2025-01-28
Landini vuole il Green deal ma piange per le dismissioni tinte di verde ed Europa
Maurizio Landini (Imagoeconomica)
Dem e sindacato sulle barricate contro lo stop alle attività di cracking di Versalis. Ma la scelta è la conseguenza obbligata delle politiche eco portate avanti da Bruxelles.Contrordine compagni, la transizione verde senza se e senza ma non è più la panacea di tutti i mali, anzi, se la riconversione industriale non viene gestita rischia di impoverire i lavoratori. Dopo aver avuto qualche sobbalzo di realismo sul dossier automotive, ma contro Stellantis la proverbiale animosità della Cgil e del Pd si è «afflosciata», il sindacato di Maurizio Landini e il partito di Elly Schlein trovano nella chimica di base un fronte buono di attacco contro il governo ed Eni, a costo di rinnegare tutto ciò che hanno predicato negli ultimi anni. Anche in questo caso non c’è un minimo di autocritica rispetto alle posizioni turbo-ambientaliste che hanno costretto gli attori del settore a cambi di strategia in corsa, ma l’unico obiettivo è prendersela con Giorgia Meloni (Eni è controllata con il 30% circa da Mef e Cdp) per i posti di lavoro a rischio. Vediamo cosa sta succedendo? Versalis è la società di Eni che si occupa di chimica di base e da tempo ha annunciato un processo di riconversione dei suoi siti, Sicilia e Puglia su tutti, con la chiusura dell’attività di cracking (raffinazione del petrolio per trasformare le complesse molecole idrocarburiche in composti più semplici e commercialmente più richiesti), considerata economicamente ed ecologicamente non sostenibile. Si cambia strada. A Brindisi, Versalis produrrà, insieme col partner Seti industrial, batterie. Non solo, sempre nel sito pugliese infatti si punterà sul riciclo meccanico della plastica. A Priolo, invece, il focus si sposterà sui biocarburanti attraverso una nuova bioraffineria e sul primo impianto di taglia industriale di riciclo chimico.La logica strategica in Puglia è molto chiara: sul mercato degli accumulatori di energia l’Europa è decisamente indietro rispetto alla Cina e se gli input regolatori non cambieranno a breve il Vecchio continente sarà sommerso da tecnologia d’importazione. Per porre rimedio i manager del gruppo hanno deciso di puntare sulle batterie Lfp (litio, ferro, fosfato) che dovrebbero essere più sicure e longeve rispetto alla media dei prodotti che si trovano adesso e non dipendono dai destini dell’automotive, ma dagli impianti, come il fotovoltaico. L’obiettivo è ambizioso, ma ci vogliono dei tempi tecnici notevoli. Si intende raggiungere circa il 15% del mercato continentale e l’avvio della produzione è previsto per la fine del 2028. Se la strada è questa, insomma, bisogna correre. Sulla carta, il piano ideale per la sinistra e la Cgil. Stop alla lavorazione del petrolio e via a un ampio progetto strategico sulle batterie. E invece no. Democratici e landiniani si sono resi conto che la transizione può avere dei costi. «Ricordiamo che, tra diretti e indotto, nei siti di Brindisi, Priolo e Ragusa sono coinvolte oltre 20.000 persone», evidenziano dal sindacato rosso, «e che a cascata sono in bilico tutti gli altri stabilimenti di Versalis e delle aziende con cui condividono il condominio industriale a Ferrara, Ravenna, Mantova, Porto Marghera e Porto Torres. L’Italia sta uscendo da un mercato in crescita, condannandosi alla dipendenza estera, in un momento in cui la domanda di etilene a livello globale è in aumento del 5% annuo». Non che sia «sbagliato» lanciare degli alert occupazionali o chiedere aggiustamenti di un piano industriale, ma come minimo prima di criticare la gestione attuale sarebbe il caso di fare un profondo mea culpa rispetto alle ricette salvifiche che erano state sponsorizzate in passato. E invece niente, il catastrofismo trionfa. «Senza cracking», sottolineava una recente nota del Pd, «gli impianti di polietilene, polipropilene ed elastomeri rischiano la chiusura, spingendo Ferrara e altri poli chimici verso la desertificazione industriale».Morale della favola, adesso la sinistra chiede di proseguire con l’attività di «cracking» e di rinviare la decisione (presa da tempo) di chiuderà le attività di Brindisi entro aprile. In realtà, il gruppo Eni a fine ottobre 2024 aveva dettagliato e motivato i punti cardine del suo progetto. Il piano di trasformazione è accompagnato da investimenti per 2 miliardi e un taglio di circa 1 milione di tonnellate di CO2: il 40% delle emissioni di Versalis in Italia. Certo, è prevista la ristrutturazione della chimica di base - che ha portato 3 miliardi di perdite dal 2019 al 2023 - ma anche la realizzazione di nuovi impianti industriali coerenti con la transizione energetica e la decarbonizzazione. Occupazione a rischio? Il gruppo assicura che alla fine «il processo porterà un impatto positivo dal punto di vista occupazionale, contrastando le inevitabili conseguenze negative che la crisi strutturale e irreversibile del settore della chimica di base a livello europeo avrebbe in questo ambito». È prevedibile che nel frattempo il processo di transizione possa richiedere anche riqualificazione e formazione della forza lavoro e non è da escludere che ci possano essere passaggi difficili, ma la trasformazione, e questo anche la sinistra che la sponsorizzava nella sua forma più estensiva avrebbe dovuto capirlo, non è un pranzo di gala. Il paradosso rispetto alle accuse mosse adesso all’Eni è evidente, ma evidentemente mettere il governo nel mirino vale quanto mille di queste contraddizioni.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Flaminia Camilletti
Charlie Kirk (Getty Images)