2024-01-28
L’Africa a Roma per cambiar verso agli sbarchi
Il piano Mattei entra nel vivo dopo la cena con il presidente Mattarella: oggi summit con 25 capi di Stato, i vertici delle istituzioni europee e delle organizzazioni finanziarie internazionali. In ballo, nuovi rapporti commerciali e sull’immigrazione. Formazione, energia, agroindustria. Sul piatto i primi 4 miliardi.!function(e,n,i,s){var d="InfogramEmbeds";var o=e.getElementsByTagName(n)[0];if(window[d]&&window[d].initialized)window[d].process&&window[d].process();else if(!e.getElementById(i)){var r=e.createElement(n);r.async=1,r.id=i,r.src=s,o.parentNode.insertBefore(r,o)}}(document,"script","infogram-async","https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js");Ambizioso è ambizioso. Il Piano Mattei. Per la prima volta un governo italiano si mette in testa che l’Africa rappresenta da sola - soprattutto nella fascia che comprende il Magreb centrale, il Sahel e la dorsale Est fino al Mozambico - metà delle nostre relazioni future. Nel bene o nel male. Un Continente che per l’Italia (e il Mediterraneo) può rappresentare una scialuppa con due approdi oppure un fiume di problemi. Che, inutile dire, si abbatterebbero sulla costa Nord del mare Nostrum. Così oggi (il grosso degli eventi è domani) inizia a Roma il summit Italia-Africa. Accolte dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e dal premier, Giorgia Meloni, sbarcano nella capitale 57 delegazioni, di cui 41 da altrettante nazioni africane, con 25 capi di Stato, i vertici delle istituzioni europee, i responsabili delle organizzazioni finanziarie internazionali. Forte il significato politico nelle intenzioni di parte italiana e, forse, europea. Il Continente africano, persa la presenza dominante dei soliti Paesi Ue, vede arrivare quella di Cina e Russia. Si tratta di contrastare con intelligenza politica ed economica un espansionismo evidente. Con il ben noto strumento della via della Seta, la Cina punta sulla costruzione di porti, strade, infrastrutture energetiche, ferrovie. Fortissima la sua presenza in alcuni paesi come Etiopia, Kenya, Angola. In ben 34 paesi su 50 la Cina è ormai il primo partner commerciale. Diverso l’atteggiamento russo che ha un approccio militare nell’area, dove, grazie alle forza dei contractor, riesce a dare stabilità politica a regimi spesso barcollanti, e per questa opera, che va sotto il nome di guerra ibrida, guadagna spazi e consensi. Forte in particolare la presenza russa nel Sahel dove sono stati siglati già una ventina di accordi di cooperazione. E negli ultimi tre anni, per via dei mercenari di Wagner (oggi sparpagliati in altre compagnie di ventura) Mosca è riuscita a disintegrare oltre 200 anni di storia francese. Militari, diplomatici e aziende parigine cacciati dal Mali, Burkina Faso, Niger, Sudan e Mauritania. Il risultato di tali stravolgimenti è che in quell’area nessuno sta controllando i flussi di immigrati e il mercato (compreso quello nero) delle materie prime. Sempre più importanti per la guerra ibrida che caratterizza l’attuale fase di deglobalizzazione delle catene produttive e delle filiere commerciali. Il governo, che ha già messo in piedi con decreto la struttura di governance del Piano Mattei, vuole mobilitare intanto 4 miliardi di euro per i prossimi sette anni. Non solo con fondi pubblici ma anche con il coinvolgimento delle grandi aziende di Stato, del settore energetico e non solo, per individuare e finanziare insieme programmi infrastrutturali da sostenere. Sono già molto attive nel continente aziende come Eni ed Enel, che guardano con interesse a una crescita verso Paesi come Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Etiopia, Costa d’Avorio. Forte interesse e coinvolgimento anche da parte di Terna che realizzerà Elmed, cavo sottomarino di 220 chilometri che consentirà l’interconnessione elettrica tra Tunisia e Italia, struttura strategica non solo per il Mediterraneo ma per la Ue tutta, facendo dell’Italia un vero hub energetico. L’investimento ha un valore di 850 milioni di euro e 307 arriveranno da Bruxelles, finanziati con il programma Cef che sostiene le infrastrutture energetiche comunitarie. Per la prima volta questi fondi verranno assegnati a un’opera che coinvolge anche uno Stato terzo. Nel piano poi dovrebbero prendere forma misure ad hoc per sostenere il nostro export verso l’Africa e piani di formazione in collaborazione con le università italiane, e altri per la crescita della classe media destinata a guidare lo sviluppo dei Paesi dell’area. Altro asse, quello delle politiche migratorie che potrebbe puntare, fra l’altro, a replicare il modello degli hot spot in Albania, con nuovi punti costruiti nel Magreb e nelle aree subsahariane. Le direttrici di intervento fanno sapere da Palazzo Chigi sono: istruzione/formazione; sanità; acqua e igiene; agricoltura; energia; infrastrutture. «In questo lavoro sarà centrale la condivisione e la collaborazione con gli Stati africani». Bene soprattutto per i due capitoli legati alla formazione del personale e all’agricoltura. Se messa a terra con accuratezza, la filiera scolastica in accordo con Confindustria e - volesse il cielo - con una Cei meno impegnata a seguire il modello Casarini potrebbe portare grandi soddisfazioni. Andrebbe cambiato il sistema dei flussi autorizzati d’ingresso. Di contrasto andrebbero creati accessi mirati destinati a singoli territori. E aree produttive in base alle specializzazioni. Metalmeccanici piuttosto che impiegati nell’agroalimentare. Settore che, infine, promette di essere il più interessante e proficuo. Fin qui, insomma, le opportunità. Poi ci sono le incognite. Ad esempio, dalla lista dei partecipanti è facile capire che sono assenti proprio i Paesi nei quali con la regia russa si è tenuto un colpo di Stato. Niente Mali, Niger, Sudan, né Burkina Faso. Manca però anche la Nigeria. Segno che il Paese africano più legato alla Gran Bretagna e all’intelligence di Londra non mostra disponibilità alla collaborazione. Al contrario aveva cercato di mobilitare altre nazioni per intervenire in Niger in chiave anti russa e francese. Non è un segno da poco. Così come invece è interessante capire che succederà in Costa d’Avorio. A oggi il governo è filo francese. Cinesi e americani sono sbarcati in forze nel ricco territorio di Abidjan. Toccherebbe anche a noi approfittare delle elezioni del prossimo anno. Magari cambia qualcosa e non necessariamente a nostro sfavore. Un modo per aggiungere in una fotografia complessa qualche amico in più. Molti ne abbiamo persi. Non ci riferiamo solo alla Libia, ma anche al Niger e al Corno d’Africa. Tutto ciò se la situazioni non sbraca dal punto di vista militare. Altrimenti dovremo fare una seria riflessione. L’Italia, così come l’Europa, dovrà autorizzare e munirsi di compagnie militari private. Dovremo fare anche noi guerra ibrida come altre nazioni. Altrimenti le missioni delle imprese rischiano di rimanere sulla carta. Nei prossimi tre anni, avere mercenari europei sarà fondamentale.
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