2022-01-08
Le regole dell’Ue su gas e rinnovabili fregano l’Italia e privilegiano Berlino
La bozza sulle energie verdi permette di finanziare solo interventi per sostituire centrali a carbone e petrolio: da noi sono residuali, al contrario che in Germania. In gioco 10 miliardi. C’è tempo fino al 12 per fare modifiche.Il diavolo si nasconde nei dettagli. La bozza della Commissione europea per una tassonomia degli investimenti sostenibili, oltre al controverso inserimento del nucleare tra le fonti finanziabili, contiene un grave fattore distorsivo che penalizzerebbe l’Italia. Sul tema si è registrata ieri la voce, isolata, del senatore Paolo Arrigoni, responsabile energia della Lega, che ha diffuso una nota in cui si dice preoccupato per i contenuti della proposta della Commissione. «Bene che la Commissione Ue abbia finalmente deciso di riconoscere gas e nucleare nella tassonomia che finanzia le fonti green, ma la bozza di atto delegato presentata a fine anno da Bruxelles contiene elementi di forte preoccupazione per l’Italia», scrive Arrigoni, «I criteri per il gas naturale sono troppo stringenti, poco compatibili con le attuali tecnologie e per il nostro Paese, in particolare, è penalizzante la proposta di includere tra i progetti finanziabili solo le centrali a gas che sostituiscono quelle a carbone o a petrolio», prosegue poi la nota del senatore leghista. L’atto delegato, in effetti, sembra perfettamente ritagliato sulle esigenze della Francia, per il nucleare, e della Germania, per il gas. La Commissione, occupata a trovare una mediazione tra i due Paesi core dell’Unione, ha proposto una soluzione che non considera le particolarità degli altri Stati membri, ad esempio l’Italia. Il nostro Paese ha avviato dagli anni Novanta un forte sviluppo di impianti a gas e un progressivo abbandono del carbone, ormai fonte residuale e per cui è già deciso il totale phase out nel 2025. Ma, soprattutto, in Italia ci sono progetti per una cinquantina di impianti a gas nuovi, da destinare al capacity market, per complessivi 20.000 Mw e investimenti superiori ai 10 miliardi di euro. Il capacity market è necessario per sostenere lo sviluppo previsto di solare ed eolico: sono gli impianti che dovranno intervenire istantaneamente per stabilizzare la rete compensando l’intermittenza delle fonti rinnovabili. Secondo la bozza di tassonomia, però, sono finanziabili nuovi impianti a gas solo a condizione che questi sostituiscano impianti a combustibile fossile solidi o liquidi (carbone o petrolio): dunque praticamente tutti gli impianti destinati al capacity market italiano sarebbero fuori gioco. Inoltre, l’altra condizione che rende finanziabili gli impianti a gas è che questi mantengano un fattore di emissione non superiore a 270 grammi di CO2 equivalente per kilowattora prodotto. Una vera e propria tagliola, un coefficiente molto distante dai valori correnti, anche per un impianto nuovissimo (oggi questo parametro è tra i 380 e i 450 grammi). Il rischio è che una massa rilevante di investimenti venga penalizzato non potendo accedere alle agevolazioni previste dalla tassonomia, pur essendo l’Italia più avanti nel processo di decarbonizzazione della Germania, che ha ancora decine di migliaia di Mw di potenza elettrica a carbone e lignite.Al di là dell’aspetto tecnico, il punto ora è politico. Chi e come può intervenire per correggere il tiro? Il processo di approvazione prevede che entro il 12 gennaio il gruppo di esperti degli Stati membri sulla finanza sostenibile proponga contributi anche in modifica. Di questo gruppo per l’Italia fanno parte il ministero dell’Economia e delle finanze e il ministero per la Transizione ecologica. Trascorso questo termine, la Commissione pubblicherà l’atto, che non sarà più modificabile. Questo perché sia il Consiglio europeo sia il Parlamento europeo hanno già delegato la Commissione a deliberare sul punto (per questo si chiama atto delegato). La pubblicazione potrebbe avvenire il 18 gennaio. Nei quattro mesi seguenti, prorogabili di altri due, al documento pubblicato può essere opposto il veto dalla maggioranza qualificata dei Paesi dell’Ue in sede di Consiglio europeo, cioè da almeno 20 Stati membri che rappresentino almeno il 65% della popolazione europea. Anche il Parlamento europeo può opporre un veto, in seduta plenaria e con la maggioranza di almeno 353 voti. Ma il gruppo dei Popolari, il più grande a Strasburgo, ha già annunciato che non appoggerebbe un veto, così come il gruppo Renew Europe. Il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ha fatto sapere nei giorni scorsi che in una votazione al Consiglio europeo si asterrebbe, rinunciando anche alla ipotesi di una causa legale contro la Commissione, paventata dal governo austriaco. Dunque, per l’Italia la finestra temporale per intervenire è davvero stretta ed è solo il governo che può proporre a stretto giro delle modifiche alla bozza di tassonomia. Possono il ministro Daniele Franco e il ministro Roberto Cingolani agire entro il 12 gennaio e chiedere di inserire le modifiche che salverebbero 10 miliardi di investimenti? Il governo, tutto dedito all’ossessiva rincorsa al Covid, appare in ritardo sul tema, oltre che diviso. Nei giorni scorsi, Matteo Salvini ha criticato aspramente la presa di posizione di Enrico Letta, che si era espresso con un doppio no a nucleare e gas. Sulla stessa posizione del Pd è il Movimento 5 stelle. Come ha fatto notare Paolo Arrigoni, però, il tema vero per l’Italia è adesso quale gas. Si tratta di fare esercizio di pragmatismo. La sicurezza del sistema elettrico italiano è in gioco, poiché un capacity market finanziato a condizioni marginali frenerebbe lo stesso sviluppo delle fonti rinnovabili, mentre l’intero sistema avrebbe costi più alti. Sta al governo di Mario Draghi agire in questi giorni, prima che, ancora una volta, l’Europa ci penalizzi con le sue regole asimmetriche.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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