2024-03-14
Le bugie della sinistra per attaccare il governo pure sulla pace fiscale
Su «Repubblica» Corrado Augias accusa Giorgia Meloni di chiudere un occhio con gli evasori. In realtà una larga parte degli arretrati è inesigibile, come certifica l’Erario. E anche Einaudi criticava balzelli oppressivi e inutili. Giorgia Meloni, a più riprese, ha detto che lo Stato non deve disturbare le imprese che lavorano e ieri ha ripetuto: «Non dobbiamo vessare le imprese». In altre occasioni aveva esteso l’intento anche alle persone e alle famiglie. Si potranno rateizzare le cartelle fino a 120 mesi, sia pur gradualmente, e saranno cancellati i debiti che, tra l’altro, l’Agenzia delle entrate ha detto più volte essere per la maggior pare non riscuotibili, anche per la morte dei contribuenti o la cessazione delle attività. Ma tutto questo non conta. Repubblica titola in prima pagina «Fisco, lo Stato si arrende». Dire che non hanno capito nulla è fare un complimento al quotidiano di quel che resta della famiglia Agnelli che, tuttavia, ha una bella faccia a far attaccare il governo sul tema quando sia per la Juventus, sia per la ex Fiat, hanno problemi fiscali enormi, si parla di centinaia di milioni. Ma quando ci si sposta dal centro, anche un millimetro a sinistra, tutto è concesso: pure l’accusa di evasione fiscale del proprietario del giornale che critica il governo che vuol favorire i contribuenti e promuovere la pace fiscale per mettere un po’ di ordine nei conti dello Stato e procedere a una riforma sostanziale che speriamo sia soddisfacente. Per ora lo è in parte. Repubblica fa scrivere l’articolo di fondo a «Corrado di Delfi», che sarebbe l’inarrivabile Corrado Augias in versione oracolo. Ruolo che ormai svolge come la marmellata spalmato un po’ ovunque là dove la sinistra ha bisogno di una parola definitiva, fuori discussione, una sorta di simil dogma. Lì compare Augias che, dall’alto della sua autoconsapevolezza di genialità, non parla, sentenzia. Questo articolo di Augias si intitola «Quando il governo chiude un occhio». A chi lo chiude l’occhio? Al contribuente malfattore. Sarebbe un fatto grave se l’attenzione del governo fosse realmente a favore del malfattore ma sfugge al pur onnisciente Augias che i contribuenti cui si rivolge il governo, sia per la rateizzazione, sia per la sistemazione degli arretrati, non sono solo malfattori ma contribuenti e imprese che si trovano nelle condizioni per le quali il pagamento delle tasse, altamente iniquo, non consente loro di disporre del necessario per pagare le tasse stesse. Tra l’altro Augias si chiede a chi si sarà ispirata la Meloni in quello che ha detto e pone, guarda caso - e soprattutto che originalità - due alternative: il fascismo di Benito Mussolini o Silvio Berlusconi. Ma pensa te. Augias non pone neanche come ipotesi il fatto che esistono in Italia e nel mondo studiosi che non giudicherebbero questi provvedimenti come li giudica lui e che hanno scritto volumi e volumi in favore di un rapporto diverso tra Fisco e contribuente. Del resto, basterebbe andarsi a leggere lo Statuto del contribuente ispirato, e in parte scritto, dal compianto tributarista Gianni Marongiu. Dicevamo che nel dopoguerra ci fu il più grande riformatore fiscale d’Italia, Ezio Vanoni, che, in un discorso al Senato a proposito dell’introduzione della dichiarazione dei redditi, diceva: quando noi legislatori avremo fatto il primo atto di onestà che è quello di fissare delle aliquote che, secondo la valutazione media di ognuno di noi, sono le aliquote sopportabili… noi potremo contare su di un notevole numero di contribuenti che sentirà questo bisogno di essere tranquilli di fronte alla propria coscienza innanzi tutto e di fronte alla pubblica amministrazione in secondo luogo. Da un’altra parte Vanoni scriveva che «i sacrifici debbono essere chiesti ed imposti nelle forme e nei tempi che ne rendano meno grave la sopportazione da parte dei soggetti. Le formalità, le prestazioni accessorie, le sottigliezze di applicazione, devono essere ridotte al minimo onde evitare inutili aggravi e sofferenze». Cosa c’è di diverso dall’affermare che l’apparato tributario non deve gravare troppo sulle imprese fino all’«oppressione fiscale» e che si devono disturbare le imprese il meno possibile con un Fisco vessatorio e opprimente? Non occorre con un tasso di banalità spropositato citare Mussolini e Berlusconi, non è da Augias, uomo colto e fine conoscitore della storia italiana. C’è qualcun altro che ha pensato queste cose. Non solo Vanoni ma anche Luigi Einaudi, ad esempio, che chiamava le tasse oppressive e inutili «tasse grandine». Augias cita poi l’articolo 53 della Costituzione e qui scivola su una buccia di banana. Quell’articolo, ideato e scritto con l’apporto fondamentale di Vanoni, inserisce il concetto di capacità contributiva. Cosa vuol dire? Vuol dire che un contribuente deve pagare le tasse in relazione alle sue possibilità e non in relazione alla supremazia dello Stato che le impone. Una volta pagate le tasse, secondo il principio della capacità contributiva, al contribuente deve rimanere una parte del suo reddito (salario) sufficiente a «provvedere onestamente ai bisogni suoi e della sua famiglia ed alla elevazione propria e dei propri familiari secondo le necessita dell’ambiente in cui vive». È ancora Vanoni a scrivere questo.Oggi in Italia le persone che sono nella fascia di reddito tra i 15.000 e i 50.000 euro pagano il 60% dell’Irpef. Iniquità totale. Molti di questi rientrano nelle famose cartelle. È troppo pensare di concedere a essi una pace fiscale e una lunga rateazione?Tutto il resto sono ragionamenti fasulli, chiacchiere da bar (di sinistra), fandonie, ignoranza.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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