2021-12-05
L’asse Fdi-Lega-Fi chiude il Quirinale al Pd
L’asse con Italia viva mette il centrodestra in una posizione di vantaggio senza precedenti per decidere l’inquilino del Colle. I democratici si aggrappano al M5s ma non hanno i numeri. E il caso Gualtieri-Bettini è la prova di gravi divisioni interne. L’alleanza ormai praticamente strutturale tra Italia viva, Lega e Forza Italia spalanca al centrodestra le porte del Quirinale. Che sia Silvio Berlusconi, che sia un Mario Draghi targato centrodestra, che sia qualunque altra personalità dell’area liberal-moderata, mai come stavolta, dal 1948 a oggi, la sinistra era stata così in difficoltà a poche settimane dalla convocazione del parlamento in seduta comune per l’elezione del Capo dello Stato. Italia viva si può considerare ormai stabilmente nel centrodestra, e la prova è l’addio del senatore Leonardo Grimani al partito di Matteo Renzi: «La spinta del progetto riformista», spiega Grimani, «cosi come concepito con l’adesione ad Italia viva si è, a mio avviso, esaurita e va aperto un confronto nell’area del riformismo con un momento di riflessione approfondito». Si è esaurita eccome, se mai ci fosse stata, la spinta riformista di Italia viva: dopo decine di indizi sull’avvicinamento dei renziani al fronte dei moderati e dei conservatori italiani, lo strappo definitivo si è consumato nella solenne sede di Palazzo Chigi, durante la solennissima liturgia del Consiglio dei ministri, quando, l’altro ieri, i ministri di Lega, Forza Italia e Italia viva hanno compiuto il supremo atto di lesa maestà, dicendo no alla proposta del premier Draghi di temperare i rincari delle bollette attraverso un «contributo di solidarietà» (ovvero un prelievo fiscale) ai danni del ceto medio. Facciamo parlare i numeri e vediamo come questo asse Salvini-Berlusconi-Renzi impatta sulla corsa al Colle. I grandi elettori che si riuniranno in seduta comune a Montecitorio sulla carta sono 1009: ossia 630 deputati (ma il seggio rimasto vacante dopo le dimissioni di Roberto Gualtieri, neo sindaco di Roma, potrebbe non essere stato ancora assegnato al momento della elezione, dunque sarebbero 629); 315 senatori più 6 a vita; 58 delegati regionali. Le votazioni sono a scrutinio segreto: nelle prime tre, per essere eletti sono necessari i due terzi dei voti dell’assemblea, pari a 673; dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta, ovvero 505. Il centrodestra dispone, sulla carta, di 418 parlamentari grandi elettori che fanno riferimento ai partiti dentro la coalizione: 197 della Lega, 127 di Fi, 58 di Fdi, 31 di Coraggio Italia-Cambiamo-Idea, 5 di Noi con l’italia, ai quali si aggiungono i 33 delegati regionali che, secondo i calcoli, dovrebbero essere di area moderata, eletti dai consigli regionali italiani. Il totale fa quindi 451. Italia viva conta su 42 grandi elettori: sommati a quelli di centrodestra si arriva a 493. In sostanza, se Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Italia viva votassero compatti per un nome basterebbero solo altri 12 voti per riuscire, al quarto scrutinio, nell’impresa. Il mare nel quale nuotano i pesciolini (pardon, i grandi elettori) da prendere all’amo è pescosissimo: basti pensare ai 105 parlamentari fuoriusciti dal M5s dal 2018 a oggi, e al nugolo di centristi pronti a fare da ago della bilancia. La sinistra, invece, è letteralmente a pezzi. Il Pd ha 133 grandi elettori (compreso il seggio di Gualtieri), il M5s ne ha 233, Leu 18, Azione-Più Europa 5, Centro democratico ha 6 deputati. A questi, vanno aggiunti i 24 delegati regionali, più Gianclaudio Bressa, iscritto al gruppo per le Autonomie ma eletto con il Pd, e si arriva a quota 420. Hai voglia a far circolare nomi come quelli di Anna Finocchiaro o Paolo Gentiloni: stavolta il Pd e i suoi satelliti, tra i quali va ormai annoverato anche un M5s a guida Giuseppe Conte ridotto ai minimi termini, non possono imporre il capo dello Stato. Nuvoloni neri si addensano sul capo di Enrico Letta, al quale Renzi sta sostanzialmente rompendo le uova nel paniere su qualunque argomento. «Siamo determinanti per l’elezione del presidente della Repubblica», dice alla Verità un big di Italia viva, «e lavoriamo per la più ampia convergenza. L’unica cosa certa è che, al di là di ogni fantasia o prospettiva, se verrà aletto Draghi si andrà a votare immediatamente dopo». Sono agli stracci anche tra di loro, i dem: l’ultima dimostrazione è la megazuffa a colpi di insulti, lettere e dimissioni, tra il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, e il guru, o presunto tale, del Pd capitolino, Goffredo Bettini. Una lite furibonda, raccontata dal Foglio, scatenata dal no di Gualtieri a una nomina proposta da Bettini, il quale per tutta risposta si è dimesso dal Cda della Festa del Cinema. Una rissa che fa gongolare Carlo Calenda, da sempre critico sulla gestione del Pd, e in particolare sul ruolo di Bettini: «Accordo malattia Ama, mancata revisione metro a rischio blocco», twitta il leader di Azione, «controllo dei sindacati sulle municipalizzate, riunioni tra correnti per spartizioni delle controllate, il ritorno di Bettini. Fatemi solo la cortesia di non dire non lo immaginavamo. Grazie».