2019-11-23
L’economista del Papa tifa per i licenziamenti
Leonardo Becchetti, promotore del partito dei cattolici Rete bianca, si schiera con Mittal: «Impossibile non pensare a un ridimensionamento dei lavoratori per far ripartire le aziende». Mentre il Papa fa dell'occupazione un cavallo di battaglia, il suo economista lo sconfessa.«Dobbiamo accettare il principio che la forza lavoro non può rimanere invariata». La libertà di licenziamento, uno dei dogmi del turboliberismo, si affaccia senza scandalo alcuno in piazza San Pietro dove le campane continuano a suonare e «inclusione» rimane la parola d'ordine. A pronunciare la frase che stride non è Donald Trump e neppure Sergio Marchionne in un diario ritrovato dietro una libreria di Detroit, ma un pilastro del cattolicesimo in economia come Leonardo Becchetti, docente di economia politica all'università di Tor Vergata, editorialista di Avvenire, firmatario del manifesto dei cattolici Per il pensiero forte, alfiere laico dei valori sociali della Chiesa, schierato ovviamente in prima linea contro sovranismo e populismo con la competitività lieve di una sardina.in televisione. Per la verità il pensiero è forte veramente, anche se nessuno pensava che potesse esserlo fino a questo punto. Becchetti lo enuncia in tv, nell'approfondimento di Rainews Studio24, quando prende la parola e riferendosi ad Alitalia e Ilva, spiega così l'assunto: «Se un'azienda è molto grande è impossibile non pensare a un ridimensionamento della forza lavoro per farla ripartire. Dobbiamo accettare il principio che non possa rimanere invariata». Quasi aureolato da quando è entrato a far parte del think tank di papa Francesco, il professore esprime un concetto che, se fosse sfuggito dalle labbra di Alberto Bagnai o Claudio Borghi, oggi percorrerebbe i social e le home page dei giornali generalisti accompagnato dall'hashtag #macelleriasociale. L'uscita è sorprendente da parte di un docente che si pregia di aver firmato con Marco Bentivogli (Cisl), Mauro Magatti (sociologo della Cattolica) e Alessandro Rosina (docente e saggista della Cattolica) l'appello per la creazione di una grande rete per l'Italia attraverso un forum civico postsovranista su input del cardinal Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. Rete bianca è stata presentata un mese fa, rappresenta la crema della politica cattolica ed è coordinata da Dante Monda, figlio del direttore dell'Osservatore Romano. L'uscita è sorprendente e dimostra che è molto più facile criticare politiche avverse stando seduti sulla collina dei giusti o raccogliere firme contro i barbari alle porte che proporre soluzioni concrete in linea con il dettato morale della casa del Signore. Il tema è complicato, le vicende di Alitalia e Ilva costituiscono il cubo di Rubik della politica economica italiana e teorizzare che una soluzione è il taglio indiscriminato dei dipendenti (quindi migliaia di licenziamenti nascosti dietro la parola ridimensionamento) è perfino legittimo. Ci si chiede però che differenza ci sia in questo caso fra un economista cattolico che dovrebbe aver presenti le linee guida del pontefice e un tagliatore di teste ingaggiato a percentuale a Philadelphia.Piccola star del progressismo dominante su Twitter, sodale di padre Antonio Spadaro nelle iniziative Oltretevere, il Santo Licenziatore è molto presente nel dibattito pubblico. In questi giorni ha detto la sua sulle elezioni in Emilia Romagna, sui gattini di Salvini, sul Fondo salvastati, sugli «italiani che non vogliono essere presi per imbecilli», su Don Luigi Sturzo (te pareva) e sull'eroismo di Ezio Greggio. Parla come Alessia Morani, ma con più sussiego. Il suo faro è la società civile, il suo obiettivo è il riscatto degli ultimi, ma da nessuna parte aveva teorizzato prima d'ora che gli piacerebbe vederli dimezzati con il machete. Per il direttore del comitato scientifico del sito Benecomune.net è un fremito da raider. Questa «forza lavoro che non può rimanere invariata», prima o poi qualcuno dovrà pure guardarla negli occhi. E se gli struggimenti da Romanzo Popolare non hanno mai scalfito il padrone delle ferriere libero da moralismi, un po' più difficile è far passare il concetto dalla parrocchia. le sardineAnche perché la linea di papa Francesco sul tema lavoro è lievemente diversa ed è bene che Becchetti la ripassi prima di tornare in tv. Nei tre discorsi ai Movimenti popolari raccolti nel libro dal titolo Terra, casa, lavoro, il Santo padre chiede di mettere fine allo storico divorzio fra etica ed economia, riconoscendo l'immoralità del business is business. Più volte ha tuonato: «Il lavoro non è un dono gentilmente concesso ma diritto di tutti», «Il lavoro è dignità». Sarebbe interessante conoscere quale dignità avrebbe, secondo l'economista cattolico che fa di questa appartenenza una bandiera politica e uno stile di vita, un cassintegrato dell'Ilva vittima della «non invarianza» della forza lavoro. È più facile contare le sardine o scalare il Cupolone enunciando principi millenari, siamo d'accordo. Ma questo saprebbero farlo tutti, anche coloro che non hanno letto il Vangelo.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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