2025-04-01
La Lahbib ci ricasca. Dopo il kit di guerra altro video-delirio contro l’islamofobia
Per la commissaria alle crisi, i media fomentano l’odio religioso: «Il velo non è sottomissione». L’ex collettivo «pro Jihad» plaude.Dio benedica il Belgio ed Emmanel Macron per averci donato Hadja Lahbib, a riprova che se il sonno della ragione genera mostri, quello dell’intelligenza genera commissari europei. L’eroina del video con il kit di sopravvivenza Ue, non per raggiungere Ventotene in pattino ma per chiudersi in casa a giocare a carte in caso di attacco nucleare, nel fine settimana si è esibita in una seconda, surreale, video-performance. La nostra commissaria per la Parità e la Gestione delle crisi sostiene che qui in Europa abbiamo il grave problema delle discriminazioni razziali e religiose contro i musulmani. E dei brutti pensieri, tanto che per esempio molti europei se vedono una donna con il velo «pensano che sia un segno di sottomissione» al maschio. Lahbib è figlia di immigrati algerini, ha studiato giornalismo e quindi lo ha anche praticato per 20 anni come presentatrice del telegiornale pubblico belga. Domenica ha mandato un videomessaggio a un convegno sull’odio contro i musulmani nel quale ha affermato che «come ex giornalista per 20 anni conosco bene la potenza delle immagini per informare» e che le tv si nutrono di «pigri stereotipi» quando riprendono cittadini di origine araba. Poi ha sostenuto che questi stereotipi generano razzismo e ha ricordato le 51 vittime della strage di fedeli musulmani di Christchurch, 6 anni fa, in Nuova Zelanda. Che è appunto in Nuova Zelanda. Nel suo nuovo messaggio, il commissario Ue si è lanciato nella consueta difesa del velo: «I media spesso dipingono le donne come sottomesse perché portano il velo e gli uomini sono tutti violenti e misogini, o direttamente terroristi». Qui avrebbe potuto fare un elenco di attacchi terroristici in Europa, non in Nuova Zelanda, ma non aveva Wikipedia sotto mano. Inoltre, questa continua corsa allo stereotipo contro l’islam non fa che «disumanizzare i musulmani e impedire una reale inclusione». L’unico modo per uscirne, per la rinata fortezza di ReArm Europe, è quello di promuovere «un giornalismo equo e corretto». Se lo si facesse per tutti, anche per i morti sul lavoro o le vittime della delocalizzazione selvaggia, magari si potrebbe anche tenere in conto l’invito della signora Lahbib. Tecnicamente, però, essendo una giornalista dovrebbe sapere che il concetto di stereotipo è molto infido, in quanto gran parte degli elementi fondanti di una qualsiasi notizia, come età, sesso, religione, nazionalità, occupazione, residenza, patologie e così via possono ingenerare stereotipi e pregiudizi. E però non si possono dare notizie raccontando che «A (lettera di fantasia) ha sgozzato B nel quartiere di X perché si rifiutava di vestire in modo provocante e di far trovare ad A il frigorifero pieno della giusta quantità di S, di cui A è grande consumator*». Ciò detto, il video di Donna Hadja è molto piaciuto al Ccie, il Collettivo contro l’islamofobia in Europa, che lo ha subito rilanciato su tutti i social. Questo collettivo, in Francia, è stato sciolto il 2 dicembre 2020 per incitamento all’odio e alla violenza, legittimazione della lapidazione e del terrorismo islamico. In passato è stato anche finanziato da George Soros. Evidentemente perché ci insegnasse i valori della convivenza e della libertà. Valori che ritroveremo, insieme al rispetto della donna, anche nel prossimo impegno della Signora Commissaria, ovvero l’annunciata «strategia europea contro il razzismo». Ottima idea, se saprà davvero includere tutte le voci e tutte le minoranze d’Europa. Bisogna però ammettere che il video-comizio della giornalista Lahbib che spiega come si fa informazione senza discriminare i musulmani non ha raggiunto le vette di comicità di quello di sei giorni fa, dedicato a che cosa fare in caso di guerra. Anzi, pardon, in caso di «crisi», perché nel linguaggio burocratico di Bruxelles ogni cosa ha un nome diverso da quello della vita vera. In quel video, una Lahbib in tailleur blu iniziava mostrando cosa c’è nella sua borsa, parafrasando il fortunato format di una nota rivista di moda francese, «What’s in my bag». Allora, per l’ex telegiornalista, al fine di sopravvivere 72 ore a una «crisi» bisogna custodire: una bottiglietta d’acqua, un coltellino svizzero, un caricabatteria, una power bank, una torcia, una busta impermeabile per i documenti d’identità (quando il drone bussa, te li chiede per inquadrarli), medicine, soldi in contante (anche se l’Ue ha dichiarato guerra al cash), un mazzo di carte da gioco e gli occhiali da vista. Per una incomprensibile dimenticanza, nella borsa non c’è il Corano. La Bibbia sicuramente no perché, come direbbero le anime belle della sottomissione, è un po’ divisiva. A Bruxelles non hanno certezza dell’ora e del giorno in cui Vladimir Putin ci attaccherà, ma tutti i piani anti «crisi» sono già pronti. A gestirli sarà lei, Hadja Lhabib, insegnante di giornalismo corretto. Il tipico inserviente dello zoo che mentre rieduca i pinguini lascia aperta la gabbia dei leoni.
Emmanuel Macron (Getty Images). Nel riquadro Virginie Joron
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.
Kim Jong-un (Getty Images)