2021-12-02
Le tre disgrazie del governo Draghi
Più si avvicina la fine del settennato di Sergio Mattarella e più si infittiscono le trame per decidere chi sarà il prossimo presidente. Delle ambizioni di Silvio Berlusconi abbiamo già scritto: il Cavaliere vorrebbe concludere la carriera in bellezza. Soprattutto, vorrebbe prendersi una rivincita su tutti quelli che negli ultimi 25 anni gli hanno remato contro. Che la beffa abbia qualche possibilità di riuscirgli lo dimostra come si agita Marco Travaglio, il quale ieri sul Fatto Quotidiano ha addirittura inaugurato una petizione per sbarrargli la strada del Quirinale. Tuttavia, oltre al nome del fondatore di Forza Italia, per il Colle ne circolano anche altri e il più quotato, ovviamente, è quello di Mario Draghi. Il presidente del Consiglio è un po’ come Isabella di Castiglia: a parole lo vorrebbero tutti sullo scranno più alto, ma in realtà nessuno se lo piglia. La ragione è che, una volta lasciata libera la casella di Palazzo Chigi, non ci sarebbero tanti patroni in grado di garantire che senza di lui la maggioranza rimarrebbe in piedi. E siccome il Parlamento è inzeppato di prossimi candidati alla disoccupazione, nessuno di loro ha voglia di ritrovarsi anticipatamente a spasso. La qual cosa è comprensibile: nessun cappone salta volentieri in pentola per essere servito a Natale e i capponi di Camera e Senato non fanno differenza. Ciò detto, se fossimo nei panni del premier, invece di rimanere in silente attesa di una decisione dei partiti, ci daremmo da fare senza attendere un’investitura dall’alto. Un po’ perché i treni passano, ma non è detto che ripassino. E un po’ perché nei vestiti di un capo di governo che debba risollevare un Paese avendo a fianco tipi come Roberto Speranza, Patrizio Bianchi e Luciana Lamorgese, non crediamo si stia molto comodi. La trimurti ministeriale, in poco più di sei mesi di governo ha combinato tanti e tali guai da aver indotto Draghi a intervenire più volte, l’ultima delle quali l’altro ieri sulla questione della didattica a distanza. Il problema però non sono i danni del passato, ma quelli che potrebbero fare in futuro, ai quali il presidente del Consiglio non è detto che riesca sempre a mettere una pezza. A giugno, di ritorno da un vertice internazionale a Barcellona, il premier era stato costretto a convocare in fretta e furia una conferenza stampa per mettere fine alla confusione sulla campagna vaccinale. Dopo i dubbi sugli effetti collaterali dell’iniezione con Astrazeneca, Speranza avrebbe voluto imporre una puntura eterologa a tutti, ma così facendo aveva alimentato il caos. Alla fine, era toccato al capo del governo metterci la faccia e, soprattutto, raddrizzare la rotta, precisando che gli immunizzati con il farmaco anglo-svedese sarebbero stati liberi di scegliere se fare il richiamo con lo stesso vaccino oppure no. Di pasticci, grazie a Speranza ne sono seguiti altri, soprattutto per quanto riguarda il green pass, che varato in tutta fretta era imposto ai clienti dei bar ma non ai camerieri o ai cuochi, mentre negli alberghi la clientela - soprattutto se straniera - era un po’ libera di fare quello che gli pareva. Con le gaffe del ministro dell’Interno si può compilare un’enciclopedia, cominciando dai rave a base di droghe per finire alla gestione dell’ordine pubblico. Il caso più clamoroso è l’assoluta assenza di qualsiasi manovra di contenimento dei manifestanti che hanno assalito la sede della Cgil, per non dire poi della circolare con cui nei giorni scorsi ha impartito l’ordine ai prefetti di tutta Italia di dare priorità ai controlli del green pass, facendo passare in secondo piano altri controlli e i reati di maggior gravità, al punto che il prefetto di Venezia si è fatto sfuggire un «se questa è la direttiva, vuol dire che molleremo su altri fronti». Di Patrizio Bianchi le gesta sono note. Dopo aver rassicurato tutti che la scuola sarebbe iniziata in tutta tranquillità, ora la stava per far finire in Dad con una circolare che imponeva le lezioni a distanza anche con un solo positivo. Una decisione forse suggerita dal ministro della Salute di cui sopra, ma che il presidente del Consiglio, dopo le inevitabili polemiche, ci ha messo un giorno per cancellare, ripristinando le precedenti disposizioni.Sì, oltre a dover tenere a bada i conti e la valanga di emendamenti presentati dalla sua stessa maggioranza, le curve pandemiche e i ritardi nell’applicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, cioè i soldi che l’Europa ci dà solo se rispettiamo i tempi e le promesse, l’ex governatore della Bce deve guardarsi le spalle per evitare che l’armata Brancaleone che lo circonda lo porti al disastro. Comprensibile dunque, che pensi a levarsi d’impiccio con un’ascesa al Colle. Tuttavia, non disponendo ancora di poteri soprannaturali, se vuole arrivare al Quirinale Draghi deve darsi da fare. Manca poco più di un mese e mezzo all’appuntamento con il voto e, se non vuole restare con il cerino in mano, cioè circondato dalla trimurti ministeriale, forse un po’ quelle mani se le deve sporcare. Non si diventa presidente della Repubblica se non c’è qualcuno che ti candidi per davvero. Ai tempi di Mattarella fu Renzi, ma ora il Rottamatore è rottamato. Dunque, se vuole fare il capo dello Stato Draghi ha a disposizione sette settimane e mezzo. E per noi sarà meglio di un film.
Donald Trump (Getty Images)
Andrea Crisanti (Imagoeconomica)