2025-09-20
Le toghe sdoganano l’assegno di divorzio pure alle coppie delle unioni civili
Le motivazioni della Cassazione: «C’è un disegno pluralistico dei modelli familiari, a seguito dell’evoluzione dei costumi».«Tutelare il partner più fragile». Con questa motivazione la Cassazione ha stabilito che l’assegno di divorzio non sarà più riservato alle coppie unite in matrimonio, ma potrà essere corrisposto, con gli stessi principi, anche nel caso di scioglimento di un’unione civile. Quindi anche in caso di rottura di un’unione civile, è possibile stabilire un assegno periodico a favore del partner economicamente più debole. L’ordinanza della Prima sezione civile risponde al ricorso presentato da una donna omosessuale unita civilmente dal 2016, allo scioglimento della relazione ha chiesto alla sua ex compagna un sostegno economico. Una sorta di risarcimento perché ha sostenuto di aver rinunciato alla propria attività per favorire la carriera della compagna. La donna, 44 anni, aveva ottenuto un assegno di 550 euro mensili, ma la Corte d’Appello di Trieste nel 2020 l’aveva revocato e così lei si è rivolta alla Suprema Corte. La Cassazione ha quindi ribaltato la decisione precedente, spiegando che nonostante l’unione civile presenti delle differenze rispetto al matrimonio si applica anche ad essa l’articolo 5, comma 6, della legge 898/1970, ovvero la legge sul divorzio. «Anche l’unione civile» scrive la Corte, quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione, «benché rappresenti un istituto diverso dall’archetipo del matrimonio e dal paradigma della famiglia come società naturale che su di esso si fonda, è espressione di una comunità degli affetti nel disegno pluralistico dei modelli familiari che si registra a seguito dell’evoluzione sociale e dei costumi». Insomma l’assegno divorzile può essere riconosciuto ma occorre verificare l’inadeguatezza dei mezzi di sussistenza, l’impossibilità di procurarseli nonostante un impegno diligente e l’eventuale squilibrio economico determinato dai sacrifici compiuti per la vita comune che c’è stata. Di esigenza assistenziale si parla quando l’ex compagno o compagna è privo di risorse economiche per soddisfare le normali esigenze di vita e non può in concreto procurarsele, con la conseguenza che non può affrontare autonomamente, malgrado il ragionevole sforzo che gli si può richiedere il percorso di vita successivo al divorzio. Principi che per la Cassazione sono senz’altro validi anche per l’assegno divorzile chiesto dopo lo scioglimento dell’unione civile.La decisione del Palazzaccio riconosce così una doppia funzione all’assegno. Da un lato, quella assistenziale, che serve a garantire all’ex partner un livello di vita dignitoso. Dall’altro, quella compensativa, che mira a riequilibrare i rapporti economici quando uno dei due abbia rinunciato a opportunità lavorative o personali per sostenere la coppia o favorire la crescita del patrimonio comune.Nulla esclude, ricorda ancora la Cassazione, che anche nella unione civile ci siano figli biologici o in stepchild adoption, a maggior ragione se essa è costituita da due donne o soggetti anziani di cui prendersi cura. Situazione che rende ancora più facilmente applicabili i criteri già elaborati dalla giurisprudenza dell’Alta corte stessa per valutare la funzione compensativa dell’assegno divorzile in relazione a quelli che sono stati i compiti da ciascuno svolti all’interno di questa formazione sociale e alle ragioni per le quali sono state operate scelte che hanno portato a rinunce professionali.La Corte, nell’estendere il diritto ha comunque sottolineato la differenza tra assegno di mantenimento e di divorzio. Il primo presuppone la persistenza del vincolo matrimoniale anche nella condizione di separazione ed è fondato sulla resistenza del dovere di assistenza materiale e morale; è inoltre collegato al tenore di vita tenuto durante il matrimonio di cui tendenzialmente deve garantire la conservazione, anche se non può estendersi fino a comprendere ciò che il richiedente è effettivamente in grado di procurarsi da solo. L’assegno di divorzio invece presuppone lo scioglimento del vincolo e che gli ex coniugi intraprendano una vita autonoma, per cui resiste solo un vincolo di solidarietà post-coniugale, con più forte rilevanza della autoresponsabilità, che a causa del divorzio diventa individuale, con la conseguenza per cui entrambi sono tenuti a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignità.Un’altra differenza per l’unione civile rispetto al matrimonio è nella mancanza della fase della separazione: si passa direttamente allo scioglimento, e non è previsto un assegno durante quel periodo intermedio. Infine quanto stabilito dalla Cassazione non vale per le coppie che di fatto convivono ma non hanno formalizzato la loro unione. Pur disponendo di strumenti come il contratto di convivenza, non spetta loro un sostegno economico come quello per gli ex coniugi o ex partner di unione civile.
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Arrivò prima dei fratelli Lumière il pioniere del cinema Filoteo Alberini, quando nel 1894 cercò di brevettare il kinetografo ispirato da Edison ed inventò una macchina per le riprese su pellicola. Ma la burocrazia italiana ci mise un anno per rilasciare il brevetto, mentre i fratelli francesi presentavano l’anno successivo il loro cortometraggio «L’uscita dalle officine Lumière». Al di là del mancato primato, il regista e produttore italiano nato ad Orte nel 1865 poté fregiarsi di un altro non meno illustre successo: la prima proiezione della storia in una pubblica piazza di un’opera cinematografica, avvenuta a Roma in occasione dell’anniversario della presa di Roma. Era il 20 settembre 1905, trentacinque anni dopo i fatti che cambiarono la storia italiana, quando nell’area antistante Porta Pia fu allestito un grande schermo per la proiezione di quello che si può considerare il primo docufilm in assoluto. L’evento, pubblicizzato con la diffusione di un gran numero di volantini, fu atteso secondo diverse fonti da circa 100.000 spettatori.
Filoteo Alberini aveva fondato poco prima la casa di produzione «Alberini & Santoni», in uno stabile di via Appia Nuova attrezzato con teatri di posa e sale per il montaggio e lo sviluppo delle pellicole. La «Presa di Roma» era un film della durata di una decina di minuti per una lunghezza totale di 250 metri di pellicola, della quale ne sono stati conservati 75, mentre i rimanenti sono andati perduti. Ciò che oggi è visibile, grazie al restauro degli specialisti del Centro Sperimentale di Cinematografia, sono circa 4 minuti di una storia divisa in «quadri», che sintetizzano la cronaca di quel giorno fatale per la storia dell’Italia postunitaria. La sequenza parte con l’arrivo a Ponte Milvio del generale Carchidio di Malavolta, intenzionato a chiedere al generale Kanzler la resa senza spargimento di sangue. Il secondo quadro è girato in un interno, probabilmente nei teatri di posa della casa di Alberici e mostra in un piano sequenza l’incontro tra il messo italiano e il comandante delle forze pontificie generale Hermann Kanzler, che rifiuta la resa agli italiani. I quadri successivi sono andati perduti e il girato riprende con i Bersaglieri che passano attraverso la breccia nelle mura di Porta Pia, per passare quindi all’inquadratura di una bandiera bianca che sventola sopra le mura vaticane. L’ultimo quadro non è animato ed è colorato artificialmente (anche se negli anni alcuni studiosi hanno affermato che in origine lo fosse). Nominata «Apoteosi», l’ultima sequenza è un concentrato di allegorie, al centro della quale sta l’Italia turrita affiancata dalle figure della mitopoietica risorgimentale: Cavour, Vittorio Emanuele II, Garibaldi e Mazzini. Sopra la figura dell’Italia brilla una stella che irradia la scena. Questo dettaglio è stato interpretato come un simbolo della Massoneria, della quale Alberici faceva parte, ed ha consolidato l’idea della forte impronta anticlericale del film. Le scene sono state girate sia in esterna che in studio e le scenografie realizzate da Augusto Cicognani, che si basò sulle foto dell’epoca scattate da Ludovico Tumminello nel giorno della presa di Roma. Gli attori principali del film sono Ubaldo Maria del Colle e Carlo Rosaspina. La pellicola era conosciuta all’epoca anche con il titolo di «La Breccia di Porta Pia» e «Bandiera Bianca».
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