno un colore della pelle ariano ma parlano livornese e altri dialetti. Ius soli subito, sarà un impegno anche per me», afferma. Poiché gli sembra poco aggiunge di volere anche il voto ai sedicenni. Mario Draghi lo ascolta ed elenca le priorità del Paese: vaccinazioni, riaperture e Recovery plan. Letta incassa e passa oltre, allarmato da un sondaggio interno: sette elettori del Pd su dieci non ritengono prioritari i suoi temi. Non gli va meglio in aprile con la guerra di posizione contro la Lega. «Matteo Salvini esca da questo governo, il suo stile non ci piace», tuona per enfatizzare il fastidio davanti alle richieste del centrodestra di mettere all'angolo il ministro Roberto Speranza. Il leader leghista lo gela: «Non ci penso neanche, sono soddisfatto, stiamo lavorando per il bene dell'Italia». E Draghi in privato lo richiama all'ordine una prima volta. Oscurato dal carisma del premier nel governo e costretto a fare la ballerina di fila sui temi chiave, a maggio estrae il coniglio dal cilindro: «Bisogna aumentare la tassa di successione per aiutare i giovani. Non capisco perché i ricchi italiani non debbano pagarla. La faremo inserire nella riforma del fisco». Le truppe cammellate degli economisti di partito lanciano l'offensiva sui social, dimenticandosi che l'Italia è già uno dei Paesi più tassati del mondo. È ancora Draghi a spegnere gli entusiasmi post keynesiani: «Non è il momento di prendere i soldi ai cittadini ma di darli». Letta si inabissa come un U-Boot affondato.Il segretario parla e il mondo fa il contrario. Anche al Nazareno, e questo è grave. Lo dimostra il caso Roberto Gualtieri. L'ex ministro, vicino al Gran Visir piddino di Roma Goffredo Bettini, viene lanciato da quest'ultimo come candidato sindaco a Roma. Letta, sbarcato da qualche ora a Fiumicino con in testa l'idea fissa di far correre Nicola Zingaretti, ci rimane male. Pulisce gli occhiali appannati e tossisce: «È troppo presto per parlarne, non ho ancora deciso niente». Un mese dopo deciderà, guardacaso, di candidare Gualtieri. Non gli va meglio con il Movimento 5 stelle. Fa trapelare la notizia: «Date tempo a Giuseppe Conte, farà ritirare la Raggi». Virginia Raggi rimane la candidata grillina.Renzi, Salvini, due volte Draghi, Bettini, Conte e adesso papa Francesco: la collezione di schiaffi è omerica. In un amen quello che fu il flaneur del governo più breve del secolo è diventato un formidabile gaffeur. Tutti ricordano con nostalgia quando il tenero Enrico si limitava a cambiare i nomi delle tasse a ogni Consiglio dei ministri: Imu, Iuc, Tari, Tarsu, Tasi, Trise, Tares. Allora era molesto ma innocuo.