
Ovunque nel mondo, l'interruzione di gravidanza le ha rese schiave del sesso senza responsabilità, della violenza maschilista e del potere economico.Spenta la scontata emozione che ogni notizia suscita «a caldo», la bocciatura del Senato argentino alle modifiche di allargamento della legge sull'aborto, richiede qualche riflessione che vada al di là della contrapposizione pro life/ pro choice, utilizzando lo strumento della ragione, illuministicamente intesa.Una prima considerazione è d'obbligo: in Argentina da molti anni è attiva una legge che prevede l'aborto legale in caso di stupro o di pericolo per la vita della madre. Entrambe condizioni drammatiche, che non giustificano comunque la soppressione di un bimbo innocente: la prima non sempre facilmente dimostrabile in ambito legale, la seconda è una prassi medica consolidata nei secoli, illuminata altresì dalle fulgide esperienze di mamme che hanno amato fino in fondo la propria creatura, fino a dare la vita per loro. Certamente né l'assoluto morale né l'eroismo civile si possono imporre per legge. La legge argentina riprende, dunque, il contesto culturale e sociale che sta alla base di tutte le leggi pro-aborto: da una parte, la scomparsa assoluta del diritto alla vita di un bimbo indifeso (anche lo Stato di diritto, storicamente nato proprio per difendere i deboli e gli indifesi, lo «scarica»!), dall'altra assumendo la categoria della difesa della salute della donna, minacciata da una gravidanza, comunque «pericolosa» sul piano psicofisico. In Argentina si è ripetuto l'identico copione, diventato ormai il grimaldello per plagiare l'ignara pubblica opinione e scardinare ogni legislazione che si ponga dalla parte del bimbo: una ridda di menzogne su abusi sessuali con gravidanze violente senza numero, aborti clandestini con morti materne incalcolabili, nascita di «mostri» destinati a vite di sofferenze... come dimenticare, proprio noi italiani, la tragica vicenda di Seveso e diossina? Decine di bimbi uccisi in utero, non uno solo malformato. Mentre i «superstiti», figli di madri «coraggiose» che non hanno voluto interrompere la gravidanza, sono fra noi a testimoniare la vita. Se fosse davvero la preoccupazione per la salute psicofisica della donna, che cosa manca all'attuale legge argentina? In caso di violenza si può abortire; in caso di pericolo per la vita materna, si può abortire: che cosa manca? Il vero problema è che di aborto stanno morendo le nazioni e le civiltà. In Italia, regina mondiale della denatalità, mancano all'appello più di sei milioni di cittadini, uccisi prima di nascere. Ovunque nel mondo, l'aborto non ha reso le donne più libere, ma proprio al contrario più schiave. Schiave del sesso senza responsabilità, schiave della violenza sessuale maschilista, schiave del potere economico che condiziona aiuti umanitari all'imposizione di politiche che obbligano a uccidere il proprio figlio. E mentre Barack Obama e compagni invocano l'aborto come diritto universale, mentre George Soros e compagni investono montagne di soldi per rendere l'uomo sempre più debole e solo, la voce profetica di san Giovanni Paolo secondo già anni fa si levava per dire che le vittime dell'aborto sono due e, forse, anche tre: il bimbo, la mamma ed il papà. Gli ha fatto eco pochi giorni fa il santo padre Francesco: l'aborto è e rimane un atto malvagio. Faccio il medico da più di 40 anni e non ho incontrato una sola donna che si sia pentita di non aver abortito, mentre ne ho conosciute tante - ma proprio tante - che piangono sulla loro scelta, e portano le ferite di quella gravidanza interrotta. Una volta di più la vicenda argentina ci insegna che chi vuole davvero bene alle mamme - singolo, istituzione o stato - non urla il diritto d'aborto, ma sta al loro fianco in gravidanze complicate, aiuta socialmente ed economicamente, garantisce alloggio e sostentamento, finanzia Progetti Gemma e assicura i latticelli gratuiti a chi non ha latte naturale, sostiene asili nido gratuiti, appronta politiche a vantaggio della gravidanza/ maternità, defiscalizza le aziende che garantiscono lo stipendio alle mamme a casa con i loro cuccioli. Resto sempre in attesa di una domanda che feci anni fa durante un dibattito pubblico, e speriamo che qualcuno prima o poi risponda: «Chi ci perde se nasce un bimbo e chi ci guadagna se lo uccidiamo?». Viene da dire «meditate gente, meditate».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.