2019-12-23
Leggero Natale. Le abbuffate delle festività possono costarci fino a 6 chili di peso in più
Se volete mantenere la forma (e la salute), ecco tutti gli accorgimenti utili per riuscirci. Ma non rinunciate a concedervi uno strappo a tavola: perfino San Francesco lo faceva.Premesso che - abbiamo inventato questa regola alimentare - a Natale ogni pietanza vale, alcune ricerche degli ultimi anni lanciano un allarme che ci sembra giusto esaminare. Dalla vigilia all'Epifania, si può incorrere in un aumento di peso che va da mezzo chilo a ben 6 a persona. È il «regalo di Natale» che ci fa il Natale nell'epoca dell'iperalimentazione, se non stiamo attenti: una lievitazione di peso, in media di 3,25 chili a testa, che rappresenta una sgradevole realtà. Prima di tutto perché ci ritroviamo con questo risultato addosso, sgarrando appena pochi giorni. E le cattive notizie non sono finite.Chi è già in sovrappeso ingrassa cinque volte di più rispetto a chi ha un normale indice di massa corporea (Bmi). Infine, per perdere i chili acquisiti in questo breve periodo di abbuffate natalizie, possono essere necessari anche cinque mesi. Significa che a Pasqua, festività durante la quale si abbonda di nuovo con le cibarie e si ingrassa, potremmo avere ancora del sovrappeso natalizio da smaltire.Messe così le cose, Natale dopo Natale sembreremmo irrimediabilmente destinati a ingrassare senza poter mai riuscire a perdere del tutto quell'eccesso. E la gioia del Natale, che consiste anche in una festa del palato e della cucina, parrebbe dunque costarci davvero un caro prezzo. Se, però, facciamo attenzione, possiamo emendare quel costo e conservare solo la gioia. Esattamente come accadeva in passato. Un tempo che gli schieramenti progressisti ci impongono di spazzare via e dimenticare, ma che ci può sovente insegnare più del presente e del progressismo messi insieme. L'alimentazione passata, infatti, da una parte era più sana e dall'altra era più parca, a fronte, inoltre, di una vita molto meno sedentaria rispetto a quella odierna.Per un contadino di un secolo fa, per esempio, introitare anche 500 calorie quotidiane in più per qualche giorno, non si sarebbe tradotto in una catastrofe. Anzi, avrebbe temporaneamente colmato una penosa lacuna. Dal bel libro L'Italia dei consumi. Dalla Belle époque al nuovo millennio di Emanuela Scarpellini (Editori Laterza) scopriamo che in Italia, nell'anno 1900, «ogni abitante del Regno consumava 123 chili di frumento, 11 di risone, 25 di patate, 16 di legumi, 21 di pomodori, ma solo 16 chili di carne (di cui 6 bovina) e 4 di pesce fresco e conservato. Scarsi erano i condimenti e i grassi, come anche i formaggi e i generi voluttuari come zucchero e caffè, con la rilevante eccezione costituita dal vino (di cui si bevevano 100 litri all'anno)». Quindi, avevamo un «basso apporto calorico, derivante soprattutto da carboidrati, e la scarsità di vitamine e proteine».Abbiamo fatto il conto calorico (vino compreso) di questi alimenti ed erano circa 1.650 calorie giornaliere per una popolazione che per il 62% era impiegata nell'agricoltura, nemmeno coadiuvata dalle macchine come è oggi: una vita professionale e, in generale, una vita (perché le macchine di oggi mancavano anche in quella), durissima.Noi, all'opposto, mangiamo troppo e male già durante tutto l'anno e nelle feste ancora di più. Inoltre, conduciamo vite di un dispendio calorico infinitamente più basso rispetto a quelle dei nostri nonni e bisnonni.In una ricerca effettuata da Recovery Brands nel 2015, l'Italia risulta assumere la non indifferente cifra di 3.539 calorie quotidiane pro capite: oltre il doppio di 119 anni fa. In un'esistenza che, poi, comporta sì tanto stress e tanta fatica mentale, ma molto poca attività fisica. Un'esenzione dalla fatica corporea che per tanti versi è positiva, ma che al contempo ci costa in termini di attenzione nutrizionale che dobbiamo tornare ad avere, sempre e ancora di più, a Natale.Sono gli stessi medici che ci mettono in allerta. La Società italiana di cardiologia (Sic), durante l'ottantesimo congresso nazionale che si è tenuto proprio in questi giorni, ha suggerito moderazione a tavola con qualche piccola deroga durante i giorni di festa, ma ricordando di seguire una dieta riparatrice nei giorni dal 27 al 31 dicembre, cioè fino al cenone di fine anno. «Saranno giorni un po' particolari, ma bisogna comunque fare attenzione. Un consiglio semplice è, in caso di abusi con una grande cena o un grande pranzo, di mantenersi più leggeri nei giorni successivi», ha spiegato il presidente della Sic Ciro Indolfi. Aggiungendo: «Il rischio di un'alimentazione sbagliata è proporzionale al numero di volte in cui questa viene fatta».Riguardo alla dieta di recupero nei giorni dal 27 al 31, lo stesso presidente ha specificato: «Bisogna mangiare molto pesce e verdura e poca frutta. Questa è la dieta che la Sic consiglia sia ai cardiopatici sia a chi è sano».A Natale e Santo Stefano, quindi, si può «derogare», ma chi presenta un rischio cardiovascolare deve fare comunque attenzione a un eccesso di grassi animali e di dolci. Chi presenta problemi di obesità, invece, deve controllare soprattutto i carboidrati, poi i grassi animali e i dolci. Se non si rispetta la dieta a Natale o a Santo Stefano - e questo è comprensibile e giusto - negli altri giorni, ricordiamocelo, meglio stare attenti. Nessuno suggerisce di mangiare tè e biscotti, magari senza zucchero né burro, dal 24 dicembre al 6 gennaio.Ma sempre il passato - che stiamo guardando ancora con gli occhi del libro poc'anzi citato - ci insegna che «il fatto che i contadini avessero scarse disponibilità alimentari non vuol dire che i cibi fossero per loro meno carichi di significati simbolici. Al contrario, tutte le culture contadine assegnano grandissimo rilievo al cibo nell'organizzazione della vita sociale: il tempo della festa è scandito da una quantità e qualità di alimenti (come i dolci) diversi da quelli del tempo del lavoro. (...) Le varie tipologie di cibo assumono poi molti significati: un valore positivo è collegato a tutto ciò che è “grasso", che rappresenta un privilegio negato ai contadini, e di qui passa alla grassezza come allegoria di una vita felice».La differenza tra noi e un italiano di centoventi anni fa è anche questa. Noi non dividiamo più il tempo della festa dal tempo del lavoro perché nella nostra società del benessere e del cibo industriale a basso costo molti di noi mangiano sempre come nel tempo della festa. Per di più, cibo molto meno salutare di una volta. E la grassezza non è più «allegoria di una vita felice» ma, in realtà, di una salute infelice.Recuperare il senso della festa natalizia come era intesa nel passato, quando era soltanto religiosa e non si era ancora confusa col Natale di Babbo Natale, ci sarà utile. Recuperiamo quindi, innanzitutto, il senso dell'abbondanza come eccezione e non come regola. Non prepariamo cento antipasti, ottanta primi, dieci secondi. Non beviamo una quantità di alcolici e superalcolici tale da poter riempire una piscina e nuotarci dentro. E non mangiamo dolci come se non avessimo mangiato nulla prima.Un solo pasto natalizio, come è concepito oggi, può superare tranquillamente le 5.000 calorie e, se lo ripetiamo per due volte in un giorno, e poi per tutti i giorni delle festività fino all'epifania, altro che 500 calorie in più: corriamo il rischio di arrivare a 50.000 in più (al giorno).0Per queste festività scegliamo, dunque, come nostra stella di Betlemme - la stella, come sapete, che guidò i Magi da Gesù - la regola dell'alternanza tra tempo del lavoro e tempo della festa, che possiamo anche chiamare «giorni di magro» e «giorni di grasso».Concepiamoli anche come misure minori del giorno, come suoi segmenti: se so che per la cena della vigilia mangerò molto, il pranzo dello stesso giorno mi manterrò molto leggero. Se so che al pranzo di Natale mangerò «festivo», farò una prima colazione e poi anche una cena «lavorative». Scomponiamo poi lo stesso pasto in unità di misura «festa» e «lavoro» o «magro» e «grasso» da alternare. Se mangio tanto antipasto, posso mangiare qualche boccone in meno del primo piatto e così via, fino al dolce.Panettone e pandoro sono dolci differenti: l'apporto energetico del pandoro, pari a 280 calorie per porzione, supera quello del panettone, seppur di poco. Il noto «pan del Toni» (questo il nome originario del panettone) ha 260 calorie a fetta, nonostante contenga anche uvette e canditi e una copertura di zucchero e frutta secca. Il motivo è proprio questo. Il pandoro, nella sua purezza di lievitato senza aggiunte, presenta meno zuccheri, ma più grassi (burro). Se si sta a dieta ma proprio non si vuole rinunciare alla fetta di pandoro o panettone, si può evitare il primo piatto, oppure optare per un compromesso: mangiare entrambi, ma mezza porzione di primo e mezza fetta di panettone o pandoro.Masticate lentamenteIl controllo calorico è solo una delle attenzioni che ci possono aiutare a tenere lontani i 3,25 chili di peso in più o, peggio, i 6,6. Il nostro noto antenato contadino, oltre a mangiare meno, masticava lentamente. La masticazione lenta ci aiuta ad assaporare meglio le pietanze, ci conduce a riscoprire l'abbondanza come dono, allontanandoci dal consumo bulimico odierno che deriva dalla concezione dell'abbondanza come regola. Masticare lentamente ci permette anche di sentirci sazi e di digerire meglio: il cibo masticato poco arriva nello stomaco intero e risulta di più difficile digestione. Il nostro avo contadino sapeva benissimo, infatti, che «la prima digestione avviene in bocca». Così, evitava affaticamento, pesantezza, stanchezza, irritabilità e, nel tempo, anche acidità e reflusso gastroesofageo da cattiva digestione e malassorbimento alimentare. Ricordiamoci poi che mangiando troppo velocemente il cervello non registra quello che fa e, rispetto a quanto accadrebbe con una buona masticazione, avremo più fame e prima del solito durante la giornata.Anche alternare acqua e vino può aiutare rispetto al soddisfare la sete soltanto con alcolici: un bicchiere di vino bianco ha 70 calorie, uno di rosso 75, uno di spumante 95, uno di champagne 87. Un piccolo bicchiere di amaro ben 314.Come si vede, bere un po' non altera di moltissimo il totale calorico del pranzo o della cena di festa, bere tanto sì. Perciò, un piccolo trucco può consistere nel bere un bicchiere di acqua per ognuno di vino bevuto. Tenendo a mente questi suggerimenti, concedetevi però il tempo della festa.Perfino il santo Francesco, esempio di vita essenziale (l'aggettivo «francescano» vuol dire anche «semplice» e «povero»), derogava all'austerità a Natale. Durante i primi anni di fraternità francescana, un Natale cadde di venerdì e i confratelli di Francesco gli chiesero, tramite frate Morico, se l'obbligo dell'astinenza dovesse prevalere sulla festa. Francesco rispose: «Tu pecchi, fratello, a chiamare venerdì il giorno in cui è nato per noi il Bambino».Il Natale è il giorno della festa e per Francesco i poveri dovevano essere saziati dai ricchi e anche gli animali dovevano ricevere doppia razione di cibo: avrebbe voluto chiedere un editto imperiale per imporre ai ricchi di spargere frumento e granaglie per le strade «affinché in un giorno di tanta solennità gli uccellini e particolarmente le sorelle allodole ne abbiano in abbondanza».