2019-01-18
L’Agenzia del farmaco ha perso tempo. Con l’obbligo è partita l’abbuffata sui vaccini
L'Aifa doveva negoziare, invece ha atteso che entrasse in vigore il decreto Lorenzin. E così s'è beccata l'aumento dei prezzi.Se fosse un film il titolo perfetto sarebbe: La grande abbuffata dei vaccini. Eppure non si tratta di finzione, ma di fatti verificatisi realmente nel nostro Paese all'indomani dell'entrata in vigore della legge Lorenzin sull'obbligo vaccinale. L'inchiesta pubblicata ieri dalla Verità non si è limitata a rimarcare il fatto (già messo in luce lo scorso luglio dal Rapporto Osmed dell'Agenzia italiana del farmaco) che nel 2017 la spesa a carico del Servizio sanitario nazionale è cresciuta del 36%. Esaminando i dati forniti al nostro quotidiano dall'Aifa, infatti, è emerso infatti che il costo per dose definita giornaliera (Ddd, cioè l'unità di misura che permette di confrontare la spesa per farmaci) è cresciuto del 62,2%. L'incremento ha riguardato, in particolare, le categorie dei vaccini legate all'obbligo e quelli fortemente raccomandati, come i morbillosi, i pertossici e i meningococcici. Risultato: cinque case farmaceutiche (Gsk, Pfizer, Merck, Sanofi Pasteur e Seqirus) hanno visto aumentare il loro giro d'affari di 130 milioni di euro, cifra che equivale alla maggiore spesa vaccinale rispetto al 2016. Come dimostrano i fatti che stiamo per raccontarvi, i mesi successivi all'entrata in vigore del decreto Lorenzin sono stati contrassegnati da preoccupanti passaggi a vuoto normativi da una parte, e imbarazzanti scaricabarile istituzionali dall'altro. Prima di addentrarci nei dettagli della vicenda, occorre precisare che la stragrande maggioranza dei vaccini in Italia appartiene alla fascia C, quella cioè i cui prezzi vengono stabiliti liberamente dalle imprese produttrici e nella quale rientrano di norma i farmaci a carico del cittadino. Nel 2016 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) consigliava di includere i vaccini «in una classe che preveda la possibilità per organi pubblici appositamente determinati di verificare e negoziare i prezzi di riferimento con le imprese titolari», allo scopo di «ottenere ulteriori margini di sconto a fronte delle specifiche condizioni di transazione (es. in proporzione ai quantitativi di prodotto acquistati)». Raccogliendo queste indicazioni, in virtù del maggiore potere negoziale di quest'ente, il decreto Lorenzin affidava all'Aifa il compito di mettersi al tavolo con le case farmaceutiche per spuntare prezzi migliori. Fino ad allora, infatti, erano le singole regioni a contrattare i prezzi tramite gare pubbliche di acquisto. Le cose, però, si mettono subito male. Nel novembre del 2017, la senatrice Paola Taverna (M5s) presentava un'interrogazione ai ministri Beatrice Lorenzin e Pier Carlo Padoan per capire perché «a distanza di circa quattro mesi dalla legge di conversione del “decreto vaccini", l'Aifa non abbia avviato alcuna procedura di negoziazione per la fissazione dei prezzi dei vaccini, con un grave vulnus rispetto a quanto impone la normativa». Secondo la Taverna, «la mancata negoziazione avrebbe determinato un elevato danno alle casse pubbliche», in quanto essa «avrebbe condotto a una riduzione dei prezzi dei vaccini alla luce dell'incremento degli acquisti necessari per attuare la normativa in discussione». Dopo questa fiammata, la questione si spegne e sembra tornare nel dimenticatoio. Contattata dalla Verità, la Taverna ha preferito non rilasciare dichiarazioni, precisando che da tempo non segue più la vicenda. La trattativa rispunta ad agosto quanto Mario Melazzini (ai tempi direttore generale di Aifa), nella lettera di dimissioni vergata in pieno clima da spoils system, si vanta «in ossequio alla giusta legge sull'obbligo per i vaccini», di aver richiamato al tavolo nel dicembre scorso (dunque nelle settimane immediatamente successive all'interrogazione della Taverna) «tutte le industrie produttrici per abbassare il prezzo fissandolo per il prossimo quadriennio». Bene, penserete voi. E invece no. L'ultimo capitolo, quello forse più grottesco e inquietante di tutta la vicenda, arriva con l'audizione di Luca Li Bassi, successore di Melazzini all'Aifa, intervenuto il 29 novembre di fronte alla Commissione igiene e sanità del Senato nell'ambito della discussione della nuova legge sui vaccini. «La normativa vigente prevede che l'Aifa possa rinegoziare farmaci e prodotti come i vaccini solo quando classificati in fascia di rimborsabilità A o in classe H. Se il farmaco invece è classificato in fascia C, come i vaccini, in linea generale il prezzo non è negoziato dall'Aifa e può essere fissato liberamente dall'azienda farmaceutica», ha spiegato Li Bassi in Senato. Ciò nonostante, ha aggiunto il dirigente, «il Comitato prezzi e rimborsi di Aifa ha cercato di ottemperare a quanto la legge prevedeva, e ha convocato nella seduta di dicembre 2017 le aziende titolari di vaccini cercando di negoziarne il prezzo». La reazione delle case farmaceutiche è stata un bel «due di picche». Come riferito da Li Bassi, le aziende hanno mostrato una «generale indisponibilità a una riclassificazione dei vaccini in classe H», esprimendo «la volontà di rimanere in fascia C e di non rispondere a una richiesta di negoziazione del prezzo. Quello che la nostra commissione è riuscita a fare è stato solamente acquisire un impegno, che però non è formale ma solo verbale, a non aumentare il prezzo al pubblico dei prodotti vaccinali fino al 2022. Questo è l'unico risultato che è stato possibile ottenere attraverso questo processo negoziale». Il racconto di Li Bassi smentisce clamorosamente le affermazioni di Melazzini. La trattativa in realtà si è conclusa con un nulla di fatto, anzi sono state le case farmaceutiche a dettare la linea all'agenzia governativa. Nonostante le nostre richieste, in assenza di dati consolidati, l'Aifa non ci ha fornito cifre per l'anno appena trascorso. Considerando che si tratta del primo anno «intero» dall'entrata in vigore della legge, tutto fa pensare che la spesa è destinata ad aumentare anche per il 2018.