2019-03-27
Bonifazi e Renzi si lodano a vicenda. Ma i buchi nel Pd li hanno fatti loro, non Bersani
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L'ex segretario del Partito democratico ha ringraziato l'ex tesoriere nella sua enews della scorsa settimana. «Ha tenuto in piedi un'organizzazione mastodontica che i miei predecessori avevano riempito di assunzioni». Eppure l'attuale presidente di Articolo 1 aveva lasciato i conti in ordine nel 2013, mentre il vero buco di bilancio lo si è avuto nel 2016, quando a fronte di una spesa di 11 milioni di euro per la campagna sul referendum istituzionale, è rimasto un rosso di 3. Scrive l'ex capo del personale dei Ds Fabio Fazzi: «Tralascio gli esiti politici di quel referendum. Ma una cosa è chiara, hai speso dei soldi che in realtà il partito non aveva». Quando i lavoratori andarono in cassa integrazione l'ex amministratore delle casse del partito si faceva ritrarre su Instagram sdraiato su un divano con due barboncini.Più di 140 persone in cassa integrazione, un bilancio in rosso di 3 milioni di euro nel 2016 grazie una campagna referendaria fallimentare e dai costi faraonici, persino un giornale storico come l'Unità che ha chiuso i battenti. Eppure la scorsa settimana Francesco Bonifazi, ormai ex tesoriere del Partito democratico, ha postato un post su Facebook dove ha scritto di portare dentro di sé «l'orgoglio di aver fatto il tesoriere del Pd, di aver raggiunto un equilibrio nonostante l'abolizione del finanziamento pubblico, di aver lasciato i conti in ordine e di aver tracciato una via di sostenibilità per il futuro del partito». Non solo. A rendere omaggio alle capacità amministrative dell'avvocato che condivide lo studio con uno dei fratelli dell'ex ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, è intervenuto anche l'ex segretario Matteo Renzi, nella sua enews. Nel Pd «Francesco Bonifazi è stato per oltre cinque anni una garanzia assoluta come tesoriere. Gli abbiamo tolto il finanziamento pubblico e ha tenuto in piedi un'organizzazione mastodontica che i miei predecessori avevano riempito di assunzioni (c'erano i rimborsi, prima, e si assumeva in libertà noi non abbiamo assunto nessuno)». Peccato che non sia così. Nel 2013 l'ex segretario Pierluigi Bersani aveva speso molto, ma aveva lasciato in cassa comunque un tesoretto di 4 milioni di euro. Diverso il discorso del 2016, quando i dem, a fronte di una spesa per il referendum costituzionale di quasi 11 milioni di euro (ma c'è chi dice siano molti di più), hanno lasciato un buco in bilancio di 3 milioni di euro: una Qualche dipendente ora in cassa integrazione, dopo i post elogiativi, ha fatto notare la cosa all'ex presidente del consiglio su Facebook. «Caro Senatore Renzi,ora basta! C'è un limite alla decenza, soprattutto dentro un partito che, per sua natura, dovrebbe essere una comunità. Le tue parole suonano come una presa per i fondelli nei riguardi dei dipendenti del Pd. Stridono con una realtà inconfutabile di un tesoriere tutt'altro che responsabile e rispettoso», ha scritto Fabio Fazzi, ex capo del personale dei Ds prima della fusione, poi nell'organigramma del partito. Fazzi è uno dei 146 dipendenti in cassa integrazione, una situazione che lui come molti altri si sono ritrovati a vivere nell'estate del 2017, mentre Bonifazi postava su Instagram una foto dove veniva ritratto su un divano in pantaloncini accompagnato da due barboncini. Per di più la cassa integrazione varia ancora adesso a seconda dei dipendenti, c'è chi è stato favorito e chi no. Spiega Fazzi: «Non voglio fare una lunga disquisizione sui famosi «conti in equilibrio» (un equilibrio precario direi, visto che c'è una situazione debitoria che impegnerà le risorse dei prossimi due/ tre anni), sarebbe troppo lunga e forse non comprenderesti, ma una cosa bisogna dirla: sul bilancio Pd del 2016 chiuso con un patrimonio netto negativo di oltre 3 milioni di euro (praticamente uno stato di default), hanno influito i milioni di euro sperperati per la campagna referendaria da te pompata all'inverosimile». Il referendum del 2016 è stata la tomba economica del Partito Democratico. I renziani avevano investito tutto quello che potevano confidando nella vittoria, così non è stato. Per di più in questi anni Bonifazi e Renzi hanno incassato soldi anche all'esterno del partito, tramite la Leopolda e la fondazione Open, tramite la Fondazione Eyu, finita sotto indagine nell'inchiesta sullo stadio della Roma per le consulenze del costruttore Luca Parnasi: Bonifazi è indagato per false fatturazioni e finanziamento illecito ai partiti. Continua Fazzi: «Tralascio gli esiti politici di quel referendum. Ma una cosa è chiara, hai, assieme al tesoriere Bonifazi, speso dei soldi che in realtà il partito non aveva. Insomma avete giocato a poker senza avere denaro e sul banco avete puntato il futuro lavorativo dei dipendenti. Se vai in una periferia romana ti sentiresti dire: «facile giocà cor culo dell'artri!..». Per di più in questi anni Bonifazi non si è mai degnato una volta di parlare con i lavoratori in assemblea. Fazzi è chiaro: «Vedi caro Renzi, gli unici a dimostrare senso di responsabilità, e gli unici a salvare la baracca, sono stati proprio i dipendenti, soprattutto nelle loro componenti sindacalizzate. I lavoratori hanno sempre dimostrato serietà e senso del dovere, pure di fronte all'immagine postata da Bonifazi che si ritraeva beato sul divanetto in Versilia come un adone, mentre partiva la cassa integrazione». E infine conclude: «Parli di apparato mastodontico, però poi non avete esitato, tu e il tuo tesoriere, ad imbottire la struttura di collaborazioni esterne, quasi a voler dimostrare, contro ogni verità, che i dipendenti erano inaffidabili e incapaci. No caro senatore, non potete far finta che i problemi li hanno creati solo gli altri. Non vi è consentito di continuare a prendere in giro i lavoratori, quei lavoratori che avete messo in cassa integrazione per rimediare ad errori fatti per vostra incapacità e supponenza, proprio quella supponenza che vi ha reso responsabili anche delle sconfitte pesanti rimediate dal partito». Ora con l'arrivo di Luigi Zanda alla tesoreria in tanti sperano in un cambiamento, magari partendo dalla stessa struttura amministrativa, dove si ritrovano ancora gli stessi dirigenti. Del resto Zanda fu quello che riuscì a mettere da parte come capogruppo al Senato un tesoretto di 5 milioni di euro per aiutare i dipendenti in difficoltà. Peccato il suo successore Andrea Marcucci lo abbia usato in altro modo.