- Critiche alla Svizzera per la scelta di proteggere gli azionisti di Credit Suisse. La Bce: «L’Ue non applica questo standard per i salvataggi. Pronti a fornire la liquidità». Occhi sui rischi di ricadute su altri istituti. Le big italiane non sarebbero esposte.
- Il governatore: «Pure la mia famiglia soffre i rincari». Sul futuro si limita a dire: «I prezzi saranno troppo alti per troppo tempo».
Critiche alla Svizzera per la scelta di proteggere gli azionisti di Credit Suisse. La Bce: «L’Ue non applica questo standard per i salvataggi. Pronti a fornire la liquidità». Occhi sui rischi di ricadute su altri istituti. Le big italiane non sarebbero esposte.Il governatore: «Pure la mia famiglia soffre i rincari». Sul futuro si limita a dire: «I prezzi saranno troppo alti per troppo tempo».Lo speciale contiene due articoliDomenica sera le Banche centrali mondiali hanno applaudito all’intesa sul salvataggio del Credit Suisse. «La rapida azione e le decisioni prese dalle autorità svizzere» per risolvere il caso «sono determinanti per ripristinare condizioni di mercato ordinate e assicurare la stabilità finanziaria», ha dichiarato il presidente della Bce, Christine Lagarde, sottolineando come comunque la Bce sia pronta a sostenere il sistema se necessario. Lodi alla rapidità di Berna sono arrivate a caldo anche dalla Bank of England, dal Tesoro americano e dalla Federal reserve. Bene, bravi per la tempestività dell’intervento, insomma. Poi però è stato analizzato lo schema di salvataggio scelto dalla Banca centrale svizzera, in particolare la decisione di tutelare più azionisti e creditori che gli obbligazionisti ribaltando la gerarchia degli strumenti per assorbire le perdite. E l’entusiasmo di domenica è un po’ scemato. Anzi, sono partite le prime critiche da parte dei tecnici delle autorità di vigilanza. In particolare quelli della Bce, che hanno evidenziato la distorsione nell’intervento svizzero nel dare la precedenza agli interessi degli azionisti, ovvero coloro che hanno potuto indirizzare l’operato del cda negli ultimi anni, rispetto agli interessi degli obbligazionisti, ovvero di chi ha prestato soldi alla banca comprando i suoi bond. Esattamente l’opposto di come funziona in Europa. «Gli strumenti di capitale ordinario sono i primi ad assorbire le perdite e solo dopo il loro pieno utilizzo sarebbe necessario procedere alla svalutazione dell’Additional Tier 1», hanno scritto la vigilanza bancaria della Bce, il Comitato di risoluzione unico e l’Autorità bancaria europea in una nota. Dove si sottolinea, inoltre, che questo approccio «è stato costantemente applicato in passato e continuerà a guidare le azioni dell’Srb e della vigilanza bancaria negli interventi di crisi». Insomma, il salvataggio di Credit Suisse con l’azzeramento integrale del valore nominale di tutte le sue obbligazioni At1, per un importo di 16 miliardi di franchi, è stato possibile in Svizzera ma non è replicabile secondo le leggi europee. Un segnale che è stato subito interpretato come critica implicita alle decisioni di Berna, ma anche come messaggio agli Stati dell’Unione su quanto si deve fare in caso di crisi di una banca. In audizione davanti al Parlamento europeo, anche Christine Lagarde ha sottolineato che «la Svizzera non fissa gli standard in Europa per la risoluzione delle banche» e che «le regole del quadro di risoluzione non sono quelle applicate da altre istituzioni, in particolare dalla Svizzera». Poi ha suonato il solito refrain: ha detto che la Bce «sta monitorando attentamente gli sviluppi del mercato», che «il settore bancario è resiliente» e che «in ogni caso, gli strumenti di politica monetaria della Bce sono pienamente attrezzati per fornire sostegno alla liquidità del sistema». La Lagarde ha però aggiunto che «le vulnerabilità nel settore finanziario non bancario potrebbero esacerbare volatilità e correzione dei prezzi degli asset». Il riferimento è a istituzioni quali le Sim, i gestori del risparmio, i fondi di investimento, gli hedge fund e altre entità che operano nell’intermediazione finanziaria come vere e proprie banche senza essere soggette alle regole e alla supervisione bancaria. Toni rassicuranti sono stati usati dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. «Non rileviamo problemi di capitalizzazione e liquidità nelle nostre banche. Abbiamo gli strumenti per far fronte a qualsiasi crisi di liquidità che ci possa essere e abbiamo messo su un sistema con le principali Banche centrali per avere ogni giorno tutta la liquidità necessaria in dollari», ha assicurato ieri. Riferendosi poi alla risposta «molto rapida e forte» delle autorità americane al caso Svb, Visco ha comunque aggiunto che quello che esiste negli Usa, la Federal deposit insurance corporation, è qualcosa che noi non abbiamo in Europa e dobbiamo mettere in atto. «Serve una risposta per far fronte a crisi bancarie di banche medie». Attenzione, però anche alle parole della vicedirettrice di Bankitalia, Alessandra Perrazzelli: «Stiamo monitorando questa realtà, peraltro dobbiamo capire se riguarda le nostre banche in particolare. Nei prossimi giorni saremo in grado di dare qualche segnale», ha detto ieri a margine di un convegno commentando l’azzeramento dei bond At1 prima dell’equity deciso in Svizzera. Andrà, dunque, capito chi - e per quanto - potrebbe essere detentore di bond At1 del Credit Suisse. Secondo l’agenzia Bloomberg, Unicredit, BancoBpm, Generali, Mediobanca e Banca Generali non hanno in portafoglio obbligazioni di questo tipo. Mentre Intesa, Mediolanum, Unipol e Anima hanno un’esposizione «prossima allo zero». Ieri, la stessa Lagarde ha assicurato che l’esposizione delle banche europee al Credit Suisse è «molto limitata», aggiungendo che «si tratta di milioni, non di miliardi». Di certo, il più grande azzeramento di At1 della storia potrebbe comportare problemi di fiducia verso tutto il mercato europeo degli At1, stimato attorno a 250 miliardi di euro. Come se non bastasse, il timore degli esperti è che gli istituti di credito freneranno i prestiti, impattando negativamente sull’economia. Sul tavolo delle Banche centrali resta, intanto, la lotta all’inflazione. Ci si chiede se le scelte di politica monetaria verranno modificate. I riflettori sono anche puntati sulle mosse della Federal reserve che domani dovrà decidere se e di quanto (le scommesse sono sui 25 punti base) alzare l’asticella. Ovvero se dare la priorità alla stabilità finanziaria o alla stabilità dei prezzi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-banche-centrali-preparano-il-paracadute-2659624921.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="particle-1" data-post-id="2659624921" data-published-at="1679341965" data-use-pagination="False"> Christine Lagarde prima fa una affermazione e, un attimo dopo, dice l’esatto opposto. Il caso dell’inflazione nel Vecchio continente appare lampante. Ieri, durante un’audizione al Parlamento europeo, ha fatto sapere che «ci sono persone che soffrono più di altre, quelle più vulnerabili, dipendenti, proprietari di piccole aziende hanno subito un duro colpo dall’aumento dell’inflazione. Io ho dei familiari che vivono proprio in questa situazione. Questo mi rende ancora più determinata nell’obiettivo di riduzione dell’inflazione. La stabilità dei prezzi è una condizione essenziale per crescita, occupazione, investimenti e innovazione, il nostro compito è garantirla», ha precisato. Proprio per cercare di fermare il caro prezzi, pochi giorni fa la Bce ha alzato di nuovo i tassi, una decisione rispetto alla quale però la Lagarde sembra già pronta a invertire la rotta nel prossimo futuro. Come ha spiegato la numero uno dell’istituto di Francoforte, intervenuta in commissione Affari economici del Parlamento europeo: «Nella dichiarazione conclusiva del consiglio direttivo della Bce, la scorsa settimana, non abbiamo ripetuto l’impegno a continuare con un incremento dei tassi in maniera costante. Davanti all’incertezza che si profilava e alle tensioni sui mercati è stato chiaro come fosse più ragionevole non spingersi oltre, vincolando all’arrivo di nuovi dati le prossime scelte. Visto il tasso di inflazione attuale e il nostro obiettivo di inflazione al 2%, l’aumento di 50 punti base è stata una decisione forte che andava presa, è stato ragionevole invece non indicare quali potranno essere le future decisioni. Se ci fossimo basati solo sullo scenario di base al netto delle tensioni attuali avremmo indicato la necessità di ulteriori rialzi ma a fronte dell’incertezza non sarebbe stata una decisione giusta. Non ho detto», ha ribadito Lagarde, «che i rialzi dei tassi non saranno costanti in futuro, ho detto che le prossime decisioni si baseranno sui dati». E sul futuro si è limitata a dire: «Si prevede che l'inflazione rimarrà troppo alta per troppo tempo», cosa che potrebbe far presagire altre strette. Insomma, tutto e il contrario di tutto, verrebbe da dire. Prima l’inflazione doveva essere passeggera, ora non si riesce a fermare. I tassi vanno alzati, ma forse in futuro non sarà il caso di alzarli ancora. A Francoforte regna l’incertezza. Solo a gennaio 2022 il presidente della Bce spiegava che l’impennata sarebbe stata passeggera e che la Bce non aveva intenzione di reagire perché «faremmo più male che bene all’economia. Pensiamo che nell’anno 2022 (l’inflazione, ndr) si stabilizzerà e che calerà. Calerà meno di quanto noi e tutti gli economisti avevano previsto, ma calerà». Secondo la Lagarde, l’inflazione avrebbe dovuto scendere già nel 2023 perché le strozzature nelle catene di approvvigionamento globali «finiranno per risolversi». La guerra in Ucraina ha stravolto le aspettative, con il caro energia che si è innestato e ha accelerato la spirale in rialzo dei prezzi. La Lagarde, ieri, ha anche gettato acqua sul fuoco dei mercati, spiegando che «stiamo monitorando attentamente gli sviluppi del mercato e siamo pronti a rispondere se necessario per preservare la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria nell’area dell’euro. Il settore bancario dell’area dell’euro è resiliente, con solide posizioni patrimoniali e di liquidità», riferendosi all’operazione di salvataggio di Credit Suisse. Alle parole della Lagarde ha fatto eco anche il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti: «Riteniamo che le ripercussioni per il sistema bancario italiano siano insignificanti», ha detto ieri a margine di un evento di Intesa Sanpaolo a Milano. Il numero uno di Via XX Settembre ieri si è espresso anche sul continuo aumento dei tassi da parte della Banca centrale europea spiegando che «va calibrato con molta attenzione, perché aumentare i tassi di interesse è utile per domare l’inflazione ma può causare qualche problema alla stabilità finanziaria».
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