2022-02-02
L’arcitaliano: cuore, pallone e lingua lunga
Maurizio Zamparini (Ansa)
È morto a 80 anni Maurizio Zamparini, inventore del Palermo dei record. Dai supermercati al calcio, ha scoperto stelle come Dybala e Cavani e ha fatto saltare 51 panchine. Di lui resteranno le risse sincere e i milioni spesi con la follia del tifoso. Il crollo dopo la morte del figlio.«A volte penso che la mafia sia stata inventata per dare uno stipendio a quelli che fanno Antimafia». Lo disse alla facoltà di Architettura di Palermo davanti a un migliaio di studenti; Leonardo Sciascia avrebbe annuito. «L’unica persona indegna è Mario Monti che sta distruggendo l’Italia», tuonò con la voce di carta vetrata in un’intervista a Sport Mediaset e la maggioranza degli italiani avrebbe applaudito. Questo era Maurizio Zamparini, istintivo e letale come quel Paulo Dybala che lanciò in Serie A. Poi venivano il calcio, il re dei supermercati, gli allenatori cacciati, le inchieste federali, le liti da ballatoio al Processo del lunedì, la guerra alle grandi del pallone, l’amore adulto per la Sicilia, la fine silenziosa. Ora che non c’è più, l’epitaffio perfetto sta in una frase di Walter Sabatini: «Le sue emozioni arrivavano sempre prima di lui». Il presidente del Venezia e del Palermo che mangiava allenatori a colazione (ne ha esonerati 51 in 32 anni, ma con le cacciate multiple superò i 70) è morto a 80 anni all’ospedale Cotignola di Ravenna per complicazioni al colon dopo un delicato intervento all’addome. Vulcanico e controcorrente, era scomparso dalla scena pubblica l’ottobre scorso dopo aver subìto nell’anima il dolore più grande: la morte del più giovane dei suoi cinque figli, Armando, mentre si trovava a Londra per lavoro. Allora la quercia si è spezzata. Ricorda Rino Foschi, storico direttore sportivo del Palermo: «Si è lasciato andare piano piano. È stata una perdita troppo dolorosa e lui non ha retto». Friulano di Bagnaria Arsa (Udine), Zamparini sbarca in Sicilia nel 2002 con un contratto e una valigia piena di soldi. Il primo è l’acquisto del Palermo Calcio da Franco Sensi che possiede anche la Roma e deve liberarsene (un vizio storico del pallone italiano), la seconda è frutto di un’intuizione da imprenditore vero: entrare con coraggio nel business dei centri commerciali in un’Italia che negli anni Settanta si sta americanizzando e subisce il fascino dei mall. I suoi si chiamano Mercatone Z (le iniziali per acronimo), poi venduti per 1.000 miliardi di lire ai francesi di Condorama. Già presidente del Pordenone e del Venezia, trova il terreno fertile a Palermo per realizzare una dinastia neoborbonica che si regge sul delirio pallonaro. È un arcitaliano polemico e vittimista, sempre pronto a far baruffa e a lanciare crociate contro i poteri forti del Nord. Così cementa lo spirito di rivalsa di un’intera isola e in due anni conduce i rosanero in Serie A. È protagonista del decennio d’oro, il Palermo entra in Europa e arriva in finale di Coppa Italia. Soprattutto lancia calciatori stellari come Luca Toni, Andrea Barzagli, Edinson Cavani, Javier Pastore, Paulo Dybala, il pennellone brasiliano Amauri, Josip Ilicic. Notti a guardare videocassette, poi l’intuizione. Ricorda Sabatini: «Mi ha insegnato il coraggio, l’arroganza. Quando ero all’estero a caccia di un calciatore che gli piaceva, mi insultava al telefono per indurmi a offrire più soldi. Il bello è che erano i suoi». Zamparini spende 10 milioni all’anno più di quelli che incassa e ripiana con le sue finanze. Per questo si permette un lusso che sa di paradosso: licenziare gli allenatori come figuranti di The Apprentice: Fired!. La lista è infinita e comprende top di oggi come Gian Piero Gasperini («La squadra è buona ma l’allenatore è un perdente»), Stefano Pioli e Luciano Spalletti, ct della Nazionale come Gian Piero Ventura e Cesare Prandelli, poi Alberto Zaccheroni, Walter Zenga, Delio Rossi, Davide Ballardini, Rino Gattuso. Dice Francesco Guidolin: «Era il migliore presidente del mondo, dal martedì alla domenica». Qualcuno lo lascia e se lo riprende, tutti tornano perché lo Zampa paga fino all’ultimo euro. Nella stagione 2015-2016 arriva a fare otto cambi di panchina, due all’indomani di una vittoria, con ovvi effetti disturbanti sulle tattiche di gioco. Caccia i tecnici e poi si pente. Come con Pioli: «Non dovevo esonerarlo, mi sto mangiando il secondo testicolo. Il primo l’ho già mangiato». Non è l’unico record, ce n’è un altro meno bohèmien: è il primo presidente a essere inibito dopo un’inchiesta per plusvalenze gonfiate. E in fondo alla parabola arriva il fallimento del club. Generoso e fumantino, lascia risse su Youtube con Aldo Biscardi e Luciano Moggi, giudizi sommari su tutti. «Galliani è organico a questo calcio: vincere sempre, non conta come. Questa gente vada a fare il Palio di Siena». «Gli arbitri non vengono giudicati da nessuno e Braschi è più sensibile ad Andrea Agnelli che a me». «L’Inter è una Banda Bassotti». Poi ci dorme sopra e rettifica: «Non avrei dovuto dirlo, al novantesimo si sparano battute».L’ultima polemica prima del lungo addio è con Max Allegri. «Sta distruggendo Dybala. Paulo è il calcio, Allegri no». La voce di carta vetrata manda ancora scintille ma lui è stanco. Nella robotizzazione del «Picciriddu» vede l’evolversi di un calcio nel quale non si riconosce più. Oggi proprio il fantasista juventino pone accanto alla sua foto il messaggio più dolce: «Mi hai accolto bambino, mi hai lasciato andare pensando al mio bene. Non ti dimenticherò mai».
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)