2021-07-24
L’affondo del premier spiazza la Lega. Che ora è in credito su tasse e divieti
La spallata di Draghi a Salvini lascia amareggiato il Carroccio. Il partito però può esigere un riequilibrio funzionale a una riforma fiscale vantaggiosa e utile a scongiurare nuove restrizioni legate al green pass.Ma, alla fine della fiera, perché Mario Draghi, in modo gratuito e plateale, ha scalciato così Matteo Salvini? Calcisticamente, un fallo violento, a centrocampo, a palla lontana. Giustificazioni non ce ne sono. Per mesi, Salvini ha agito in modo leale: di più, ha spesso operato (si pensi al giorno in cui si trattava di trovare una quadratura sul pacchetto del ministro Marta Cartabia) come soggetto attivo alla ricerca di punti di mediazione, svolgendo una funzione oggettivamente utile al governo e personalmente al premier. Essere ricompensato così non è stato un bel premio. Anche la forma ha destato stupore: l'uso come assist di una domanda di Repubblica, e soprattutto l'attribuzione a Salvini di ciò che il capo della Lega non si era mai sognato di fare, e cioè un appello alla non vaccinazione (tanto più che ieri, il leader del Carroccio, ha ricevuto la prima dose). È come se Draghi avesse volutamente creato un incidente. Senza quella risposta, infatti, i retroscenisti sarebbero stati costretti a registrare due cose. Da un lato, la netta sconfitta di Giuseppe Conte sulla giustizia. Dall'altro, una specie di compromesso sul green pass: certo, la Lega avrebbe comunque perso la partita di principio, ma avrebbe potuto rivendicare la mancata stretta (almeno per il momento) su scuola, trasporti e lavoro. E infatti, a un certo punto dell'altro ieri, pur senza proclamare successi inesistenti, fonti leghiste avevano sottolineato ciò che non c'era nel decreto, come frutto del pressing del Carroccio volto a evitare un provvedimento ancora più rigido. Ma la battuta feroce e sgraziata di Draghi contro Salvini ha obiettivamente cambiato le cose. E allora, se dalle giustificazioni si passa alle fredde spiegazioni politiche del comportamento di Draghi, ce ne sono almeno tre. La prima: il premier, dovendo dare uno schiaffo a Conte, ha deliberatamente scelto di assestarne un altro a Salvini. Ha cioè scientemente deciso che non poteva esserci un vincitore di centrodestra della giornata dell'altro ieri. La seconda: proprio mentre collassano le leadership di Conte e di Enrico Letta, Draghi non vuole riconoscere una sorta di «golden share» politica alla Lega e al suo segretario. La terza: verso la partita del Quirinale, che in realtà già domina l'orizzonte mentale dei protagonisti del Palazzo, Draghi non vuole consentire né a Salvini né al centrodestra (che, se compatto, sarebbe ad appena una cinquantina di voti dal poter esprimere una candidatura efficace) di assumere un ruolo di regia. Il regista dell'elezione vuole essere lui: sia che si tratti della sua stessa candidatura, sia che si tratti della riconferma di Sergio Mattarella.Al di là di queste spiegazioni, resta da capire cosa possa accadere ora. Gli scenari sono essenzialmente due. Il primo è che Draghi insista su questa linea di durezza estrema, facendo tesoro della debolezza del sistema dei partiti. Resta però un interrogativo: per quanto il premier sia forte (in Italia e all'estero), è prudente immaginare un cammino di diciotto mesi umiliando sistematicamente ora l'uno ora l'altro partito della maggioranza? C'è da dubitarne. Il secondo scenario (quello su cui scommette Salvini, che non farà di certo l'errore di commettere falli di reazione), è che invece il premier si faccia carico di un riequilibrio a favore della Lega. Non una rozza contropartita, sia chiaro. Ma - certamente - la Lega vanta un credito. Si tratta di capire quando e come «esigerlo»: un'ipotesi punta a misure ragionevolmente ridimensionate, dopo il test di agosto, rispetto all'accesso al trasporto, ai luoghi di lavoro e alle scuole; un'altra ipotesi punta a un irrobustimento dei modesti tagli fiscali ipotizzati l'altro ieri dal ministro Daniele Franco. Il governo potrebbe cioè decidere di adottare un più distinguibile profilo «sviluppista» e non tassatore in economia. In assenza di segnali di attenzione, è evidente che Fdi potrà giovarsi ulteriormente di questa situazione. E, su un altro piano, non potrà non riproporsi il tema (spesso a base di letteratura fantasy, altre volte più fondato) della dialettica tra Salvini e la delegazione governativa leghista. Se un leader viene offeso in questo modo, è oggettivo che qualcosa non abbia funzionato nella catena di comunicazione tra il premier, quel segretario di partito e i suoi ministri.Non a caso, ieri, Giancarlo Giorgetti, Erika Stefani e Massimo Garavaglia hanno dichiarato di ritenere «ingenerose le critiche alla Lega e al nostro leader sui vaccini mosse in maniera strumentale da una parte della stampa: tutti siamo impegnati nel difficile compito di contemperare il sacrosanto diritto alla salute con le libertà individuali in un percorso di buonsenso». Peccato che sia stato Draghi in persona a picchiare, ben più e prima di alcuni giornali. E fonti leghiste hanno ribadito che «la Lega è determinata a rimanere nel governo e a guidare a lungo il paese, ma c'è profonda irritazione», aggravata dal fatto che «i Cinquestelle minacciano sfracelli sulla giustizia e il Pd tira la corda su nuove tasse e ddl Zan». Né si considera chiusa la ferita del giorno prima: «Restano incomprensibili alcune scelte come la mancata riapertura delle discoteche. E sono preoccupanti le grida di dolore di troppi ristoratori e operatori turistici che lamentano disdette, per non parlare di intere famiglie che non riusciranno ad adeguarsi per tempo ai nuovi criteri».