
Nel Cinquecento venivano date come rinvigorente per i cali dell'eros. Oggi, in forma di confetti, sono di buon augurio per gli sposi. Originarie dell'Asia, giunsero al Mediterraneo tramite i fenici. L'Italia è stata il primo produttore mondiale fino agli anni Cinquanta.Nella mitologia classica sono il frutto di una promessa mancata. Ai tempi della guerra di Troia il giovane Demofonte incontrò Fillide, figlia del re di Tracia. Fu amore a prima vista, ma la guerra chiamava e il nostro eroe proseguì la marcia con la promessa di tornare dalla sua amata. Passarono gli anni e Fillide cadde nello sconforto lasciandosi andare, sino alla morte. Commossa, la dea Atena la trasformò in un mandorlo. Demofonte tornò, ma era ormai troppo tardi. Abbracciò quell'albero che custodiva il cuore della sua Fillide e, come d'incanto, germogliarono i più bei fiori che si fossero mai visti. In realtà pare che il mandorlo esistesse già prima dei Giulietta e Romeo dei tempi di Omero. Le sue origini partono dall'Asia centrale. Giunsero al Mediterraneo tramite i fenici e poi si diffusero per mano greca e romana, anche se il vero impulso lo dettero gli arabi al tempo del loro dominio in Sicilia. Ecco nascere quindi le prime elaborazioni, di cui il marzapane è pietra fondante, cui seguirono molte altre. Mandorle legate indissolubilmente alle vicende amorose, al di là di Fillide e Demofonte. Già nel Cinquecento venivano individuate come alimento rinvigorente per chi era in calo di passione amorosa. Con il suo olio veniva valorizzata la cute delle giovani in attesa di promessi sposi. Nel secolo di Giacomo Casanova godevano di più o meno meritata fama i biscotti «ricostituenti». Nella farmacopea del tempo furono usate inizialmente come lassativo, per la loro ricchezza di fibre, cosa che le ha rese consigliate anche nella prevenzione delle neoplasie del colon. Utili anche al sistema cardiovascolare, «spazzine» delle arterie grazie alla ricchezza di antiossidanti e grassi insaturi. Effetti benefici pure sul sistema nervoso, non solo come antidepressivo naturale, ma pure come fattore che riduce il rischio di Alzheimer. L'uso nella cosmetica si è consolidato nei tempi moderni. Il loro olio è nutriente, lubrificante e poco penetrante. Ideale quindi nelle maschere per il viso, per massaggi rassodanti o ridurre le smagliature in gravidanza. Fino alla metà degli anni Cinquanta l'Italia è stata il primo produttore mondiale, tanto che la borsa merci di Bari dettava il mercato a livello internazionale. Poi è sopravvenuto un lento declino; la produzione si è dimezzata, posto che la mandorla italiana, comunque, mantiene la sua eccellenza indiscussa. Due sono le regioni cardine di questa coltivazione, Sicilia e Puglia, anche se la pianta del mandorlo è presente in tutta Italia. La Sicilia ha la sua miniera soprattutto nei dintorni di Noto e Avola. Qua vi sono le tre principali cultivar. La pizzuta, la regina delle mennule. Perfetta per le proprietà organolettiche, ma anche dalla forma ideale per la confetteria posto che, proprio per questo suo storico legame con le vicende amorose, le mandorle sono sempre state viste come bene auguranti della fecondità, ecco perché regalate in confetti a matrimoni o battesimi. Di ottima qualità pure la Fascionello e la Romana. In Puglia la mandorla potrebbe anche chiamarsi sabauda. Infatti, dopo l'unità d'Italia, molte aree boscose, soprattutto vicino alle principali strade, erano infestate da briganti. Raso al suolo il bosco vi piantarono dei mandorleti, in particolare attorno alla zona di Toritto, nel Barese. Per chi fosse interessato a vivere queste storie basta andare ad Avola, dove il locale Museo della mandorla è ricco di testimonianze. Arrivati in cucina, Rossella Venezia ha saputo dare la miglior definizione della mandorla. «È capace di essere umile e al tempo stesso molto elegante, modulandosi a seconda degli ingredienti, da regina a gustosa compartecipe». Vi sono le mandorle dolci e quelle amare. Queste ultime fanno da spalla alle consorelle bianche in pasticceria, ma vengono soprattutto valorizzate … in cantina. Ecco allora la crema di mandorle siciliana; la grappa veneta, l'acquavite pugliese ma, su tutti, lo storico amaretto di Saronno. L'uso in cucina è a tutto menù. Nella stagione estiva molto apprezzato, come dissetante, il latte di mandorle. In Sicilia lo si trova nel caffè in ghiaccio, ma anche allevia le calure estive in versione di granita. Le mandorle ci stanno bene nel dare sprint alle insalate. Tra i primi non mancano i ravioli alle mandorle e quanto fantasia consente, anche se il grande classico lo si trova a Trapani con i Busiati cu l'agghia. I busiati altro non sono che una pasta lavorata con il buso (un ferro da maglia) che li rende sottili tubi attorcigliati ideali per trattenere un condimento che non può che essere a base di pesto alla trapanese, ovvero basilico, aglio, mandorle e pomodoro. Mandorle protagoniste sia abbinate a carni (tipo l'agnello in crosta) o pesci (salmone, trota), anche se il trionfo avviene laddove la glicemia può schizzare a mille. Del torrone abbiamo già narrato in un'altra puntata di questo almanacco goloso. A Varese sono un soffice Amor polenta, prediletto dalla soprano Renata Tebaldi; che dire degli amaretti veronesi o della sbrisolona mantovana? Nell'appennino modenese il croccantino di Frignano viene modellato dai sapienti pasticceri locali in piccole e golose sculture a seconda del gusto del cliente. In Toscana si possono incontrare cantuccini, ricciarelli, panpepato anche se una storia curiosa si trova a Pescara, con il panrozzo, il dolce preferito da Gabriele d'Annunzio. Una rivisitazione del pane rustico delle campagne inventata negli anni Venti da Luigi D'Amico. Quando abbocca al vostro palato non lo mollerete mai più. Si tratta del pesce di pasta di mandorle del Monastero di san Giovanni Evangelista, a Lecce. Una tradizione nata sul finire del seicento grazie a una monaca, Anna Fumarola, che si inventò di farcire la forma di un pesce fatto di pasta di mandorle con un composto di marmellata di pere, pezzetti di cioccolato e una ribalda faldacchiera (una sorta di zabaione molto denso): Una tradizione imperdibile, a Natale, mentre la stessa preparazione prende la forma di un agnello a Pasqua o di cavallucci per sant'Antonio. Ma è la Sicilia il trionfo vero della Mandorla in pasticceria. Non ce né per nessuno. Li chiamano anche «dolci di badia». Un tempo nei diffusi monasteri dell'isola era un modo sia per tenere concentrate sulle meditazioni terrene le giovani monache, ma anche per sostenere i bilanci dei loro monasteri, posto che questi dolci venivano venduti poi all'esterno. La preparazione base è di marzapane, il cui nome deriva da un'antica unità di misura, in arabo «maw-taban», termine in voga a Cipro e in Armenia. Nell'uso comune il termine passò dalla misura al contenitore. Era di legno leggero, con coperchio, che conteneva corrispondenza riservata o dolci, spediti da Cipro verso l'isola. Il contenuto prese il nome del contenente e, adesso, il marzapane vive di vita propria. Con una preparazione simile è l'impasto che dà forma alla frutta martorana, nata nel 12° secolo. Detta anche pasta reale in onore al monarca di allora, il normanno Ruggero II. Nata in un monastero di Palermo, venne poi dedicata alla nobildonna Eloisa Martorana che fu la principale finanziatrice del complesso religioso. È tradizione farne omaggio nel giorno dei morti. La frutta viene ancora oggi decorata con colori naturali. Una lunga tradizione, quella dei dolci lavorati nei monasteri, che andava a rischio di esser perduta se non vi fosse stato chi ha contribuito a tenerla viva. Una di queste è Maria Grammatico, la «regina» di Erice, antico borgo sulla roccia a due bracciate da Trapani. Considerata la prole numerosa, i genitori la affidarono al convento delle suore francescane di San Carlo Borromeo. Qui la piccola Maria osservò con attenzione tutte le loro operazioni imparandone i mille segreti e, a 22 anni, quando se ne tornò alla società civile, avviò una piccola attività artigianale che oggi è una solida realtà, con il meglio dei «dolci di badia» siciliani.
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Giusi Bartolozzi (Ana)
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