2020-04-29
Lady Consulta boccia i decretini di Conte: la Carta si stiracchia solo come vuole lei
Marta Cartabia: «No ai poteri speciali». Ma invoca la cooperazione tra istituzioni, così le toghe potranno influenzare il legislativo.Tanto tuonò che cadde qualche goccia. Dopo le ficcanti critiche della créme dei giuristi, anche la Consulta s'è ribellata ai pieni poteri di Giuseppe Conte. La relazione annuale diffusa ieri dalla presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia, parla chiaro: «La nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per lo stato d'emergenza […]. Nella Carta costituzionale non si rinvengono clausole di sospensione dei diritti fondamentali da attivarsi nei tempi eccezionali, né previsioni che in tempi di crisi consentano alterazioni nell'assetto dei poteri». Dunque, sebbene la nostra legge fondamentale non sia «insensibile […] all'eventualità che dirompano situazioni di emergenza», l'ammonimento è inequivocabile: con le restrizioni delle libertà a colpi di Dpcm, Conte sta tirando troppo la corda. Soprattutto perché sta agendo da solista, scavalcando il Parlamento, il presidente della Repubblica e persino il resto del suo governo - ne sono prova i malumori di alcuni ministri. Al contrario, sostiene la Cartabia, la Costituzione rimane «la bussola anche per navigare per l'alto mare aperto nei tempi di crisi».Già il king maker della Cartabia, Sabino Cassese, aveva esternato le sue obiezioni all'emergenza gestita a colpi di Dpcm. Il giurista ha accusato il premier di produrre decreti incostituzionali, esautorando le Camere e il Colle e lasciando che la sezione «domande frequenti» del sito di Palazzo Chigi divenisse fonte di diritto. Da ultimo, è stato uno dei predecessori della Cartabia, Antonio Baldassarre, a bacchettare Giuseppi: «Limitare le libertà con un Dpcm», ha commentato all'Adnkronos lunedì, «è un atto in tutto incostituzionale». Era quindi logico aspettarsi che le stroncature degli esegeti quasi ufficiali della Consulta e del Quirinale preludessero a una sortita poderosa - per usare l'aggettivo amato da Conte. Ma da che pulpito giunge la difesa della Costituzione? La Cartabia promuove la concezione per cui le corti, anziché limitarsi a presidiare le Carte, dovrebbero svolgere «una funzione dinamizzante dell'ordinamento attraverso l'interpretazione sempre nuova dei principi costituzionali, a contatto con l'evoluzione sociale». Se non siamo all'esplicita teorizzazione del giudice legislatore, poco ci manca. E da questo punto di vista, la relazione pubblicata ieri è un manifesto programmatico. Secondo la numero uno della Consulta, la «piena attuazione della Costituzione richiede un impegno corale, con l'attiva e leale collaborazione di tutte le istituzioni, compresi Parlamento, governo, Regioni» e, ovviamente, «giudici. Questa cooperazione è anche la chiave per affrontare l'emergenza». Tra le righe: la Carta si stiracchia solamente se dirigo io le danze.Al principio della «collaborazione», effettivamente, sono dedicate circa 11 pagine e mezzo sulle 20 del documento. Ivi, si legge che per «ricondurre a Costituzione l'ordinamento legislativo» è importante «il rapporto di collaborazione tra la Corte costituzionale e il legislatore», laddove «separazione e cooperazione tra poteri sono due pilastri coessenziali e complementari che reggono l'architettura costituzionale repubblicana». In sostanza, la Cartabia evoca la trasformazione della Consulta da istituzione di garanzia, custode dello spirito originario della Carta, in protagonista del processo legislativo. Allo scopo, rielabora uno dei cardini dello Stato di diritto occidentale, mescolando il principio della separazione dei poteri con quello della cooperazione. Ma o i poteri sono separati, cioè svolgono funzioni diverse e si fanno latori di interessi distinti (in America userebbero la classica formula dei «controlli ed equilibri»); oppure si sovrappongono, entrano in competizione, finché uno non usurpa l'altro. Esattamente la debolezza strutturale del nostro sistema istituzionale. Esattamente la buccia di banana sopra la quale sta scivolando Giuseppi. Con l'aggravante che, alla lunga, dal conflitto tra i poteri è più probabile che esca vincitore quello di ultima istanza: guarda caso, la Consulta, le cui sentenze non sono impugnabili.Quali siano i rischi di questa filosofia, ammantata di parole nobili come «leale collaborazione», sulla Verità l'abbiamo spiegato tante volte. È sufficiente osservare che la Cartabia cita il modello delle «sentenze monito», i pronunciamenti con cui la Corte conferisce al legislatore il mandato di esprimersi su una data materia. Tra esse, figura il caso Cappato. In quella circostanza, la Consulta ha non solo provato a imporre al Parlamento di legiferare - con ciò ignorando che, data la divisività della questione, potesse essere preferibile nessuna legge a una cattiva legge. Ma nei fatti, la Corte ha pure prescritto quale norma approvare. Tant'è che, allo scadere dell'ultimatum alle Camere, ha decretato l'incostituzionalità del reato di aiuto al suicidio, riformando, piuttosto che conservando, l'ordinamento.È acquisito che Giuseppi stia «calpestando la Costituzione», come ha detto Matteo Renzi (colui che voleva stravolgerla). Ma ci si può fidare di chi se ne proclama paladino? La Corte, come il Colle, avrebbe gli strumenti per intervenire. Altro discorso è se gli «avvertimenti» al premier fanno parte di un disegno di palazzo: sfilacciare la credibilità di Conte in vista d'un cambio in corsa. A bordo campo, sono tanti i giocatori pronti a entrare in partita. E in mezzo ai Colao o, magari, ai Letta, si sta scaldando da un pezzo anche la Cartabia.