2020-08-24
Labirinti e avventura, alla scoperta degli sport di orientamento
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Anche se poco conosciute, sono a tutti gli effetti discipline agonistiche e con una propria federazione, la Fiso. Si praticano tra i boschi, sui prati, ma anche nei centri abitati, in bici, a cavallo e in acqua. A inventarli furono i norvegesi più di 100 anni fa. In Italia si contano oltre 9.000 tesserati. In tutto il mondo appassionano 3 milioni di persone.Dalle battaglie tra amici alle competizioni tra squadre: il softair, la guerra simulata a colpi di proiettili di plastica, è diventato uno sport vero e proprio.Lo speciale contiene due articoli.Una mappa, una bussola, e via. Sono sufficienti questi due strumenti per praticare l'orienteering, uno sport in cui la competizione sta nel percorrere nel minor tempo possibile un tragitto caratterizzato dai punti di controllo, definiti lanterne, utilizzando solamente i due attrezzi a disposizione, una carta topografica disegnata appositamente con segni convenzionali unificati in tutto il mondo e una bussola, e facendo leva sul proprio senso di orientamento. Conosciuti da pochi, gli sport di orientamento coinvolgono oltre 3 milioni di persone al mondo, mentre in Italia, i tesserati sono più di 9.000, distribuiti all'interno di 170 società. Si può gareggiare individualmente o in squadra e il luogo ideale dove farlo è il bosco, ma esistono gare effettuate anche nei parchi pubblici, nelle campagne o addirittura nei centri storici delle città, tra le quali spicca Venezia. Dei veri e propri labirinti immersi nel verde e nei paesaggi di montagna o campagna, all'interno dei quali avventurarsi e districarsi per raggiungere il proprio obiettivo. Che poi, in fin dei conti, è l'essenza di ogni sport a qualsiasi latitudine. Non solo per gli agonisti. In Liguria, per esempio, nei pressi del monte Antola è stata attrezzata un'area dove è stato installato un percorso per chiunque voglia cimentarsi e divertirsi in questo sport.All'interno dell'orienteering esistono vari tipi di discipline. La più diffusa e conosciuta è la corsa orientamento; poi c'è la mountain bike orientamento dove l'atleta deve raggiungere il punto di arrivo a bordo di una bicicletta con la mappa che viene posta su un leggio fissato sul manubrio; poi c'è lo sci orientamento che si svolge sulle piste su cui si fa lo sci di fondo; e, infine, c'è l'orientamento di precisione, dove l'obiettivo non è quello di raggiungere i punti di controllo segnati sulla cartina, bensì individuarli da dei punti di osservazione piazzati su dei sentieri facilmente agibili e identificarli da altri fasulli posizionati lì vicino. Quest'ultima disciplina è stata creata per permettere anche agli atleti paralimpici di praticare l'orienteering. Le quattro pratiche appena elencate sono, per ora, le uniche quattro riconosciute dalla Iof. Negli Stati Uniti, per esempio, è molto in voga l'orientamento in canoa presso i delta dei fiumi; così come c'è chi si diverte a praticare questo sport a cavallo o in macchina. Esiste, poi, l'orientamento subacqueo, anche se come disciplina non appartiene alla Fiso, ma alla Fipsas, Federazione italiana pesca sportiva e attività subacquee. Si tratta di un'attività che ha origini militari dove gli atleti devono trovare i punti prestabiliti sulla mappa in immersione.Molto importante, per lo sviluppo di questo sport nel nostro Paese, è la spinta che viene data a livello scolastico, dove specialmente nelle scuole medie e superiori viene praticata la corsa orientamento con gli studenti che vanno poi a gareggiare nelle fasi provinciali e regionali. iStock Si tratta di uno sport sano e facilmente accessibile a più fasce di età, ma soprattutto, uno sport che come pochi altri per caratteristiche si sposa con la natura. Oltre l'aspetto sociale, generato dalla diffusione su scala nazionale con numerosi eventi organizzati ogni anno dalla Federazione che consentono agli atleti delle varie società di interagire, va considerato anche quello puramente salutare, visto che l'orienteering è in grado di garantire a chi lo pratica una buona dose di esercizio fisico e mentale. Uno sport per tutti quindi dove, come si legge sul sito ufficiale, «l'atleta corre per raggiungere un risultato agonistico, la famiglia e il principiante per divertirsi in compagnia e trascorrere una sana giornata all'aria aperta».Gli sport di orientamento nascono oltre un secolo fa nei Paesi scandinavi, più precisamente nel 1897 nel Sud Ovest della Norvegia, a Bergen, dove si disputò una prova di sci orientamento. Notizie di una prima gara ufficiale risalgono, però, al 1919 a Stoccolma. Per oltrepassare i confini dei Paesi del Nord Europa, però, si è dovuto attendere il 1961, anno in cui a Copenaghen venne istituita la Iof, ovvero la Federazione internazionale di orienteering. Sei anni più tardi, nel 1967, toccò anche all'Italia scoprire gli sport di orientamento con delle gare nel Trentino e nel Lazio, regioni dalle quali negli anni a seguire si propagò nel resto della penisola. Venne fondato nel 1982 il Ciso, il Comitato italiano sport orientamento, trasformato poi nel 1986 in Fiso, Federazione italiana sport orientamento, con sede a Trento. Fu proprio negli anni Ottanta che questo sport spiccò il salto verso l'agonismo, tanto che nel decennio successivo sono stati raccolti i primi risultati importanti a livello internazionale con le quattro medaglie d'oro vinte da Nicolò Corradini ai campionati del mondo tra il 1994 e il 2000 nella specialità dello sci-orienteering. Ed è in Italia che si sono svolte le principali competizioni negli ultimi anni. Già a partire dal 1993, quando a Castelrotto, in Alto Adige, si tennero i campionati mondiali junior di corsa orientamento, gli Europei di mountain bike orientamento in Toscana nel 2007, i campionati mondiali junior di corsa orientamento in Trentino nel 2009, i mondiali di mountain bike orientamento in Veneto nel 2011, i mondiali di corsa orientamento e orientamento di precisione in Trentino e Veneto nel 2014. Gettando uno sguardo al futuro, invece, nel 2022 si svolgeranno in Puglia, più precisamente sul Gargano, i mondiali master di orienteering, finora ospitati dall'Italia in altre due occasioni, nel 2004 ad Asiago (Vicenza) e nel 2013 al Sestriere (Torino).Gli sport di orientamento non fanno ancora parte del novero delle discipline olimpiche. Un primo tentativo fu fatto nel 1996 ma la lontananza delle grandi città dove solitamente si svolgono i Giochi rispetto al luogo dove si svolgono le gare non ha mai fatto decollare l'iniziativa. Va ricordato, però, che all'edizione delle Olimpiadi invernali del 1998 a Nagano, in Giappone, fu incluso a scopo dimostrativo lo sci orientamento, circostanza nella quale vinse la medaglia d'oro l'italiano Corradini.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/labirinti-e-avventura-alla-scoperta-degli-sport-di-orientamento-2647048416.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="softair-la-guerra-simulata-a-colpi-di-pallini-di-plastica" data-post-id="2647048416" data-published-at="1598024554" data-use-pagination="False"> Softair, la guerra simulata a colpi di pallini di plastica iStock Far finta di essere soldati, o giocare a guardie e ladri, è da sempre uno dei grandi classici da bambini. Per i più grandi, invece, esiste il softair, un'attività ludico sportiva dove si simula una situazione di guerra, tenendo lontani atti di violenza in quanto qualsiasi contatto fisico non è minimamente consentito dal regolamento. Con il passare degli anni, però, il softair non è più considerato solo un gioco, ma è diventato uno sport a tutti gli effetti, riconosciuto anche dal Coni che nel 2017 lo ha inserito all'interno del Tiro dinamico sportivo con il nome di Arma air soft. La Fitds, Federazione italiana tiro dinamico sportivo, conta 150 società affiliate, 4.500 tesserati e 13.200 partecipanti alle gare. Indossando le tute mimetiche, l'elmetto e le protezioni necessarie, i giocatori, solitamente divisi in due o più gruppi rivali, fanno il proprio ingresso sul campo da gioco, solitamente una riproduzione di ambienti che possono variare dal bosco al centro urbano, e simulano una situazione militare utilizzando delle fedeli riproduzioni di armi in dotazione alle forze armate, come la Beretta 92, la Colt M4 o l'Ak47, che sparano pallini in plastica biodegradabila di un diametro di 6 millimetri, del peso compreso tra i 200 e i 300 milligrammi e con energia inferiore a 1 joule, visto che il massimo consentito è pari a 0,99 joule, tanto quanto per risultare innocuo il contatto con gli esseri umani. L'energia minima per provocare lesioni alla pelle umana è almeno 3 joule. Ovviamente, quando ci si trova all'interno del campo, vanno rispettate determinate regole e indossati i necessari dispositivi di protezione individuale, tra cui gli occhiali protettivi per evitare il contatto tra i proiettili e gli occhiL'origine di questa pratica è da cercare in Giappone negli anni Ottanta dello scorso secolo, mentre in Italia, così come nel resto d'Europa, è spopolato nel decennio successivo quando sono nati diversi enti di coordinamento nazionali tra le quali l'Associazione sportiva nazionale War Games diventata poi Federazione italiana giochi tattici.Agli occhi di chi non lo conosce a fondo in tutte le sue sfaccettature, questo sport può sembrare diseducativo e violento. Ma non è così. Se eseguito nel pieno rispetto delle regole, condizione che del resto va posta alla base di qualsiasi disciplina sportiva, è un'attività in grado di far sviluppare abilità di intelligenza tattica e di condivisione degli obiettivi a livello di squadra. Non a caso, viene anche usato all'interno delle esercitazioni militari come strumento di team building, problem solving e formazione aziendale.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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