2020-02-11
«Le nuove intercettazioni non sono sicure»
Allarme sulle aziende private che lavorano per le Procure: «A rischio manipolazione i trasferimenti di dati agli investigatori». Un pericolo per gli imputati ma anche per le indagini. Esperti convocati in Senato per valutare gli effetti della riforma Orlando.La mamma degli orrori giudiziari è sempre incinta e sta per produrre un nuovo mostro. Le intercettazioni effettuate dai privati per conto dello Stato, comprese quelle con i virus trojan, sono a serio rischio di manipolazione e nel corso del loro trasferimento ai server delle Procure sono a loro volta ampiamente intercettabili e attaccabili da hacker. L'allarme è risuonato nelle ultime settimane in commissione Giustizia al Senato e oltre che da vari procuratori, è stato lanciato dagli stessi manager di alcune delle agenzie private, insieme al Garante della privacy. Attutito dallo scontro sulla prescrizione, in realtà il pasticcio delle norme volute dall'ex ministro Andrea Orlando rischia di esplodere e di mettere a rischio i più elementari diritti dell'imputato a non essere giudicato sulla base di prove manipolabili e quelli dell'indagato a non subire un'intromissione a 360 gradi nella propria vita privata.Oggi, a Palazzo Madama, saranno di scena vari esperti del ministero della Giustizia, incaricati di rassicurare i senatori sull'efficacia delle nuove norme. Ma i dubbi sono tantissimi e sono essenzialmente di carattere tecnico. La scorsa settimana, i responsabili di tre fra le oltre 140 ditte che lavorano per le Procure, ovvero Rcs, Sio e Innova, hanno tranquillamente ammesso che il sistema non garantisce né l'autenticità né la genuinità delle intercettazioni e di tutto il materiale raccolto. Al centro dell'attenzione ci sono i famosi trojan, dei virus capaci di inserirsi in qualunque dispositivo elettronico e di catturarne l'intero contenuto e tutto ciò che vi transita: voci, immagini, archivi, frequentazioni on line, materiale scaricato e così via. Più precisamente, quello che la legge definisce «captatore informatico» consiste in un malware che, dopo l'installazione a tradimento su un telefono cellulare o su un computer, consente in remoto di prendere il comando dello stesso. Come hanno spiegato i tecnici, è teoricamente possibile che un trojan infetti un cellulare caricando su di questo immagini o altro materiale all'insaputa del proprietario. Materiale che non è riferibile all'intercettato e che potrebbe anche costituire un diverso reato, come le immagini di pedopornografia. Oltre a questo rischio, c'è il problema del trasferimento delle intercettazioni dall'agenzia privata alla Procura. Alcuni dei tecnici informatici ascoltati in Senato hanno segnalato che al momento è quasi impossibile trasferire i dati nel formato originale. Con evidenti rischi di manipolazione del materiale probatorio. Fughe di notizie diventano un rischio reale e la tutela della privacy dell'imputato va a farsi benedire. Non solo, ma visto che il nuovo sistema immaginato da Orlando prevede una raccolta di intercettazioni così a rischio di legittimità, quanti delicatissimi processi per mafia potrebbero saltare per un'eccezione tutto sommato assai ragionevole sull'ammissibilità di una prova raccolta con così poche garanzie? Anche il diritto dei difensori ad ascoltare e visionare il materiale oggetto della richiesta di misura cautelare rischia di essere limitato. Il procuratore distrettuale Antimafia di Messina, Maurizio De Lucia, nella sua audizione ha ricordato che il codice di procedura penale prevede che le intercettazioni vadano fatte ascoltare ai legali anche se sono ancora in corso, «ma al momento non è chiaro se questo passaggio delle intercettazioni dal privato al server della Procura debba avvenire in tempo reale o al termine delle operazioni». E questo perché in larga parte d'Italia questa trasmissione in diretta non avviene per motivi tecnici. E quindi gli avvocati che cosa visionano? Solo una parte del materiale d'accusa. Così che la difesa diventa una tombola. Anche Antonello Soro, Garante della privacy, ha sollevato parecchi dubbi sui trojan, sottolineando il rischio che degenerino in «mezzi di sorveglianza massiva», ma anche in «fattori di moltiplicazione della vulnerabilità delle prove». Insomma, da un lato si rischia di spiare e sequestrare l'intera vita di una persona e dei suoi contatti, ampliando a dismisura la mole del materiale riservato (ma ininfluente) da distruggere in sicurezza, ma dall'altro la pubblica accusa corre il pericolo di avere tra le mani prove taroccabili. Un altro problema enorme è costituito dal fatto che spesso vengono usati dei cloud per l'archiviazione delle intercettazioni che sono situati in Stati extraeuropei. Significa che i server non sono più soggetti alla legge italiana e questo è un male sia per la tutela dei diritti dell'imputato, sia per l'efficacia e la riservatezza delle indagini. E quando tutto è finito e bisogna distruggere le intercettazioni, con la riforma Orlando si è sicuri che l'operatore privato vi provveda? Per Bruno Cherchi, procuratore di Venezia, non c'è certezza neppure qui. Sempre in Senato, il magistrato ha fatto notare che «non vi sono sistemi di controllo sui server delle ditte per accertare né la correttezza del trasferimento dei dati, né se le intercettazioni vengano cancellate dalla ditta che le ha effettuate». Quando appaltare la giustizia significa anche appaltare le più elementari garanzie.
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