
La sostanza del provvedimento è l'imposizione di una visione ideologica della società. Non c'è giurista che abbia sostenuto la «indispensabilità» di una norma che difenda le persone omosessuali da violenze o oltraggi. Non esiste un vuoto normativo.«Ci alzeremo in piedi quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche … Ci alzeremo in piedi … e reclameremo giustizia»: è la splendida preghiera che San Giovanni Paolo II pronunciò durante l'omelia tenuta al Capitol Mall di Washington Dc il 7 ottobre 1979. Attuale sempre, e quanto mai carica di valore e significato oggi che un disegno di legge ideologico tenta di imporre una dottrina distruttiva della libertà di pensiero su temi delicatissimi quale la famiglia naturale, l'educazione morale dei figli, il contrasto a pratiche incivili e vergognose quali l'utero in affitto.Il ddl Zan, a maggioranza risicata, è stato calendarizzato in commissione Giustizia del Senato. Ciò significa che ora certamente si aprono spazio e tempo per un ampio dibattito e confronto, secondo le regole della democrazia parlamentare, ma a partire da punti chiari e fissi perché oggettivamente incontestabili: niente bavagli alla libertà di opinione e di pensiero, niente indottrinamenti educativi sfruttando il pretesto di «giornate nazionali» contro l'omofobia e soprattutto niente «gender», sbaglio della mente umana, secondo le parole di papa Francesco. È significativo che durante questi mesi non c'è stato un solo giurista che abbia convintamente sostenuto la «indispensabilità» di una legge che difenda le persone omosessuali da violenze o oltraggi. E la ragione è tanto semplice che perfino monsieur Jacques de La Palisse si schernirebbe, considerato che la sua inutilità è talmente evidente e scontata da sfiorare il ridicolo o la malafede di chi affermasse il contrario. È sufficiente rispondere a una semplicissima domanda: «Dove si trovano ora i colpevoli di reati di violenza perpetrati contro persone omosessuali? Compresi gli autori delle incivili aggressioni più recenti di Napoli o di Roma?». La risposta è, appunto, lapalissiana: in galera, come da codice penale vigente! Non esiste alcun vuoto normativo che debba essere colmato. Le norme penali ci sono, vanno applicate proprio come sta accadendo da anni, cogliendo l'occasione per riaffermare con forza che la violenza non è mai tollerabile verso chiunque venga esercitata. Tutti i cittadini italiani hanno pari dignità e vanno rispettati. Chi sta insistendo a favore di questa pessima legge dà l'immagine di chi si mette una maschera per nascondere la sua identità: la facciata è la difesa delle persone omosessuali, la sostanza è l'imposizione di una visione ideologica della società, imposta in modo dittatoriale perché non ammette opzioni diverse, al punto di utilizzare il codice penale come un manganello. I cittadini liberi e sani di mente se ne sono ampiamente accorti, tanto che le critiche a questo ddl vengono nientemeno che dal mondo del femminismo radicale veterocomunista, da personaggi della galassia Lgbt, da esponenti della cultura radicale che certamente non odorano di morale cristiana ed affini. Tutto ciò è tanto più vero se gettiamo lo sguardo su quanto accade in Paesi ove leggi simil-Zan sono già in vigore: i reati di violenza contro le persone omosessuali non sono affatto diminuiti, presentano numeri di gran lunga superiori a quanto accade in Italia oggi, senza legge Zan, e chi osa dichiarare che la famiglia è una sola - mamma, papà e bimbi - è perseguitato, arrestato e condannato! Vi pare dignitoso comprare il corpo di una donna, il suo utero, per avere un figlio «costi quel che costi», sfruttando il fatto di avere le tasche piene di dollari o di euro? Vi pare «discorso d'odio» affermare che questa pratica puzza lontano un miglio di sfruttamento della donna, di pratica in salsa neocolonialista? Ebbene, se passa il ddl Zan accadrà così. Non è allarmismo. È pura e semplice realtà. Per questo, ancora una volta, ci alzeremo in piedi con gli occhi ben attenti a discernere chi davvero ama la libertà e la famiglia, e chi ha invece ben altri interessi.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».
Antonio Scoppetta (Ansa)
- Nell’inchiesta spunta Alberto Marchesi, dal passato turbolento e gran frequentatore di sale da gioco con toghe e carabinieri
- Ora i loro legali meditano di denunciare la Procura per possibile falso ideologico.
Lo speciale contiene due articoli
92 giorni di cella insieme con Cleo Stefanescu, nipote di uno dei personaggi tornati di moda intorno all’omicidio di Garlasco: Flavius Savu, il rumeno che avrebbe ricattato il vicerettore del santuario della Bozzola accusato di molestie.
Marchesi ha vissuto in bilico tra l’abisso e la resurrezione, tra campi agricoli e casinò, dove, tra un processo e l’altro, si recava con magistrati e carabinieri. Sostiene di essere in cura per ludopatia dal 1987, ma resta un gran frequentatore di case da gioco, a partire da quella di Campione d’Italia, dove l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti è stato presidente fino a settembre.
Dopo i problemi con la droga si è reinventato agricoltore, ha creato un’azienda ed è diventato presidente del Consorzio forestale di Pavia, un mondo su cui vegliano i carabinieri della Forestale, quelli da cui provenivano alcuni dei militari finiti sotto inchiesta per svariati reati, come il maresciallo Antonio Scoppetta (Marchesi lo conosce da almeno vent’anni).





