2024-03-19
Bianco croccante, verde delicato. Le due versioni del cavolo cinese
Al supermercato lo trovate al reparto verdure fresche col nome di pak choi. Originario dell’Impero di mezzo, si può mangiare crudo oppure cotto, insaporito con aglio e salsa d’ostriche (ma vanno bene pure le alici). Uno scrigno di vitamina A, toccasana per la pelle.Se, davanti al reparto verdure fresche del supermercato, vedendo una verdura che si chiama pak choi esclamaste: «E ora che cavolo è il pak choi?», ebbene sappiate che nella vostra domanda sarebbe contenuta la risposta, perché il pak choi è un cavolo, il cavolo cinese! Si tratta, infatti, di una cultivar rintracciabile in tutto l’estremo Oriente e originaria della Cina, la Brassica rapa subsp. chinensis. Quella che oggi in botanica si considera una subspecie di Brassica rapa fu in principio classificata come specie autonoma da Carl Linnaeus, era la Brassica chinensis. Le varietà di Chinensis non formano teste, appartengono alla tipologia acefala dell’immensa famiglia di cavoli e broccoli: il pak choi è un bel cespo oblungo di foglie di un bel verde scuro con larghe coste, cespo che ricorda vagamente quello della nostra bieta. Vedremo più avanti i nomi italiani, intanto annotiamoci di non confondere il pak choi col cavolo di Pechino che è una specie di cavolo cappuccio o verza bianca in forma oblunga. Il sapore del pak choi è molto gradevole, è una via di mezzo tra spinaci e castagne, con in più due punte di dolce e di pepato. In Italia, troviamo certamente il pak choi nelle botteghe di prodotti alimentari e supermercati cinesi dei relativi quartieri etnici. Recentemente, abbiamo notato che inizia a fare capolino anche nel supermercato canonico, accanto ai cavoli nostrani. Ormai coltivazione sempre più diffusa su terra italiana, il pak choi ha attecchito in tutta Europa, soprattutto al nord, grazie alla sua alta resistenza alle intemperie invernali. Prima di arrivare nelle terre italiane, il pak choi dall’Oriente era giunto in quelle nordamericane.Il nome più usato in Nord America e più in generale nella lingua inglese americana, in quella inglese canadese e in quella inglese australiana per la varietà chinensis della Brassica rapa è bok choy (cantonese per «verdura bianca») o siu bok choy (sempre cantonese e vuol dire «piccolo ortaggio bianco»), mentre quando si chiama dai bok choy che significa «grande verdura bianca» ci si riferisce al cavolo Napa, che è un altro nome del cavolo di Pechino citato poco fa il cui nome botanico è Brassica rapa sub. Pekinensis e col quale si prepara il tipico kimchi coreano). Si chiama pak choi (o pok choi) in inglese britannico, dunque si chiama così nel Regno Unito e in Sudafrica. Sempre in questi luoghi lo si può trovare chiamato anche bietola cinese e cavolo a cucchiaio. In italiano si può chiamare cavolo cinese, ma di solito si trova il nome pak choi: è questa la grafia più diffusa in Italia, ma si può trovare anche scritto bok choi o pak choy. Si possono poi trovare nomi più specifici: pak choi bianco, anche detto pak choi chiaro, e pak choi verde. Se poi si tratta di piccoli cespi, allora accanto ai nomi precedenti troverete l’ulteriore specifica mini o baby. Tornando al colore, i tipi cromatici di pak choi sono due e questa «dualità», ovviamente, non è una caratteristica del pak choi coltivato in Europa o America, è così anche in Oriente. Dove questi diversi colori di pak choi hanno nomi locali differenti: in cinese mandarino, si chiama qing cai cioè «verdura verde» se è verde e xiao bai cai cioè «piccola verdura bianca» se è bianco. Anche il nome bok choy si sdoppia: c’è il bok choy bianco e lo Shanghai bok choy (o Shanghai green) che è quello verde. In Australia, buk choy è usato per riferirsi a bok choy bianco mentre con pak choy ci si riferisce allo Shanghai bok choy. Tra i due pak choi ci sono piccole differenze. Quello bianco costa di più, è così detto per le coste, infatti ha foglie verde giada scuro e coste bianche, con una consistenza croccante che si presta bene alle fritture, quello verde è più delicato di sapore, di consistenza e anche di colore, avendo sia le foglie, che sono a forma di cucchiaio, sia le coste di un tenue verde giada. La consistenza delle foglie di pak choi verde è quasi quella delle alghe: le foglie, infatti, se vengono cotte troppo a lungo, diventano quasi viscide. Il pak choi si può mangiare anche crudo, sebbene venga consumato tipicamente cotto. In Cina, un grande classico del contorno di pak choi lo vede preparare soffritto o stufato, insaporito con aglio e salsa d’ostriche. La salsa d’ostriche non appartiene alla nostra cultura gastronomica: se non la trovaste, volendo realizzare la ricetta del cavolo cinese saltato in padella con salsa d’ostriche (vedi box), potreste sostituirla con le alici spezzettate, sottosale o sott’olio, oppure con la colatura di alici, per un risultato dal sapore un po’ simile a quello della salsa di ostriche. Noi «ripassiamo» con le alici, lo facciamo, per esempio, nell’Italia centro meridionale col broccolo e il cavolfiore, magari con aggiunta ulteriore di olive, capperi, perfino sugo di pomodoro. La migliore cottura per il pak choi è quella veloce e delicata: 3 minuti a vapore, soffritto o di bollore in acqua, che diventano 8 se si vuole lessare il cespo intero. Calate in tegame prima le coste, proprio come si fa con la bieta, perché le foglie cuociono più velocemente delle coste. Il pak choi si trova anche secco, pratica di conservazione che gli fa perdere quel tono di dolcezza che ha, amplificandone, invece, la sapidità. E si trova anche sottaceto. Il maggior elemento nutritivo che troviamo nel pak choi, come è normale negli ortaggi, è l’acqua. Su 100 grammi di pak choi circa 95 g sono acqua, poi abbiamo una quota del 2,2% di carboidrati, una ulteriore quota dell’1,5% di proteine, 1% di fibre e, infine, un apporto lipidico di meno dello 0,2%. Chiaramente, le calorie sono pochissime, solo 13 per ogni etto. Il pak choi è considerato un superfood per il grande apporto di vitamina A, tanto che è stato anche chiamato retinolo edibile. Siccome la vitamina A mantiene in salute la pelle, è soprattutto negli ambienti professionali o semplicemente mentali dove la bellezza estetica è un valore assoluto che il pak choi è osannato come verdura miracolosa. Miracoli, a ben guardare, il nostro non ne realizza, ma fa certamente bene. Non solo per idratare, ma anche grazie al suo complesso multivitaminico (non ha solo la vitamina A) e multiminerale. La vitamina A favorisce anche un buono sviluppo e mantenimento in forma di ossa, capelli e denti, aiuta il sistema immunitario, è considerata un preventivo dei tumori della pelle. In 100 g di pak choi troviamo circa il 30% di fabbisogno giornaliero di vitamina A. Apporto superiore a quello della vitamina A è quello di vitamina C, 45 mg ogni 100 g che sono oltre il 50% del fabbisogno giornaliero della donna (85 mg) e vicino alla metà di quello dell’uomo (105 mg). La vitamina C aiuta a mantenere la normale funzionalità dei vasi sanguigni, la salute di denti e gengive, aumenta l’assorbimento del ferro, partecipa alla formazione, crescita e riparazione del tessuto osseo e connettivo, aiuta la cicatrizzazione delle ferite, velocizza la guarigione degli stati influenzali. Abbiamo poi la vitamina K, utile per le ossa e la coagulazione del sangue: oltre il 40% del fabbisogno giornaliero, 45 microgrammi. Poi abbiamo la vitamina B6, non tantissima, circa 0,2 mg che sono più o meno il 15% della razione ideale giornaliera. La vitamina B6 serve a farci metabolizzare proteine, carboidrati e grassi da ciò che mangiamo, contribuisce alla sintesi della serotonina, neurotrasmettitore che regola umore, sonno, appetito, memoria e concentrazione, contribuisce alla formazione dell’emoglobina nei globuli rossi che trasporta l’ossigeno ai tessuti, serve al normale sviluppo e successivo stimolo del cervello e a mantenere in forma sistema nervoso e sistema immunitario. La vitamina B6 di origine vegetale si assimila meno facilmente di quella di origine animale e il nostro fabbisogno giornaliero, fino a 60 anni, è 1,3 mg (oltre i 60 1,7 mg per i maschi e 1,5 mg per le femmine). La vitamina A, la vitamina C e la vitamina K sono liposolubili e termolabili. Ciò significa che per essere assorbite devono essere dissolte in grassi od oli e che la cottura ne determina la dispersione, quindi è meglio mangiare il nostro contorno di pak choi crudo oppure cuocerlo a vapore o stufarlo o lessarlo brevemente. Le vitamine liposolubili sono anche immagazzinate da fegato e tessuto adiposo, quindi non c’è necessità di assumerle ogni giorno con l’alimentazione. La vitamina C e la vitamina B6 sono idrosolubili e non immagazzinabili, quindi vanno assunte tutti i giorni tramite il cibo.Un’affascinante curiosità storico-artistica e... foodie. Abbiamo spiegato che le parti verdi del pak choi ricordano il colore della giada. A proposito di giada, sapete che esiste una scultura che rappresenta un cespo di pak choi bianco con due insetti sopra che attira visitatori da tutto il mondo? Si chiama Jadeite Cabbage, anche nota come Jadeite Cabbage with Insects, ed è la splendida riproduzione scultorea di un pak choi in miniatura (è alta 18 cm). La sua particolarità è quella di essere stata scolpita in un unico pezzo di giada. Sulla cima del cespo, stanziano una locusta e un grillo. Tutto l’insieme simboleggia purezza e prosperità e, realizzata nell’Ottocento da artista ignoto, si suppone che sia stata donata a Jin Fei, moglie dell’imperatore Guangxu della dinastia Qing, in segno di augurio per il regno. L’opera, ora visibile al Museo del Palazzo Nazionale di Taipei, Taiwan, era esposta al Museo del Palazzo della città proibita di Pechino ed è stata portata a Taiwan durante la ritirata di Chiang Kai-shek all’epoca della guerra civile cinese, insieme ad altri tesori. Il museo vende riproduzioni della scultura che vanno a ruba e si regalano come segno di buon auspicio, un po’ come facciamo in Italia col peperoncino. Il ristorante fine dining del museo, Silks Palace, propone anche un magnifico menù degustazione dal nome «The National Palace Museum Imperial Treasures Feast», che riproduce le più belle opere esposte nel museo, ma in versione edibile. Tra queste riproduzioni sì da contemplazione come quelle esposte, ma anche da stomaco cioè da mangiare, svetta il Jadeite Cabbage with Insects. Il piatto è realizzato con un bokchoy sum (cuore di cavolo cinese) fresco di provenienza taiwanese, di dimensioni e colore paragonabili a quello del manufatto in giada. Si fa bollire in brodo di pollo e prosciutto di qualità e si serve su un piattino con manico sul quale è poggiato a riprodurre mimeticamente anche la posizione della scultura. Può essere servito freddo come insalata, condito con salsa di sesamo nero, o caldo, con salsa di brodo scuro. In cima, al posto di grillo e locusta, il pak choi da mangiare ha due gamberetti sergestidi. Insomma, se vi domandassero «Ma che cavolo è il pak choi?», potreste decisamente rispondere: «Tanta roba!».
Jose Mourinho (Getty Images)