
In alcuni istituti sono comparsi i carabinieri per vigilare sulle misure anti Covid. Così gli alunni rischiano di sentirsi sorvegliati senza motivo da agenti usati come tappabuchi. Gli stessi che, contro la criminalità in aumento, sono mandati allo sbaraglio.Premessa a scanso di equivoci: qui si sta dalla parte delle forze dell'ordine. Ne conosciamo lo sforzo quotidiano, la professionalità, la dedizione. Ci commuove ogni giorno il divario - purtroppo crescente - tra i rischi a cui un poliziotto o un carabiniere sono sottoposti e l'inadeguatezza dei mezzi loro destinati, per non dire degli esigui stipendi e di quanto poco lo stato restituisca rispetto al loro impegno. Da qualche anno, come un'atroce beffa, si è aggiunta un'ulteriore spada di Damocle: ogni persona in divisa sa che un suo eventuale errore o un cedimento anche momentaneo alla tensione nervosa - magari ripreso da un telefonino - può divenire materia per una canea mediatica, per la creazione di un «caso», per polemiche e chiassate che quasi sempre ignorano le condizioni di lavoro estreme di carabinieri e poliziotti. E purtroppo, a rendere tutto ancora più complicato, ci è ben nota anche una tentazione classica della politica, nazionale e locale: considerare gli uomini (e le donne) delle forze dell'ordine come tappabuchi, come ultima risorsa per far fronte a colpe antiche dello Stato, a lacune della macchina amministrativa, a evidenti disorganizzazioni, e così via.A maggior ragione, da 36 ore, siamo rimasti colpiti dalle immagini che circolano in Rete e sulla stampa locale relative ai primi due giorni di scuola. Citiamo due esempi, lontani geograficamente tra loro ma perfettamente sovrapponibili nella sostanza: Catania e Seriate (Bergamo). Online sono infatti disponibili video e foto di carabinieri che entrano nelle scuole, controllano le classi, in qualche caso verificano perfino che la mascherina di un ragazzino sia stata indossata correttamente. Qua e là, effettuate le verifiche del caso, abbiamo appreso che l'iniziativa nasce da linee guida prefettizie, e che le forze dell'ordine sono state chiamate per un verso a un'attività di supporto ai dirigenti scolastici e per altro verso a un'opera di vigilanza sul fatto che le misure anti Covid vengano effettivamente rispettate. E, vista la premessa di questo articolo, non dubitiamo del fatto che tutti abbiano agito con la cautela, la discrezione e l'accortezza del caso. Eppure, fermo restando tutto questo, rimangono almeno due elementi che non tornano affatto. Primo: che deve pensare un bambino o un ragazzo molto giovane nel vedere nella sua classe, accanto al suo banco (sempre ammesso che il banco ci sia…), delle forze dell'ordine? Possiamo girarla e raccontarla come vogliamo, possiamo certamente tentare di presentare tutto in termini di sostegno, ma il ragazzino sarà inevitabilmente portato a pensare di essere in qualche modo sorvegliato, controllato, perfino sospettato, peraltro - povero figlio - non si sa bene di cosa. Già è tanto delicato e fragile il rapporto tra ragazzi e professori, e già è difficilissimo stabilire il giusto equilibrio tra la fondamentale e primaria attività educativa della famiglia e il ruolo della scuola: siamo certi che sia una buona idea inserire altri attori, altri ingranaggi, altri meccanismi? È saggio diffondere l'immagine di classi presidiate da uomini in divisa? Seconda perplessità, ancora più di fondo. Già gli uomini delle forze dell'ordine sono pochi, e chiamati a occuparsi di territori sempre meno controllati e controllabili, e sempre più esposti alla penetrazione criminale. La Verità è stato il primo giornale (diverse settimane prima che ci arrivassero soloni e sociologi vari) a lanciare un segnale di fortissima preoccupazione su quanto la crisi economica innescata dal lungo lockdown potesse e possa aprire praterie alla criminalità, l'unica titolare di liquidità ingente e immediatamente disponibile. Avevamo indicato da subito il rischio di un rilancio in grande stile dell'usura, della facilità con cui gruppi criminali avrebbero potuto prendersi con due soldi negozi e imprese. Per non dire del sempreverde commercio delle droghe illegali, di uno spaccio ormai ramificato feudalmente - zona per zona - tra vassalli, valvassori e valvassini, in un circuito che coinvolge un numero enorme di persone. Così come cresce (ahinoi, forse perfino gli orribili e recenti eventi di Colleferro potrebbero darcene indiretta conferma) la rete di soggetti usati come «esattori» per convincere, con le buone o più spesso con le cattive, chi sia indebitato con usurai o spacciatori. Picchiatori assoldati da reti criminali che poi - diciamo così - finiscono per prendersi qualche atroce «svago» nelle ore libere. Davanti a tutto questo, signor ministro Lamorgese e signori prefetti, siete proprio convinti che la prima cosa da fare sia mandare poliziotti e carabinieri in divisa dentro le aule? Non c'è qualcos'altro di più urgente e pericoloso che li attenda fuori dagli istituti scolastici?
Maria Chiara Monacelli
Maria Chiara Monacelli, fondatrice dell’azienda umbra Sensorial è riuscita a convertire un materiale tecnico in un veicolo emozionale per il design: «Il progetto intreccia neuroscienze, artigianato e luce. Vogliamo essere una nuova piattaforma creativa anche nell’arredamento».
In Umbria, terra di saperi antichi e materie autentiche, Maria Chiara Monacelli ha dato vita a una realtà capace di trasformare uno dei materiali più umili e tecnici - il cemento - in un linguaggio sensoriale e poetico. Con il suo progetto Sensorial, Monacelli ridefinisce i confini del design artigianale italiano, esplorando il cemento come materia viva, capace di catturare la luce, restituire emozioni tattili e raccontare nuove forme di bellezza. La sua azienda, nata da una visione che unisce ricerca materica, manualità e innovazione, eleva l’artigianato a esperienza, portando il cemento oltre la funzione strutturale e trasformandolo in superficie, texture e gioiello. Un percorso che testimonia quanto la creatività, quando radicata nel territorio e nel saper fare italiano, possa dare nuova vita anche alle materie più inattese.
Diego Fusaro (Imagoeconomica)
Il filosofo Diego Fusaro: «Il cibo nutre la pancia ma anche la testa. È in atto una vera e propria guerra contro la nostra identità culinaria».
La filosofia si nutre di pasta e fagioli, meglio se con le cotiche. La filosofia apprezza molto l’ossobuco alla milanese con il ris giald, il riso allo zafferano giallo come l’oro. E i bucatini all’amatriciana? I saltinbocca alla romana? La finocchiona toscana? La filosofia è ghiotta di questa e di quelli. È ghiotta di ogni piatto che ha un passato, una tradizione, un’identità territoriale, una cultura. Lo spiega bene Diego Fusaro, filosofo, docente di storia della filosofia all’Istituto alti studi strategici e politici di Milano, autore del libro La dittatura del sapore: «La filosofia va a nozze con i piatti che si nutrono di cultura e ci aiutano a combattere il dilagante globalismo guidato dalle multinazionali che ci vorrebbero tutti omologati nei gusti, con le stesse abitudini alimentari, con uno stesso piatto unico. Sedersi a tavola in buona compagnia e mangiare i piatti tradizionali del proprio territorio è un atto filosofico, culturale. La filosofia è pensiero e i migliori pensieri nascono a tavola dove si difende ciò che siamo, la nostra identità dalla dittatura del sapore che dopo averci imposto il politicamente corretto vorrebbe imporci il gastronomicamente corretto: larve, insetti, grilli».
Leonardo
Il fondo è pronto a entrare nella divisione aerostrutture della società della difesa. Possibile accordo già dopo l’incontro di settimana prossima tra Meloni e Bin Salman.
La data da segnare con il circoletto rosso nell’agenda finanziaria è quella del 3 dicembre. Quando il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, parteciperà al quarantaseiesimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), su espressa richiesta del re del Bahrein, Hamad bin Isa Al Khalifa. Una presenza assolutamente non scontata, perché nella Penisola araba sono solitamente parchi con gli inviti. Negli anni hanno fatto qualche eccezione per l’ex premier britannica Theresa May, l’ex presidente francese François Hollande e l’attuale leader cinese Xi Jinping e poco altro.
Emmanuel Macron (Ansa)
Bruxelles apre una procedura sull’Italia per le banche e tace sull’acciaio transalpino.
L’Europa continua a strizzare l’occhio alla Francia, o meglio, a chiuderlo. Questa volta si tratta della nazionalizzazione di ArcelorMittal France, la controllata transalpina del colosso dell’acciaio indiano. La Camera dei deputati francese ha votato la proposta del partito di estrema sinistra La France Insoumise guidato da Jean-Luc Mélenchon. Il provvedimento è stato approvato con il supporto degli altri partiti di sinistra, mentre Rassemblement National ha ritenuto di astenersi. Manca il voto in Senato dove l’approvazione si preannuncia più difficile, visto che destra e centro sono contrari alla nazionalizzazione e possono contare su un numero maggiore di senatori. All’Assemblée Nationale hanno votato a favore 127 deputati contro 41. Il governo è contrario alla proposta di legge, mentre il leader di La France Insoumise, Mélenchon, su X ha commentato: «Una pagina di storia all’Assemblea nazionale».






