
All'ideologia gender ultimamente si è unita un'«ossessione normopatica»: la foga progressista di codificare con regole le linee di comportamento sessuali ritenute corrette. Così facendo, però, si cancella l'antropologia ebraico-cristiana basata sull'identità.A cominciare da quello più vitale e potente: l'affettività e la sessualità. È appunto questa passione normativa, il voler chiudere anche le emozioni e l'affettività in regole e leggi cui poi obbedire scrupolosamente, la caratteristica più vistosa del «pensiero unico» portato avanti con determinazione crescente fin dall'inizio del secolo dalle forze di potere. In particolare da quelle che si definiscono «democratiche e progressiste» e opposte a quelle «liberali e conservatrici». È lo psicoanalista di sinistra Christopher Bollas a chiamarla così: normopatia (nel libro L'età dello smarrimento. Senso e malinconia. Cortina Editore). Peccato però che la attribuisca al campo conservatore e a Donald Trump e Boris Johnson, imprevedibili campioni di trasgressione. Fa niente: l'importante è riconoscere la normopatia: «l'avversione alla profondità» dell'essere umano, alle sue ambivalenze, al suo costruirsi e prendere forma, in un processo che continua tutta la vita. Normopatia è l'intolleranza alla libertà del sentire personale, che non può essere «normato» dall'ideologia dominante. È proprio questo che il normopatico non può accettare. La normopatia nasce assieme all'ideologia Lgbt nei college della borghesia bianca americana ricca (dove si formò Judith Butler, con la sua Teoria del genere), profondamente puritana ma anche del tutto secolarizzata. Entrambe sono malattie dell'epoca del politicamente corretto, non tollerano la ricerca interiore, lo sviluppo, il cambiamento: in una parola la ricerca spirituale e e psicologica della propria verità e identità. Non c'è nessuna donna, come nessun maschio, sostiene Butler, nel suo libro Disfare il genere (titolo originale). Femminile (e maschile) sono solo recitazioni, performance. In questo modo ci si evita la fatica del «diventare sé stessi» (ma ci si riduce a cose, oggetti, temevano già Edmund Husserl come Carl Gustav Jung). Ci si identifica con le proprie pratiche sessuali, che prendono il posto dell'identità. E si diventa una cosa tra le altre, normata con precisione dalle regole proposte dalla società e dai poteri del momento. Il rifiuto della fedeltà a sé stessi produce però nevrosi: è per cercare di evitarla e provarsi a guarirla che nacque la psicoanalisi. Non possiamo vivere la vita di un altro: se lo facciamo ci ammaliamo. Nella società «di massa», dei consumi e dei comportamenti standardizzati però, il fare come gli altri sta invece diventando la regola, che si vuole imporre come norma. L'obiettivo non è più realizzare sé stessi, ma non creare problemi agli altri, soprattutto a chi comanda. È così che le istituzioni anziché educare l'individuo a riconoscere le proprie vocazioni e portarle nel mondo, tendono a regolarlo a seconda delle richieste della società. Che a volte sono delle fissazioni, dei tic del momento. Come le «Procedure», librettini con le norme che gli studenti maschi e femmine dei college americani devono seguire nei loro incontri, diventate poi pilastri di tutto il politicamente corretto. Con essi il codice amoroso occidentale cambiò profondamente e il perdersi e ritrovarsi guardandosi negli occhi fu sostituito da domandine precisamente scansionate. In esse il maschio doveva (e oggi deve) pronunciare e chiedere nei vari momenti dell'incontro dell'incontro: «Ti posso prendere la mano»?, «Posso accarezzarti il braccio»? e così via. E a lei tocca di annuire o rifiutare, in una logica binaria dentro la quale può stare (con qualche difficoltà) il computer, ma non l'affettività e la sessualità umana. Da allora il nuovo corteggiamento non può più scostarsi dal copione preregistrato, pena sanzioni: nel college l'espulsione, nella società le molteplici invenzioni di reati e punizioni, sfoderate dai vari poteri. Tra le quali, ultima in Italia, il ddl Zan.Come mai la normopatia va ora a frugare nelle differenze nella sessualità e degli atteggiamenti verso di esse, anziché in uno qualsiasi dei mille scottanti problemi presenti, dalla riqualificazione dei disoccupati alla non corrispondenza tra lauree universitarie e richieste dal mercato del lavoro etc.? Il fatto è che proprio sulla differenza sessuale e sull'attrazione e incontro tra l'uomo e donna si fonda l'umanità e la sua differenza dalle altre forme della natura. Lì è la chiave di tutto, società e potere compresi. Maschile e femminile, antiquati che siano, hanno nella vita e nella storia umana un peso e un significato del tutto unico: l'attrazione e diversità fra loro è costitutiva non solo dell'umanità, ma della sua aspirazione ad andare più in alto, a trascendersi. Il libro biblico Genesi ne parla fin dall'inizio: «E Dio creò l'uomo a sua immagine... maschio e femmina li creò». (G.27). La differenza sessuale è alla base dell'umanità, ma è anche ciò che l'uomo e la donna condividono con l'immagine della totalità divina, che possiede entrambi gli aspetti. Non si tratta insomma solo di questioni burocratiche e di stato civile, ma anche dei contenuti esistenziali e trascendenti dell'umano. Nell'antropologia ebraico-cristiana, l'incontro tra uomo e donna è al centro dell'intera vita e spiritualità. È questo lo scandalo della sessualità per l'attuale modello materialista di cultura e di vita: che il benessere dell'umano sia legato al suo rapporto con il divino, nel quale sono compresenti maschile e femminile, entrambi indispensabili alla piena realizzazione dell'esistenza. Ecco allora che lo Stato si impegna a fondo per separarli. Diabolicamente: come spiega l'etimologia di «diavolo», egli è «colui che separa». Sarebbe sufficiente che lo Stato laico non entrasse nelle diversità sessuali personali e di gruppo, tutelando la libertà di ognuno. Ma è proprio qui l'aspetto più autoritario e discriminatorio del ddl Zan: la volontà di sanzionare penalmente le convinzioni religiose dell'antropologia cristiana, in quanto difformi dall'invasiva normatività Lgbt. Un'ideologia che separa e frammenta l'umanità, a secondo delle sue differenze nell'affettività-sessualità (in gran parte superficiali, come sanno bene le scienze umane). Così (ad esempio) in nome della non discriminazione, il silenzioso ascolto di sé dell'adolescente in rispettosa attesa della propria «chiamata» sessuale verrebbe interrotto da un'inchiesta pubblica, magari a scuola. I contenuti profondi delle persone, preziosi e fragili, vanno però difesi dal cinismo spettacolare delle mode sessuali e delle loro ansie di potere e di conferma. Lo Stato tuteli la libertà di tutti: in questa materia è in gioco la continuazione della stessa vita. Chi ha fantasie di punizione e rivalsa verso la donna e l'uomo, i due protagonisti della storia umana, non le deve portare in Parlamento, ma dall'analista. O buttarle nel cestino.
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