2023-04-04
Le aziende chiamano l’Ue per far cancellare il salasso targato Speranza
Esposto alla Commissione sul payback. Sono a rischio 4.000 ditte di dispositivi medici: devono versare 5 miliardi per coprire i buchi della sanità. «Ora l’esecutivo ci riceva».Le 4.000 aziende italiane che producono dispositivi medici sono rimaste - per fortuna - senza Speranza. Ma adesso rischiano di perdere pure la speranza con la «p» minuscola. Lo sconto da un miliardo di euro sul payback, varato dal governo di centrodestra, non basta a salvarle dal collasso. Lo stanziamento copre la metà della cifra che dovrebbero versare per il periodo dal 2015 al 2020, cui poi vanno aggiunti i tre miliardi e 600 milioni per il 2019-2022. E c’è comunque la beffa: il salvagente è stato lanciato soltanto a chi rinuncia ai ricorsi. Nei Tar ne giacciono circa 2.000, di cui 500 straordinari, indirizzati direttamente al presidente della Repubblica. Fatto sta che ci sono alcune società dalle quali lo Stato si aspetta versamenti addirittura superiori al fatturato. Queste ultime non hanno alcuna intenzione di mollare l’osso nei tribunali. Nel frattempo, gli imprenditori sentono sul collo il fiato delle banche. Come ha spiegato qualche giorno fa alla Verità Giacomo Guasone, presidente di Fifo, associazione che rappresenta alcuni operatori del settore, gli istituti di credito stanno contattando direttamente le ditte: «Vogliono conoscere l’esatta esposizione debitoria, se sono solvibili». Ecco perché Confindustria è salita sulle barricate, depositando un esposto alla Commissione europea, «affinché valuti l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia». Il payback, infatti, «viola le norme comunitarie in materia di concorrenza e accesso al mercato», senza contare i suoi profili di incostituzionalità, visto che equivale a un esproprio ai danni delle aziende, perpetrato allo scopo di tappare i buchi nei bilanci regionali. Nel comunicato diffuso ieri, Massimiliano Boggetti, presidente di Confindustria dispositivi medici, ha riconosciuto all’esecutivo di Giorgia Meloni la volontà di «risolvere il problema», ma ha lamentato che «il tavolo dove trovare, di concerto con l’industria, una soluzione per il superamento dei tetti di spesa e discutere contestualmente di come chiudere» i conti sin qui accumulati, non è ancora stato aperto. Peraltro, il paracadute varato dal governo non abroga affatto la norma. Il che significa una cosa ben precisa: schivare la mannaia oggi non metterebbe al riparo le ditte del comporto un domani. «Per questo», ha insistito Boggetti, «chiediamo un incontro urgente per trovare soluzioni costituzionali, che preservino la tenuta del nostro Servizio sanitario nazionale e di un’industria che genera Pil». A onor del vero, va ammesso che il premier, il ministro dell’Economia e quello della Salute si sono ritrovati sul groppone una pesante eredità, per la quale hanno responsabilità politiche limitate. La norma sul payback fu introdotta nel 2015 da Matteo Renzi, ma è rimasta quiescente fino ad agosto 2022. Quando, con il decreto Aiuti bis, il governo Draghi, complici l’allora titolare del Mef, Daniele Franco, e ovviamente Roberto Speranza, l’ha rispolverata. Un colpo basso per reperire risorse con le quali coprire le spese straordinarie della pandemia, facendo pagare il conto a chi lavora. E non ha colpa per gli sforamenti dei budget regionali. Il meccanismo, in effetti, si risolve in una vera tassa sul fatturato, imposta alle aziende in proporzione alla loro quota di mercato. In alcuni casi, il prelievo forzoso può arrivare al 50% della somma con cui la pubblica amministrazione ha sfondato il tetto di spesa. Com’è ovvio, la crisi inflazionistica ha determinato un aggravio dei costi, che si è riverberato altresì sui produttori di dispositivi medici. I quali, pertanto, subiscono una doppia ingiustizia: costretti, magari, ad alzare i prezzi per conservare lo stesso margine di profitto di un tempo, si vedono incrementata l’odiosa gabella.Il settore, tra l’altro, viene da un periodo turbolento. A fine dicembre, le imprese avevano lanciato un allarme sull’aggiornamento dei regolamenti europei che rendevano più stringenti i requisiti di qualità e sicurezza di oggetti come protesi, pacemaker e siringhe. Essendo però stato ridotto il numero degli enti che si occupavano dei controlli ed essendo state interrotte le ispezioni durante i lockdown, erano in pericolo tutte le certificazioni in scadenza - 1.400 nel 2022 - che andavano rinnovate seguendo l’iter modificato. A gennaio, la Commissione ha ufficializzato una proposta di proroga dei documenti di conformità. Ma la durata del rinvio dipende dal tipo di strumento - per i materiali più delicati, la transizione sarà breve. E poi, Europarlamento e Consiglio Ue devono muoversi con solerzia, blindando la sanatoria.Spade di Damocle da Bruxelles, tributi in sospeso con Roma. È la realtà che si apre al di là della retorica dei politici sulla sanità da rilanciare. Per Giorgia Meloni, Giancarlo Giorgetti e Orazio Schillaci, è arduo muoversi negli interstizi di finanza pubblica e reperire risorse per neutralizzare l’odioso trucco di Speranza. Ma la leader di Fdi, durante il suo discorso d’insediamento, aveva promesso che il suo governo non avrebbe disturbato «chi vuole fare». Evitare di lasciarlo in mutande sarebbe un ottimo punto di partenza.
(Totaleu)
«Strumentalizzazione da parte dei giornali». Lo ha dichiarato l'europarlamentare del Carroccio durante un'intervista a margine della sessione plenaria al Parlamento europeo di Strasburgo.