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2020-04-27
Le mani straniere si allungano sulle aziende in crisi
iStock
Banche che finanziano soggetti stranieri per acquisire aziende italiane fiaccate dalla crisi, strategie predatorie perseguite entrando nel capitale delle società con quote di minoranza per condizionarne la direzione e poi impadronirsene, servizi segreti esteri che passano al setaccio i migliori brevetti made in Italy affinché le «rapine» siano a colpo sicuro. Il fenomeno dell'Italia in svendita è sotto l'attenzione dell'intelligence che se ne sta occupando da diversi anni.
A gennaio il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza) ha avviato delle audizioni, cominciando da banche e assicurazioni, per comprendere il rischio di scalate ostili dall'estero ad aziende strategiche italiane. Tra le manovre indagate c'è anche quella di banche che concedono prestiti a società estere per scalare le nostre imprese. Il Comitato starebbe riflettendo se sentire anche i rappresentanti italiani di Deutsche Bank, oltre ai vertici di Unicredit, Generali, Mediobanca, Ubi, Crédit Agricole Italia, Intesa SanPaolo e Mps. I servizi già nella relazione annuale del 2018 avevano sottolineato il fenomeno dell'incunearsi nei consigli d'amministrazione o tra i dirigenti di soggetti infiltrati da Stati esteri. La relazione non indica le nazioni in ballo ma è noto che alcuni Stati hanno un sistema di intelligence economica molto aggressiva: la Francia, la Cina e la Russia. All'attenzione dell'intelligence è anche l'ipotesi che banche italiane e estere abbiano utilizzato i risparmi italiani per finanziare operazioni di acquisizioni internazionali di dominio globale di soggetti stranieri concorrenti di quelli italiani in settori fondamentali del made in Italy.
Le banche e le assicurazioni estere sono zeppe di titoli del debito pubblico italiano, ne possiedono circa un terzo. Secondo il quotidiano tedesco Die Welt, il primo investitore estero nel nostro debito (esclusa la Bce) è la Francia. Banche e assicurazioni d'oltralpe detengono oltre 285 miliardi di euro in titoli di Stato italiani (secondo i dati di Bloomberg e Eba), più del triplo degli istituti tedeschi (58 miliardi) e degli spagnoli (21 miliardi). Le banche francesi hanno acquisito due importanti gruppi italiani (Bnl da parte di Bnp Paribas e CariParma da parte di Credit Agricole). A questo tema si aggiunge quello dei Npl, i crediti deteriorati che le banche italiane hanno ceduto a grossi fondi stranieri, dimezzando la zavorra da 360 miliardi di euro. Questa massa critica rischia di tornare a crescere, come evidenziato dal generale Luciano Carta, in audizione quando era ancora direttore dell'Aise. Non solo. Tali gruppi internazionali potrebbero rivalersi sulle imprese a cui fanno capo gli Npl con condizioni da usura, come conferma Adolfo Urso.
Il presidente del Copasir Raffaele Volpi ha detto che intende verificare se nel medio e breve periodo «si intravedono azioni internazionali che con la raccolta dei risparmi degli italiani abbiano direttamente o indirettamente aperto linee di credito ingenti a soggetti fuori dal Paese, ascrivibili forse addirittura a quell'elenco di attori interessati all'aggressione degli asset nazionali». I servizi segreti, nella relazione annuale, avevano evidenziato l'interesse costante da parte di attori esteri nei confronti del comparto produttivo, specialmente delle Pmi. Poi hanno acceso i riflettori su quelle strategie d'investimento estero che, finalizzate al controllo di talune imprese nazionali del settore manifatturiero, si sono tradotte nell'acquisizione di marchi e brevetti e nella delocalizzazione dei siti produttivi trasferendo oltre confine i centri decisionali. Contro le scalate ostili, il decreto liquidità ha esteso la Golden Power a nuovi settori strategici. Ma questo scudo non basta. La vera protezione delle impresa è la liquidità.
Le Pmi sono la preda più ambita. Alta tecnologia, pochi dipendenti, prodotti competitivi, grande flessibilità, sono le caratteristiche che le rendono uniche al mondo. Rappresentano circa il 90% del nostro tessuto produttivo. Le più competitive sono raggruppate nei circa 200 distretti manifatturieri e di questi oltre la metà sono impegnati nelle lavorazioni tipiche del Made in Italy, come l'agroalimentare, la moda e l'arredamento. Solo nel Nord Est se ne trovano più di 40, circa il 27% del totale nazionale. I più conosciuti sono quello della scarpa del Brenta, l'orafo vicentino, l'occhialeria di Belluno, il distretto del Prosecco, in provincia di Treviso. In Friuli c'è il distretto della sedia di Manzano, del coltello di Maniago o il famoso agroalimentare di San Daniele. Una particolarità di questa regione, poi, è il distretto delle tecnologie digitali Ditedi che ingloba 800 imprese in provincia di Udine, una piccola Silicon Valley italiana. Hanno un know how altissimo. Solo per gli occhiali si contano tremila marchi. Giovanni Lo Faro, amministratore delegato di Modo Eyewear, fabbrica di montature in Cadore, dice: «Oltre al colosso Luxottica c'è un mondo di migliaia di piccole aziende con mezzo milione di fatturato ma super specializzate e molto competitive. Quando un'azienda vive investendo gran parte del fatturato in innovazione e all'improvviso si trova bloccata e senza liquidità diventa facile preda. E se ha alta tecnologia è più appetibile».
Agnese Lunardelli, imprenditrice di Venezia con un'azienda di serramenti e arredamento, dice che nella sua regione l'avanzata cinese è strisciante e sistematica. «Basta guardarsi attorno: commercio e ristorazione sono nelle loro mani. Procedono in silenzio, magari iniziando con partnership e poi si impossessano dell'azienda. Oppure mettono un socio. La crisi che seguirà al Covid rischia di accelerare questo processo». L'unica salvezza è dare liquidità, afferma Lunardelli, «ma non nella formula del prestito garantito che comunque è un debito. Chi ha l'acqua alla gola non pensa a indebitarsi». Paolo Bastianello è un imprenditore veneto nel settore moda. «Le nostre aziende sono le più esposte. Stiamo perdendo quote di mercato. Facciamo gola soprattutto a cinesi e giapponesi. Talvolta ai gruppi esteri basta il marchio, poter scrivere made in Italy».
Nel Nord Ovest altri 40 distretti anche qui di piccole realtà come nel settore florovivaistico, nella cosmesi oltre all'indotto Fiat. Nel sud sono più di 10.000 le Pmi con 140.000 occupati. Se è in atto un'azione di intelligence straniera volta a individuare i migliori brevetti italiani per poi procedere con strategie di acquisto, il mirino è puntato sui distretti. Lì la pesca di qualità è sicura.
Le manovre dei fondi speculativi per impadronirsi degli hotel italiani
I fondi speculativi internazionali si sono già fatti avanti. Stanno fiutando quali sono gli affari migliori, le prede più deboli, i ribassi che possono spuntare. Non hanno fretta. Sanno che tra un paio di mesi, quando la crisi comincerà a mordere davvero, potranno passare con la rete a strascico.
Nomi non ne vuole fare il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, ma dice che le grandi manovre per accaparrarsi i più prestigiosi asset alberghieri sono cominciate. Gli avvoltoi del Covid non hanno perso tempo. «Fino a due mesi fa era l'albergatore a fare il prezzo, ora sfiancato dall'azzeramento del fatturato, con i costi che continuano a correre, senza sapere quando e come riaprirà, potrebbe essere costretto a vendere alle condizioni del compratore. E, mi creda, liquidità in giro ce n'è tanta. La Cina è stata la prima a uscire dall'emergenza Covid, la sua economia ha ripreso a marciare e non ha mai nascosto l'interesse per i nostri gioielli turistici. Fino a gennaio c'era più domanda che offerta, figurarsi ora».
I grandi brand internazionali hanno avviato da tempo una strategia di espansione nelle principali città italiane. Molti hanno puntato sul franchising per la difficoltà di acquisire asset. Ora il gioco potrebbe essere più facile.
«I fondi speculativi sanno che passata la tempesta, il settore si riprenderà. Noi già sappiamo che faremo un buon 2021. Il problema è il 2020. Quindi acquistare oggi, a prezzi bassi con tassi bancari ai minimi, consente di realizzare, dal prossimo anno, grosse plusvalenze. I fondi non investono comprando Btp. Mi aspetto il passaggio di mano anche di grandi proprietà immobiliari da trasformare in alberghi di lusso» ci spiega Bernabò Bocca.
L'unico scudo, sostiene Federalberghi, è dare liquidità alle aziende. «Ma non tramite il Decreto liquidità perché rappresenta un ulteriore indebitamento, i soldi arrivano in ritardo e sei anni di finanziamento e tre di preammortamento in una situazione in cui il 2020 è bruciato, è una strada senza uscita».
Le offerte più sfacciate si registrano sulla costiera romagnola. Gli albergatori ne stanno ricevendo in continuazione talvolta con toni da stalking usuraio. «Ora ti offriamo tot milioni, se aspetti tre mesi te ne diamo due terzi e se ci pensi ancora ti prendi la metà».
Così il proprietario dell'albergo, con la cassa a secco che ha investito nell'ammodernamento della struttura facendo con un mutuo, se fino a due mesi fa avrebbe messo alla porta l'acquirente, anche in malo modo, ora fa fatica a non prendere in considerazione l'offerta. Tanto più che oltre ai soldi cash, spesso il passaggio di proprietà prevede il trasferimento dei debiti.
Simone Battistoni, proprietario di uno stabilimento a Cesenatico e presidente del sindacato balneari dell'Emilia-Romagna, ci riferisce che la Guardia di Finanza sta facendo girare un questionario per verificare se sono state vendute quote di aziende. «Io penso però che se qualcuno vuole fare l'affare e speculare sulle nostre difficoltà, aspetta la fine dell'estate quando ci saremo fatti male davvero. Chi ora è con l'acqua alla gola, tra un paio di mesi è affogato» dice Battistoni.
Queste situazioni sono arrivate all'attenzione delle istituzioni. Dietro agli acquirenti stranieri potrebbe anche nascondersi un giro di denaro sporco, riconducibile alla malavita. Non a caso il Viminale ha diramato una circolare a tutti i prefetti lanciando l'allarme sul rischio di infiltrazioni mafiose in settori resi vulnerabili dalla crisi.
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Fiaccate dallo stop, le nostre imprese fanno gola oltralpe. L'allarme del Copasir che teme scalate ostili, anche con l'aiuto dei servizi segreti esteri. Sotto osservazione le mosse di Pechino, Parigi e Mosca.Bernabò Bocca (Federalberghi): «Molte strutture senza incassi finiranno per svendere I cinesi hanno già cominciato a muoversi» E il Viminale ha allertato i prefetti sul rischio di infiltrazioni della malavita.Lo speciale contiene due articoli.Banche che finanziano soggetti stranieri per acquisire aziende italiane fiaccate dalla crisi, strategie predatorie perseguite entrando nel capitale delle società con quote di minoranza per condizionarne la direzione e poi impadronirsene, servizi segreti esteri che passano al setaccio i migliori brevetti made in Italy affinché le «rapine» siano a colpo sicuro. Il fenomeno dell'Italia in svendita è sotto l'attenzione dell'intelligence che se ne sta occupando da diversi anni. A gennaio il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza) ha avviato delle audizioni, cominciando da banche e assicurazioni, per comprendere il rischio di scalate ostili dall'estero ad aziende strategiche italiane. Tra le manovre indagate c'è anche quella di banche che concedono prestiti a società estere per scalare le nostre imprese. Il Comitato starebbe riflettendo se sentire anche i rappresentanti italiani di Deutsche Bank, oltre ai vertici di Unicredit, Generali, Mediobanca, Ubi, Crédit Agricole Italia, Intesa SanPaolo e Mps. I servizi già nella relazione annuale del 2018 avevano sottolineato il fenomeno dell'incunearsi nei consigli d'amministrazione o tra i dirigenti di soggetti infiltrati da Stati esteri. La relazione non indica le nazioni in ballo ma è noto che alcuni Stati hanno un sistema di intelligence economica molto aggressiva: la Francia, la Cina e la Russia. All'attenzione dell'intelligence è anche l'ipotesi che banche italiane e estere abbiano utilizzato i risparmi italiani per finanziare operazioni di acquisizioni internazionali di dominio globale di soggetti stranieri concorrenti di quelli italiani in settori fondamentali del made in Italy. Le banche e le assicurazioni estere sono zeppe di titoli del debito pubblico italiano, ne possiedono circa un terzo. Secondo il quotidiano tedesco Die Welt, il primo investitore estero nel nostro debito (esclusa la Bce) è la Francia. Banche e assicurazioni d'oltralpe detengono oltre 285 miliardi di euro in titoli di Stato italiani (secondo i dati di Bloomberg e Eba), più del triplo degli istituti tedeschi (58 miliardi) e degli spagnoli (21 miliardi). Le banche francesi hanno acquisito due importanti gruppi italiani (Bnl da parte di Bnp Paribas e CariParma da parte di Credit Agricole). A questo tema si aggiunge quello dei Npl, i crediti deteriorati che le banche italiane hanno ceduto a grossi fondi stranieri, dimezzando la zavorra da 360 miliardi di euro. Questa massa critica rischia di tornare a crescere, come evidenziato dal generale Luciano Carta, in audizione quando era ancora direttore dell'Aise. Non solo. Tali gruppi internazionali potrebbero rivalersi sulle imprese a cui fanno capo gli Npl con condizioni da usura, come conferma Adolfo Urso. Il presidente del Copasir Raffaele Volpi ha detto che intende verificare se nel medio e breve periodo «si intravedono azioni internazionali che con la raccolta dei risparmi degli italiani abbiano direttamente o indirettamente aperto linee di credito ingenti a soggetti fuori dal Paese, ascrivibili forse addirittura a quell'elenco di attori interessati all'aggressione degli asset nazionali». I servizi segreti, nella relazione annuale, avevano evidenziato l'interesse costante da parte di attori esteri nei confronti del comparto produttivo, specialmente delle Pmi. Poi hanno acceso i riflettori su quelle strategie d'investimento estero che, finalizzate al controllo di talune imprese nazionali del settore manifatturiero, si sono tradotte nell'acquisizione di marchi e brevetti e nella delocalizzazione dei siti produttivi trasferendo oltre confine i centri decisionali. Contro le scalate ostili, il decreto liquidità ha esteso la Golden Power a nuovi settori strategici. Ma questo scudo non basta. La vera protezione delle impresa è la liquidità. Le Pmi sono la preda più ambita. Alta tecnologia, pochi dipendenti, prodotti competitivi, grande flessibilità, sono le caratteristiche che le rendono uniche al mondo. Rappresentano circa il 90% del nostro tessuto produttivo. Le più competitive sono raggruppate nei circa 200 distretti manifatturieri e di questi oltre la metà sono impegnati nelle lavorazioni tipiche del Made in Italy, come l'agroalimentare, la moda e l'arredamento. Solo nel Nord Est se ne trovano più di 40, circa il 27% del totale nazionale. I più conosciuti sono quello della scarpa del Brenta, l'orafo vicentino, l'occhialeria di Belluno, il distretto del Prosecco, in provincia di Treviso. In Friuli c'è il distretto della sedia di Manzano, del coltello di Maniago o il famoso agroalimentare di San Daniele. Una particolarità di questa regione, poi, è il distretto delle tecnologie digitali Ditedi che ingloba 800 imprese in provincia di Udine, una piccola Silicon Valley italiana. Hanno un know how altissimo. Solo per gli occhiali si contano tremila marchi. Giovanni Lo Faro, amministratore delegato di Modo Eyewear, fabbrica di montature in Cadore, dice: «Oltre al colosso Luxottica c'è un mondo di migliaia di piccole aziende con mezzo milione di fatturato ma super specializzate e molto competitive. Quando un'azienda vive investendo gran parte del fatturato in innovazione e all'improvviso si trova bloccata e senza liquidità diventa facile preda. E se ha alta tecnologia è più appetibile».Agnese Lunardelli, imprenditrice di Venezia con un'azienda di serramenti e arredamento, dice che nella sua regione l'avanzata cinese è strisciante e sistematica. «Basta guardarsi attorno: commercio e ristorazione sono nelle loro mani. Procedono in silenzio, magari iniziando con partnership e poi si impossessano dell'azienda. Oppure mettono un socio. La crisi che seguirà al Covid rischia di accelerare questo processo». L'unica salvezza è dare liquidità, afferma Lunardelli, «ma non nella formula del prestito garantito che comunque è un debito. Chi ha l'acqua alla gola non pensa a indebitarsi». Paolo Bastianello è un imprenditore veneto nel settore moda. «Le nostre aziende sono le più esposte. Stiamo perdendo quote di mercato. Facciamo gola soprattutto a cinesi e giapponesi. Talvolta ai gruppi esteri basta il marchio, poter scrivere made in Italy». Nel Nord Ovest altri 40 distretti anche qui di piccole realtà come nel settore florovivaistico, nella cosmesi oltre all'indotto Fiat. Nel sud sono più di 10.000 le Pmi con 140.000 occupati. Se è in atto un'azione di intelligence straniera volta a individuare i migliori brevetti italiani per poi procedere con strategie di acquisto, il mirino è puntato sui distretti. Lì la pesca di qualità è sicura. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-mani-straniere-si-allungano-sulle-aziende-in-crisi-2645848486.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-manovre-dei-fondi-speculativi-per-impadronirsi-degli-hotel-italiani" data-post-id="2645848486" data-published-at="1587923965" data-use-pagination="False"> Le manovre dei fondi speculativi per impadronirsi degli hotel italiani I fondi speculativi internazionali si sono già fatti avanti. Stanno fiutando quali sono gli affari migliori, le prede più deboli, i ribassi che possono spuntare. Non hanno fretta. Sanno che tra un paio di mesi, quando la crisi comincerà a mordere davvero, potranno passare con la rete a strascico. Nomi non ne vuole fare il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, ma dice che le grandi manovre per accaparrarsi i più prestigiosi asset alberghieri sono cominciate. Gli avvoltoi del Covid non hanno perso tempo. «Fino a due mesi fa era l'albergatore a fare il prezzo, ora sfiancato dall'azzeramento del fatturato, con i costi che continuano a correre, senza sapere quando e come riaprirà, potrebbe essere costretto a vendere alle condizioni del compratore. E, mi creda, liquidità in giro ce n'è tanta. La Cina è stata la prima a uscire dall'emergenza Covid, la sua economia ha ripreso a marciare e non ha mai nascosto l'interesse per i nostri gioielli turistici. Fino a gennaio c'era più domanda che offerta, figurarsi ora». I grandi brand internazionali hanno avviato da tempo una strategia di espansione nelle principali città italiane. Molti hanno puntato sul franchising per la difficoltà di acquisire asset. Ora il gioco potrebbe essere più facile. «I fondi speculativi sanno che passata la tempesta, il settore si riprenderà. Noi già sappiamo che faremo un buon 2021. Il problema è il 2020. Quindi acquistare oggi, a prezzi bassi con tassi bancari ai minimi, consente di realizzare, dal prossimo anno, grosse plusvalenze. I fondi non investono comprando Btp. Mi aspetto il passaggio di mano anche di grandi proprietà immobiliari da trasformare in alberghi di lusso» ci spiega Bernabò Bocca. L'unico scudo, sostiene Federalberghi, è dare liquidità alle aziende. «Ma non tramite il Decreto liquidità perché rappresenta un ulteriore indebitamento, i soldi arrivano in ritardo e sei anni di finanziamento e tre di preammortamento in una situazione in cui il 2020 è bruciato, è una strada senza uscita». Le offerte più sfacciate si registrano sulla costiera romagnola. Gli albergatori ne stanno ricevendo in continuazione talvolta con toni da stalking usuraio. «Ora ti offriamo tot milioni, se aspetti tre mesi te ne diamo due terzi e se ci pensi ancora ti prendi la metà». Così il proprietario dell'albergo, con la cassa a secco che ha investito nell'ammodernamento della struttura facendo con un mutuo, se fino a due mesi fa avrebbe messo alla porta l'acquirente, anche in malo modo, ora fa fatica a non prendere in considerazione l'offerta. Tanto più che oltre ai soldi cash, spesso il passaggio di proprietà prevede il trasferimento dei debiti. Simone Battistoni, proprietario di uno stabilimento a Cesenatico e presidente del sindacato balneari dell'Emilia-Romagna, ci riferisce che la Guardia di Finanza sta facendo girare un questionario per verificare se sono state vendute quote di aziende. «Io penso però che se qualcuno vuole fare l'affare e speculare sulle nostre difficoltà, aspetta la fine dell'estate quando ci saremo fatti male davvero. Chi ora è con l'acqua alla gola, tra un paio di mesi è affogato» dice Battistoni. Queste situazioni sono arrivate all'attenzione delle istituzioni. Dietro agli acquirenti stranieri potrebbe anche nascondersi un giro di denaro sporco, riconducibile alla malavita. Non a caso il Viminale ha diramato una circolare a tutti i prefetti lanciando l'allarme sul rischio di infiltrazioni mafiose in settori resi vulnerabili dalla crisi.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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