L’esperto di Toninelli davanti al pm: «Ho detto soltanto delle cazzate»
- Gaetano Francesco Intrieri, l'uomo per cui parte del M5s sta facendo le barricate, è stato condannato per bancarotta. Nella vicenda massoneria, banche svizzere e documenti falsi. In un interrogatorio ammise di aver mentito.
- Le Fiamme gialle acquisiscono computer e cellulari al Politecnico, cui fu richiesto uno studio sul ponte Morandi. A Genova aprono scuole e Salone Nautico: è allarme traffico.
Lo speciale contiene due articoli.
Si è vantato di essere l'uomo che ha scoperchiato le magagne dell'Air force Renzi. Ma viste le bugie che ha raccontato e sta raccontando a magistrati, giornalisti e politici (nel M5s c'è chi fa le barricate per lui) viene il dubbio che non sia tutto oro quello che denuncia. Stiamo parlando del professor Gaetano Francesco Intrieri, l'esperto scelto dal ministro Danilo Toninelli per la struttura di missione del dicastero delle Infrastrutture e dei Trasporti. La Verità nei giorni scorsi ha svelato che Intrieri è stato condannato definitivamente nel 2017 per bancarotta fraudolenta patrimoniale, avendo distratto dalle casse di un'azienda in difficoltà circa 480.000 euro (in tre tranche) per pagare dei debiti personali. Ma ai cronisti e ai grillini ha subito offerto una versione autoassolutoria che fa decisamente a pugni con le sentenze, i verbali e le informative della Guardia di finanza.
Nel 2004 Intrieri, quando venne arrestato, non solo non ammise il reato, ma provò a farla franca in maniera goffa, proponendo agli inquirenti una patacca che fece di lui un indagato poco credibile.
L'esperto calabrese (anche se è nato a Messina) nel 2003 era stato, per cinque mesi, l'amministratore delegato della Gandalf spa, una compagnia aerea in difficoltà. La riportò in Borsa, ma subito dopo lui e il presidente Giovanni Laterza si dimisero «per irregolarità dovute ad alcune operazioni da loro effettuate». Nel 2004 Intrieri, per giustificare l'incasso di due assegni della Gandalf (rispettivamente da 221.080 e 208.412 euro), si difese così: quel denaro serviva a pagare delle commissioni alla società americana Aviation world services inc e la transazione sarebbe avvenuta tramite una società elvetica. Ecco la ricostruzione del manager, come risulta dal verbale d'interrogatorio: «A questo proposito ho interpellato la Soft one sa con sede a Roveredo (Svizzera), la quale ha eseguito per mio conto le transazioni pari all'importo di 449.000 euro (…) Per i pagamenti sopra citati non furono fatti dei bonifici in quanto l'Aws, nella persona di Bryan Johnston, ha preteso i pagamenti “estero su estero"». A questo punto Intrieri ha esibito davanti al giudice «copia della documentazione comprovante l'operazione», ossia un attestato notarile di avvenuta transazione verso la Aws da parte della società anonima Soft one, copia dell'estratto conto intestato alla Soft one con l'indicazione dei bonifici effettuati, copia del passaporto del rappresentate legale della società fiduciaria (il signor Francesco F.). Per Intrieri la Soft one gli doveva 386.000 euro «già maturati» e 62.000 «maturandi».
Ebbene, sembra che questa arzigogolata spiegazione non fosse altro che una gigantesca panzana.
Infatti la Guardia di finanzia inizia a cercare i riscontri e viene a sapere dalla Polizia cantonale svizzera che «la società Soft one sa era stata messa in liquidazione e in data 3 settembre 1999 era stata radiata (quattro anni prima delle presunte transazioni, ndr)»; «che il signor Francesco F. risulta fortemente indebitato e ha avuto altre cinque società che attualmente sono in liquidazione o fallimento e altre due in attività»; la polizia cantonale ha informato i finanzieri di aver ricevuto nel settembre 1998 «una richiesta di informazioni da parte dell'Interpol di Roma sul conto della Soft one sa» e nel 2001 «una richiesta da parte dell'Interpol tedesca sul conto del signor Francesco F., il quale era sospettato di furto d'auto e di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina». Successivamente i finanzieri scopriranno che «i documenti a supporto del presunto pagamento alla Aws erano falsi» e «che la banca svizzera asseritamente utilizzata per il pagamento non era più esistente». Il 13 maggio 2005 Intrieri, smascherato dagli investigatori, decide di collaborare con i magistrati. Il pm di Parma (sede della Gandalf) Pietro Errede domanda: «Come l'ha pagata Aws, tramite Francesco F.?». Intrieri: «No, non c'entrava niente». In tutta questa storia non poteva mancare una spruzzata di massoneria. Infatti a suggerire a Intrieri questa versione e a mettere in piedi il «marchingegno» sarebbe stato l'avvocato d'affari cosentino Domenico L.. gran maestro della Serenissima Gran Loggia d'Italia («In sonno» precisa il diretto interessato), con studio legale a La Valletta (Malta). Ai magistrati Intrieri disse di avergli girato per il disturbo quattro assegni da 5.000 euro l'uno. Con La Verità, ma anche con gli inquirenti, Domenico L. ha negato tutto: «Intrieri è diventato esperto di Toninelli? In che mondo siamo finiti! Io avevo rapporti con lui quando era uno dei soci del Pascolo, un caseificio di Catanzaro (fallito nel 2008, ndr). Nella vicenda Gandalf non c'entro nulla. Gli investigatori mi convocarono per un confronto all'americana a Como con Intrieri e lo svizzero, ma mi presentai solo io».
Ritorniamo ai verbali d'interrogatorio. Nel 2005 il pm incalza il manager: «Quindi non è vera quella circostanza che (…) aveva un credito nei confronti di Francesco F.?». Intrieri: «No, tutto quello che ho detto su Francesco F. le altre volte sono tutte cazzate». Pm: «Ma lei si rende conto che una delle esigenze cautelari che mi hanno portato a chiedere la sua cattura è l'inquinamento delle prove? Le si dà la possibilità di difendersi tranquillamente e lei racconta balle al pm mettendo altra carne al fuoco». A questo punto Intrieri ammette che i soldi che aveva incassato non sono serviti per la Aws, ma per appianare un suo debito personale con Banca Intesa e che non ci fu nessun pagamento «estero su estero».
Un anno dopo l'indagato è ancora più esplicito. Pm: «Lei mi ha detto nel secondo interrogatorio, quando poi si è illuminato, che questi famosi 429.000 euro in realtà non sono mai giunti nelle tasche di Bryan Johnston (…) Che destinazione ha dato a questi denari?». Intrieri: «Li ho usati per fini miei, ero debitore di Banca Intesa». Pm: «Lei è sicuro di ricordare che i soldi sono serviti per delle sue esigenze?». Intrieri: «Sì, sì assolutamente (…) i soldi agli americani non arrivarono mai». Pm: «Ma lei chiese agli americani di fare delle certificazioni? Delle quietanze?». Intrieri: «Sì, poi le chiesi, secondo me anche sbagliando perché poi io e Laterza litigammo con gran parte del consiglio d'amministrazione, per cui cercai a quel punto, in qualche modo, di mettere a posto la situazione (…) Laterza sapeva che quei soldi li avrei girati agli americani, si fidava di me e sapeva questo». In un altro passaggio, il pubblico ministero chiede in cambio di che cosa Johnston della Aws gli avrebbe fatto avere le certificazioni e Intrieri risponde: «In cambio di nulla, io avevo detto a lui che comunque (…) gli avrei dato dei soldi, poi però non glieli diedi anche perché ci fu l'esposto». Denuncia che innescò l'inchiesta e che venne presentata da un gruppo di azionisti truffati (difesi dagli avvocati Francesco Verri e Vincenzo Cardone).
Infine il pm pone il quesito delle cento pistole: «Lei non aveva dunque un rapporto di credito con la Aws?». E Intrieri fa venire giù tutto il castello (di bugie): «No, quella cosa lì me la sono inventata». Quattordici anni e una condanna dopo, la verità sta tornando a galla.
Ponte Morandi, sequestri a Milano
Il settore bancario italiano continua a correre. Il margine di interesse si sta stabilizzando o scende con la discesa dei tassi Bce, ma i gruppi maggiori restano redditizi. I sette maggiori istituti hanno registrato 21,6 miliardi di euro di utile netto aggregato nei primi nove mesi del 2025 (+9% anno su anno). Nel terzo trimestre, l’utile è stato 6,5 miliardi, +2% al netto delle voci straordinarie.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
Jamie Michael è un marine, un veterano britannico della guerra in Iraq. Uno che ha visto la morte in faccia per servire il proprio Paese. Quello stesso Paese, il Regno Unito, che ora non gli permette di allenare la squadra di calcio della figlia perché, in un video su Facebook, Jamie ha definito i migranti «psicopatici» e «feccia» dopo un terribile fatto di cronaca.
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
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Il giudice Brian Cregan ha deciso che Enoch Burke resterà in carcere fino a quando non avrà fatto ammenda, non si sarà mostrato pentito di avere offeso la Corte e non la smetterà di presentarsi nella sua ex scuola, l’istituto che lo ha cacciato ormai nel 2022. Burke è ancora in carcere e potrebbe dunque restarvi fino a Natale. Si trova nella prigione irlandese di Mountjoy, popolata per lo più da stupratori e persino da un killer, passa il tempo a leggere la Bibbia e partecipa in collegamento alle udienze che lo riguardano. Alle stesse udienze non possono invece partecipare i suoi famigliari, che martedì sono stati allontanati dall’aula dallo stesso Cregan. Martedì il tribunale ha discusso l’ennesimo ricorso di Burke, rispedendolo al mittente. E il giudice Cregan non ha usato parole dolci, anzi. A suo dire, Burke «non è in carcere per le sue opinioni sul transgenderismo, che ha pienamente diritto di avere». È detenuto, aggiunge Cregan, per aver offeso l’Alta Corte e per essere entrato più volte nella sua ex scuola.
«Non si limita a violare i locali», ha detto Cregan, «ma entra direttamente nel cuore della scuola, aggirandosi per i corridoi anche quando non ne ha il diritto. È una presenza maligna e minacciosa, un intruso che perseguita la scuola, i suoi insegnanti e i suoi alunni. Ma questa è una strategia deliberata: una strategia di confronto. Confrontarsi con il preside, confrontarsi con il vescovo, confrontarsi con la scuola, confrontarsi con le guardie di sicurezza; confrontarsi con i tribunali». Secondo il giudice, l’insegnante irlandese è in cerca di celebrità, ha addirittura qualcosa da nascondere sulle sue entrate, mente ed è pericoloso.
Probabilmente una affermazione è vera: quella di Enoch Burke è una strategia deliberata, utile a far discutere del suo caso. Una vicenda che ha dell’incredibile e avviene in Europa nel silenzio pressoché totale dei nostri media. Burke è stato sospeso dalla Wilson’s Hospital School nell’Irlanda centrale nell’agosto 2022 perché si è rifiutato di usare i pronomi richiesti da uno studente transgender. L’insegnante ha rifiutato di scusarsi, così la scuola lo ha licenziato e ha ottenuto un’ingiunzione del tribunale che gli impediva di entrare nell’edificio. Che si possa perdere il posto di lavoro perché ci si rifiuta di usare un pronome è decisamente assurdo, oltre che lievemente autoritario. Ma in Europa cose del genere non suscitano scandalo.
Ci si preoccupa e ci si indigna molto, anche in Italia, per la sorte di Géza Buzás-Hábel, attivista omosessuale rom fra gli organizzatori del gay pride svoltosi il 4 ottobre a Pecs, in Ungheria. Géza ha deliberatamente violato la legge ungherese che proibisce le parate dell’orgoglio, e per questo motivo rischia un anno di carcere. Ed è comprensibile che si ritenga ingiusto che qualcuno, nel Vecchio continente, possa rischiare il carcere per avere messo in piedi una manifestazione. Purtroppo la stessa enfasi non è posta sul caso di Burke. Anzi, nei suoi riguardi si scrive di tutto allo scopo di denigrarlo, di farlo passare come un pazzo che si ostina a violare la legge. E non ci si scandalizza se lo portano in tribunale con una catena che pare un guinzaglio, né per questo lo si candida alle elezioni.
A dirla tutta, le cose stanno in po’ diversamente da come vengono di solito raccontate. È vero, nonostante il divieto l’insegnante irlandese ha continuato a presentarsi nella sua ex scuola. Per questo motivo è stato incarcerato per la prima volta per oltraggio alla corte nel settembre 2022, dato che aveva ignorato l’ordinanza del tribunale. Altre tre incarcerazioni sono seguite, l’ultima di recente. Dal 2024, poi, Enoch viene condannato a pagare 700 euro ogni volta che si presenta a scuola. Ad ora deve allo Stato irlandese circa 225.000 euro.
La sua, con tutta evidenza, è una protesta politica e umanitaria. Una incredibile e caparbia dimostrazione di tenacia nella lotta contro il politicamente corretto fattosi regime che lo ha costretto a perdere il lavoro, lo stipendio e i diritti. Presentandosi davanti alla Wilson’s School lo scorso agosto, Burke ha dichiarato: «Ecco dove dovrei essere oggi. Non solo devo stare in corridoio e non posso insegnare e fare il mio dovere, ma mi stanno anche togliendo lo stipendio. Vengo ancora pagato, ho qui in tasca la mia busta paga, sono ancora in busta paga. Questo è il mio stipendio, questo è ciò a cui ho diritto, ogni centesimo viene dirottato dal mio conto a causa del Procuratore generale di questo governo».
In realtà, a differenza di ciò che afferma il giudice che continua a rimandarlo in prigione, Burke è punito per le sue idee. Se viola le ordinanze del tribunale è per disobbedienza civile nei riguardi di chi lo ha messo alla gogna proprio in virtù delle sue posizioni sul tema trans. Se Burke manifestasse per una causa diversa magari opposta, sarebbe trattato da eroe. Ma è soltanto un cristiano un po’ conservatore, e sappiamo come vanno queste cose. Come del resto accade anche in Italia, la libertà di pensiero vale soltanto per i pochi eletti, per i presunti buoni, non per gli altri. Burke resta in carcere, l’Europa liberale per lui non ha tempo: deve occuparsi di altri attivisti.




