2021-09-26
Un laghetto a Biella è incorniciato da sequoie giganti della California
La famiglia Piacenza ha glorificato il Bric Burcina piantumando i colossi d'oltreoceano. Oggi hanno 173 anni e passano i 40 metri.Oggi iniziamo il cammino concreto tra le riserve italiane. Non iniziamo però da una riserva tra le più note e citate, non metteremo piede in Valle d'Aosta tra i lariceti del Gran Paradiso, nemmeno tra i pini mughi delle Dolomiti Bellunesi, o tra le faggete delle Foreste Casentinesi e della Foresta Umbra, non scarpineremo sulle creste del Pollino, no, in questo primo slancio visiteremo la biodiversità botanica di una piccola riserva in provincia di Biella, nel piccolo comune di Pollone, a pochi chilometri dal capoluogo. Qui, paesotto di frescura tra le colline, hanno edificato casa nel corso del XIX secolo diverse famiglie che hanno fatto fortuna con il tessile e il commercio, e tra questi la famiglia Piacenza. Uno dei colli che dominava quel mondo era il Bric Burcina, al tempo svestito, denudato dopo secoli di tagli e dimenticanza.Questa altura era stata abitata nei millenni precedenti, tanto che nel 1959 vennero rinvenuti i resti di una tomba risalente ad un'epoca compresa tra l'età del Bronzo e l'Età del Ferro, i cui resti sono oggi conservati nel Museo del territorio Biellese. I terrazzamenti lavorati ospitavano le abitazioni di un villaggio che poi lasciò il posto ad una necropoli. Ma il tempo cancella civiltà e grandi mausolei, e quindi anche questa civiltà venne dimenticata e nel corso dei nostri più recenti 2.000 anni spazzata via, tranne che per quei segreti conservati nella terra. Nel primo Ottocento in Italia è attivo un dibattito di carattere culturale che si concentra sugli stili di abbellimento dei giardini e degli spazi verdi. Escono testi di nuovi autori e dal confine settentrionale provengono gli esempi di giardini detti all'inglese che iniziano a decorare ville e castelli nonché parchi pubblici cittadini. Città ricettive come Milano e Torino li accolgono con la consueta urgenza che accompagna tutte le novità, di cui è testimone anche il celebre Dell'arte del giardino inglese (1801) del conte Ercole Selva, di cui noi oggi abbiamo un giardino conservato, quello che circonda Villa Litta a Milano, laddove crescono due platani gemelli di valore monumentale, quelli che tempo fa ribattezzai «i vulcani» nel volume-viaggio I giganti silenziosi (Bompiani). Giovanni e il figlio Felice Piacenza acquistarono il Bric Burcina con l'obiettivo di tracciarvi sentieri e adornarlo delle più diverse piante autoctone e alloctone, ma senza snaturare l'uso della terra che si faceva al tempo, ovvero anche quello agricolo. Le magioni di campagna infatti, in diverse parti d'Italia, si mantenevano da un punto di vista agrario e si arricchivano, nel tempo, di giardini ben curati. Questo ad esempio avveniva a Villa Carlotta, sul lago di Como, laddove le ricche famiglie dei proprietari collezionavano opere d'arte e impreziosivano con esemplari botanici esotici i giardini adiacenti alla residenza, ma alle spalle vi erano famiglie di mezzadri che lavoravano sodo la campagna, gli ulivi e altri coltivi; questo avveniva, ed è un secondo esempio, nella casa di campagna a Bolotana dell'ingegnere gallese Benjamin Piercy, costruttore di ferrovie per l'impero britannico, fautore delle prime tratte su rotaia della Sardegna e inventore di tecniche e macchinari utili ad ammodernizzare l'agricoltura isolana.I Piacenza vollero ricostruire scorci di paesaggio alpino, associando rocce e alberi, piante e addirittura pezzi di seracchi tratti dal Monte Bianco. Non dimentichiamo che alcune delle più splendide architetture dei Giardini di Boboli a Firenze, o la barba monumentale del Gigante dell'Appennino, superstite del Parco mediceo di Villa Demidoff a Pratolino, sono composte di conchiglie e spugne sottratte ai mari, una predazione naturalistica tipica del secolo dei Lumi - e basti pensare alla nascita dei musei di storia naturale che furono destinazione ma al contempo incentivo a razziare ogni qual stranezza si incontrasse in un viaggio oltreoceano. Furono proprio quei Piacenza a piantare gli alberi che oramai sono l'emblema dell'intera riserva, le celebri cinque sequoie del laghetto, a poche centinaia di metri dall'ingresso, frammento commovente di quella California boscosa che amo e che qui ritorno, di tanto in tanto a sognare. Era l'anno 1848, per celebrare la promulgazione dello Statuto Albertino, la nostra prima carta costituzionale, firmata da Carlo Alberto il giorno 4 marzo, i Piacenza piantarono questi alberi che venivano dall'altro mondo, la novità botanica del momento, arrivata in Europa, a Londra, una manciata di anni prima, pezzo forte dei vivaisti europei. Gli alberi mammuth, i più grandi alberi del mondo. Da quei giorni ad oggi sono trascorsi 173 anni, questi alberi sono cresciuti, hanno prosperato, hanno raggiunto, all'apice del vigore, i 50 metri di altezza ma recenti tempeste ne hanno strappato le cime, riducendoli a soli, si fa per dire, 40 metri. Nel 2004 entrano a far parte del registro degli alberi monumentali della Regione Piemonte.Ma incamminandoci tra i viali che lentamente conducono il visitatore alla cima popolata di betulle, si ha modo di ammirare tante diverse specie botaniche: il faggio di certo è una delle presenze più numerose, un grande esemplare purtroppo è caduto ma ne resta un altro, ammirabile soprattutto in autunno, un faggio asplenifolia, con foglie a forma di felce. Vi sono diverse conifere nordamericane, oltre alle sequoie che comunque spuntano anche in altre parti della Burcina, non soltanto attorno al laghetto, sia della specie Sequoia sempervirens che nella fraterna Sequoiadendron giganteum, ma anche pini di Monterey, tuie, abeti canadesi di Douglas, tassodi o cipressi di palude. Ci sono tassi e cefalotassi, ci sono un paio di colonie di larici, adattati all'occasione ma non poco fiaccati dal riscaldamento globale che sta spostando i limiti geovegetazionali delle singole specie. C'è il panoramico viale dei liriodendri, altro albero sottratto alle foreste nordamericane.La perla che ogni anno richiama tanti turisti è probabilmente la spettacolare valle dei rododendri, creata tra il 1892 ed il 1925 su due ettari di terreni in pendenza, stando ai dati ufficiali, tra i 630 e i 696 metri di altitudine. In questa conca fiorisce un migliaio di piante di rododendro rustico, comune sui rilievi alpini e prealpini, ma che in terra biellese gode di un'attenzione particolare, e infatti anche un'altra famiglia illustre, gli Zegna, hanno costruito quella meraviglia che è la Conca dei Rododendri nel territorio di Trivero, per la cura di Pietro Porcinai e Paolo Pejrone. L'attuale composizione dei rododendri del Parco Burcina è caratterizzata da un centinaio di cultivar (varietà) di cui una sessantina determinata con certezza, altre sono ancora in fase di studio. Ma a parte questo dettaglio botanico, la meraviglia è venir qui in primavera e ammirare il canto assordante, accecante ed entusiasmante della loro maestosa fioritura.Libro da leggere e ammirare: Parco Burcina, a cura di Fabrizio Lava, Elena Accati, Mimma Pallavicini e altri autori, Eventi e Progetti editore, Biella, 2007.