2020-02-03
Le lobby d’Europa che ci fanno verdi. Quei 25.000 incontri (13 al giorno) con i commissari di Bruxelles
Macché effetto Greta: la mania dell'Ue per il clima è frutto di 2.400 meeting con gruppi di pressione ecologisti. Stesso copione su banche, austerità, telefonia e Dieselgate.L'esperto: «Situazione fuori controllo: ben 6 portatori d'interessi su 10 aggirano le regole di trasparenza».Nella capitale delle istituzioni comunitarie, le multinazionali sono assiepate attorno ai palazzi dei burocrati Per nazione, i campioni d'investimento sono Belgio, Germania e Regno Unito. L'Italia è solamente ottava.Lo speciale contiene due articoliOgni mattina, a Bruxelles, un lobbista si sveglia e sa che dovrà correre più dei suoi colleghi se vorrà essere sicuro di accontentare chi gli paga lo stipendio. E in effetti basta dare uno sguardo alle statistiche ufficiali per rendersi conto che, a livello europeo, quello dei portatori di interesse è un settore decisamente molto affollato. Per ogni giorno lavorativo, dal primo dicembre 2014 (data a partire dalla quale la Commissione ha reso pubblici gli incontri dei propri componenti) a oggi, si sono tenuti in media 13 incontri al giorno, più di due all'ora, tra un euroburocrate e un lobbista. Tradotto in termini assoluti, parliamo di 25.000 colloqui nell'arco di poco più di cinque anni. Molte delle decisioni che contano, più che nelle sedi istituzionali come il Parlamento e il Consiglio dell'Ue (ovvero i due organi legislativi dell'Unione), vengono prese in camera caritatis, alla larga da occhi e orecchi indiscreti. Nella capitale europea, tra aziende, lobbisti e istituzioni Ue ormai si è instaurato un rapporto di tipo simbiotico. La vicinanza geografica e lo scarso controllo permettono ai principali attori di ciascun settore di influenzare pesantemente l'agenda setting a livello continentale. Pensiamo a uno dei temi più in voga in questo periodo, quello relativo al clima e all'ambiente. Proprio poche settimane fa, la Commissione guidata da Ursula von der Leyen ha varato il green new deal da 1.000 miliardi di euro. Ebbene, non si può fare a meno di sottolineare il fatto che, negli ultimi cinque anni, quasi un incontro su 10 (2.400 su 25.000, di cui oltre 600 tenuti dalle Ong) ha ruotato intorno a questi argomenti. Complessivamente, la lobby del clima e dell'ambiente può fare leva su 800 soggetti coinvolti, per 3.120 lobbisti e 2.206 pass al Parlamento europeo. Sul podio dei soggetti più attivi troviamo il Wwf (64 meeting), seguito da Greenpeace (46) e dal Climate action network (41). Queste tre organizzazioni, da sole, spendono più di 5 milioni di euro l'anno per attività di lobbying a Bruxelles. Tra i temi discussi negli incontri con commissari e funzionari, non solo deforestazione, biodiversità e monitoraggio della pesca, ma anche la strategia a lungo termine per la neutralità climatica, i livelli di inquinamento delle automobili e l'efficienza energetica, fino ad arrivare al nucleare e alla governance degli oceani. Non mancano i casi imbarazzanti: come denunciato da Corporate europe, a settembre del 2018, dietro pressione del gruppo di lobbying Hydrogen Europe, la presidenza di turno austriaca organizzò un incontro per promuovere l'industria dell'idrogeno, invitando tra le altre cose gli altri Stati membri a sottoscrivere una dichiarazione per un'iniziativa comune in merito. Peccato che, come fanno notare gli esperti, l'idrogeno «pulito» rappresenta appena il 5% di tutta la produzione di questo gas, e incoraggiarne la filiera potrebbe significare, paradossalmente, incrementare l'utilizzo di combustili fossili. Per ben 444 volte, a ricevere gli astanti era presente il commissario per il Clima e l'energia in persona, lo spagnolo Miguel Arias Cañete. Più che dal feeling con Greta Thunberg e dai suoi seguaci, viene da pensare, l'improvviso interesse della Commissione per la salute del nostro pianeta sembra frutto di una strategia pensata a tavolino - e che intercetta parecchi interessi economici.Ovviamente non c'è solo la lobby del clima. Una delle «caste» più influenti a Bruxelles rimane senza dubbio quella della finanza. Sono poco meno di 1.900 gli incontri tra commissari e funzionari e portatori di interesse a vario titolo del settore bancario. Nella top ten dei soggetti maggiormente coinvolti, nomi eccellenti come Deutsche Bank, Goldman Sachs, Blackrock e Bnp. Ma il primo posto è ricoperto dalla Fédération bancaire française (l'equivalente transalpino dell'Abi), in testa con 26 incontri. Non c'è che dire: quando si tratta di portare avanti le proprie istanze, i cugini d'Oltralpe sono sempre un gradino più in alto di tutti gli altri. Più volte la lobby bancaria è stata accusata di intervenire a gamba tesa sulle istituzioni per difendere i propri interessi. Forse il caso più eclatante è rappresentato dal pressing esercitato da BusinessEurope, di cui fanno parte Confindustria e le sue «sorelle» europee. Tra il 2009 e il 2012, questa organizzazione pubblicò più di 20 studi nei quali si chiedevano austerità e riforme strutturali. Bersagli di questa campagna, la Commissione europea, il presidente del Consiglio Herman van Rompuy e la task force sulla governance economica che nel 2010 sfornerà il cosiddetto «six pack» (la serie di regolamenti che hanno modificato, in senso ancora più restrittivo, l'attuazione del Patto di stabilità e crescita). Si può dire dunque che l'attività di lobbying di BusinessEurope abbia condizionato in senso negativo le vite di decine di milioni di cittadini europei.Gli esempi non si fermano qui. Possiamo citare gli operatori telefonici spagnoli che sono riusciti a convincere il governo iberico a proporre, in sede europea, un emendamento alla normativa sul roaming per proteggere le aziende del settore; oppure i colossi dell'industria chimica che si oppongono al divieto di utilizzo del biossido di titanio, presunta sostanza cancerogena; e infine due casi eclatanti, quelli relativi al glifosato e al Dieselgate, per i quali le compagnie interessate si sono mosse insieme alle associazioni di categoria per difendere i propri interessi.Spesso e volentieri, le lobby hanno trovato nei commissari una preziosa sponda. Dello spagnolo Cañete abbiamo già detto, ma è impossibile non menzionare il tedesco Gunther Oettinger (commissario al Bilancio e autore di giudizi molto severi nei confronti dell'Italia), protagonista di ben 654 incontri, molti dei quali con aziende tedesche (tra cui Deutsche Telekom e Daimler). Degni di nota anche l'ex commissario per l'Agricoltura Phil Hogan (199 incontri), quello per la Stabilità finanziaria Jonathan Hill (166 incontri in un anno e mezzo di mandato), e infine l'attuale vicepresidente Margrethe Vestager (72 incontri). Come si dice: a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-lobby-deuropa-che-ci-fanno-verdi-quei-25-000-incontri-13-al-giorno-con-i-commissari-di-bruxelles-2645001873.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="esercitano-sullunione-uninfluenza-totale" data-post-id="2645001873" data-published-at="1758095771" data-use-pagination="False"> «Esercitano sull’Unione un’influenza totale» Pier Luigi Petrillo, 46 anni, insegna diritto pubblico comparato alla Sapienza di Roma e teoria e tecniche del lobbying alla Luiss Guido Carli. Profondo conoscitore della materia, lo scorso settembre ha pubblicato il manuale Teorie e tecniche del lobbying. Regole, casi, procedure (Il Mulino). Professore, per incontrare un commissario europeo il lobbista deve essere iscritto al Registro della trasparenza, assai macchinoso da consultare. Come può bastare questa sola norma a garantire un controllo democratico di quanto viene «suggerito» e concertato ai vertici dell'Ue? «Infatti non basta. Fino a un anno fa l'iscrizione era facoltativa, il registro doveva servire a far emergere nomi e cognomi dei lobbisti. Viene considerato uno strumento utile, in realtà se scorriamo l'elenco degli incontri tra esponenti di lobby e commissari, spesso notiamo l'assenza di grandi multinazionali. È possibile che non si vedano? Non è credibile». I commissari possono nascondere di avere avuto rapporti con gruppi di pressione? «No, i gruppi aggirano la norma. Affidano l'attività non a lobbisti in house, che fanno parte dell'azienda o dell'organizzazione, ma a società conto terzi che in base ad accordi contrattuali gestiscono di volta in volta gli interessi di grandi multinazionali, non più obbligate ad apparire. Avevo fatto fare una ricerca alla Sapienza, da un'analisi comparativa dei dati è emerso che solo il 40% dei soggetti che figurano nel registro operano a Bruxelles. Quindi 6 lobbisti su 10 restano al di fuori delle regole di trasparenza». È una percentuale altissima di organizzazioni che influenzano il processo legislativo europeo, ma sfuggono ai controlli. «Consideri, poi, che quel 40% è costituito per lo più da piccole aziende che svolgono un'attività “d'influenza" limitata. Si iscrivono per risultare visibili, per poter mettere sulla carta intestata l'appartenenza alla banca dati dei lobbisti dell'Unione europea. Con le regole attuali, nel registro difficilmente troviamo i grandi gruppi di pressione». Quali sono i confini del lobbying lecito? «Nei Paesi che hanno una legislazione sul lobbismo, come Francia, Germania, Austria, è definita e regolamentata l'attività di influenza svolta con determinati strumenti per convincere il decisore pubblico a soddisfare il proprio interesse. Consiste per l'80% in back office, ovvero studi, analisi, predisposizione di documenti che vengono poi presentati nel rimanente 20% dell'attività, chiamata di front office, di un gruppo di pressione per influenzare chi ha il potere di intervenire a livello normativo. Nell'immaginario collettivo il lobbista prende sotto braccio il politico per dirgli: “Fammi questo favore, in cambio ti do questo", ma quello è il faccendiere, non c'entra nulla». Nel nostro Paese è possibile sapere chi ha influito sulla decisione pubblica? «In Italia viviamo l'anno zero. Dal 1976 sono stati presentati 72 disegni di legge ma ancora non sappiamo cosa sia il lobbying. Nel 2007, durante il governo Prodi, presiedevo la commissione di studio sui gruppi di pressione che mise a punto il cosiddetto disegno di legge Santagata in materia di lobby, subito affossato. Nel 2013, facevo parte di un'altra commissione che elaborò una proposta di regolamentazione, ma sottoposta al Consiglio dei ministri del governo Letta, fu bocciata. Nel codice penale è stato introdotto il reato di traffico di influenze illecite, però nell'assenza di un contesto legislativo di riferimento, manca la definizione di lobbying lecito». Le principali diversità tra i gruppi di pressione a livello europeo? «Ci sono Paesi che sono in grado di fare lobby a prescindere dalle differenze linguistiche, come accade in Spagna, dove le imprese risultano molto efficaci nella coalition building, creano cioè coalizioni di lobbying su interessi comuni con aziende di altri Stati. Italia e Grecia, invece, a Bruxelles vogliono parlare solo degli interessi del proprio Paese e hanno meno forza, con i decisori pubblici, nell'ottenere un vantaggio o evitare uno svantaggio». Con gli emendamenti, i lobbisti quanto influenzano le direttive Ue? «In modo totale. Il modello europeo è costruito sulle lobby. Lingue, culture, economie, esigenze sociali completamente diverse hanno come elemento unificante i gruppi di pressione, che riescono a trovare elementi di connessione nei vari Paesi, comunanza di interessi, determinando così l'indirizzo politico dell'Unione europea. Il trattato stesso del funzionamento dell'Ue dice chiaramente che il processo decisionale europeo deve coinvolgere i portatori di interessi particolari. A Bruxelles le lobby hanno la porta aperta e siedono con diritto al tavolo delle decisioni. Per questo ci vogliono pareti di vetro, trasparenza assoluta: bisogna capire chi sta dentro e che cosa sta dicendo. Inoltre è essenziale conoscere tutte le fasi di elaborazione di un provvedimento prima che arrivi in Commissione europea, conoscere i nomi di chi è chiamato a far parte dei gruppi di esperti, il perché delle scelte compiute anche in base alle lobby». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-lobby-deuropa-che-ci-fanno-verdi-quei-25-000-incontri-13-al-giorno-con-i-commissari-di-bruxelles-2645001873.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="google-e-medaglia-doro-di-colloqui-nella-top-10-pure-la-cinese-huawei" data-post-id="2645001873" data-published-at="1758095771" data-use-pagination="False"> Google è medaglia d’oro di colloqui. Nella top 10 pure la cinese Huawei Laddove si concentra il potere, state pure certi che non molto lontano troverete anche una lobby organizzata per curare e difendere i propri interessi. Una regola alla quale non sfugge nemmeno Bruxelles, città sede delle principali istituzioni continentali e di almeno otto agenzie europee. Corporate europe observatory, organizzazione non profit che si occupa di studiare e documentare gli effetti del lobbismo sui processi decisionali europei, si è presa la briga di mappare a livello geografico le stanze dei bottoni che affollano la capitale belga. Ecco che nei pressi della rotonda intitolata a Robert Schuman, sulla quale si affacciano gli edifici che ospitano la Commissione europea, il Consiglio, il Servizio di azione esterna, e tre Direzioni generali chiave (Mercato interno e industria, Commercio e Salute), troviamo gli uffici di Facebook, General electric, British Petroleum, Volkswagen e Shell. Ma anche importanti associazioni di categoria quali quella del tabacco (Esta), dei costruttori di automobili (Acea) nonché Aquafed, la federazione che riunisce gli operatori idrici privati. città di colossi Poco più a Sud, vicino al Parlamento europeo, si sono stabilite Google, Huawei, Unilever, Philip Morris, e Microsoft, ma anche la Federazione europea delle industrie farmaceutiche (Efpia). Tutto intorno a Square de Meeus, dove ha sede la Direzione generale per la ricerca e l'innovazione, ha piantato le tende il fior fiore della finanza internazionale: da Goldman Sachs a Bank of America e Blackrock, passando per Hsbc e Barclays. Senza contare poi altri giganti del calibro di Bayer, Gsk, Apple e Basf. Nelle vicinanze della fitta rete di tunnel e sottopassi conosciuta dai locali come «Petite ceinture» (piccola cintura, ndr) si assiepano uno dietro l'altro Bmw, Deutsche Bank, Airbus, Siemens, eBay e Amazon. Lunga tutta rue de Loi, l'arteria che collega la rotonda Schuman alla Petit ceinture, non c'è solo la sede di Total, ma anche l'associazione che riunisce gli operatori dei mercati finanziari (Afme) e la potentissima fondazione tedesca Bertelsmann Stiftung. Leggermente più decentrate, ma sempre a un tiro di schioppo dai «quartieri alti», ecco spuntare Uber, Bnp Paribas, Arcelor Mittal, Monsanto, così come una nutrita schiera di associazioni e think tank. Diffusi in tutti i quartieri gli studi di consulenza che offrono il loro supporto alle aziende. Dal 2011 il Parlamento europeo e la Commissione hanno messo a disposizione di tutti i cittadini, tramite uno specifico sito Internet, i dati relativi alle attività di lobbying. La cui consultazione, tuttavia, non è semplicissima. Per fortuna esistono altri portali decisamente più fruibili, come Lobbyfacts.eu (un progetto congiunto realizzato dalle Ong Corporate europe observatory e LobbyControl) e Integritywatch.eu (gestito da Transparency international). Dando un rapido sguardo ai numeri ci si rende conto delle proporzioni del fenomeno: dalla sua istituzione a oggi risultano iscritti al registro 11.923 soggetti, 8.316 dei quali (69,7%) denunciano una spesa annua superiore ai 10.000 euro. È questo il sottoinsieme al quale abbiamo fatto riferimento, dal momento che per esso sono disponibili i dati finanziari completi. La spesa annua media è di 2,04 miliardi, con un minimo di 1,8 miliardi di euro a 2,28 miliardi (l'intervallo è variabile in quanto gli iscritti indicano una forchetta indicativa di spesa). Gli incontri con funzionari e commissari sfiorano i 24.000 (la cifra sale a 25.000 se includiamo tutti i soggetti), mentre risultano 7.644 i pass concessi ai lobbisti dal Parlamento europeo. Se parliamo di spesa per singolo Paese, si scopre che sorprendentemente la classifica è guidata dal Belgio (556,2 milioni di euro di media), seguito dalla Germania (248,7 milioni) e dal Regno Unito (183,3 milioni). Molto più lontana l'Italia, appena all'ottavo posto con 83,3 milioni. Il Belgio occupa anche la prima posizione per ciò che concerne il numero di incontri con gli euroburocrati (8.690) e per numero di soggetti iscritti (1.749). Una situazione apparentemente anomala, ma spiegabile con il fatto che molte Ong e associazioni di categorie hanno scelto - per una questione di vicinanza con i palazzi del potere - di stabilirsi per l'appunto in Belgio. i big del web Ma è puntando la lente di ingrandimento sui settori e sulle singole aziende che ci si può rendere conto degli equilibri di potere in gioco. La medaglia d'oro se la aggiudica Google, con 230 incontri e 8,12 milioni di spesa media annuale, seguita dalla potentissima BusinessEurope (la Confindustria europea) con 220 incontri e 4,12 milioni di budget, e dall'olandese Airbus (170 incontri e 1,87 milioni spesi). Oltre a Mountain View, nella top ten fanno capolino Facebook e Microsoft, ma anche DigitalEurope, influente federazione che riunisce i giganti del digitale, da Amazon e Apple, a Huawei e Samsung, fino ai colossi dei sistemi di pagamento Visa e Mastercard. Molto attiva in questo comparto Deutsche Telekom, che può vantare ben 48 meeting. Tra i settori che vantano più di 1.000 colloqui nell'ultimo quinquennio, oltre al digitale, troviamo quello della finanza, lavoro (sindacati e associazioni di categoria), clima e ambiente, trasporti, energia e commercio. Una rete fitta di influenze dalla quale, di fatto, non rimane escluso alcun aspetto della vita quotidiana.
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