2022-02-01
La zavorra invisibile che ha piegato il ponte
Il ponte Morandi di Genova dopo il crollo (Ansa)
Un esperto esplosivista racconta alla «Verità» che cosa ha trovato durante i sopralluoghi per la demolizione del viadotto: i tiranti sovraccaricati da oltre 7.000 tonnellate in più a causa del surplus di asfalto e del posizionamento dei «new jersey».Strati d’asfalto sovrapposti gli uni agli altri, per almeno vent’anni, che sono andati a formare un «wafer» pesante migliaia di tonnellate. E grandi «fornelli da mina» che nel corso del tempo si sono riempiti d’acqua per chissà quante altre centinaia di tonnellate di sovraccarico. Nuove ipotesi si affacciano tra le concause del disastro del ponte Morandi di Genova, crollato la mattina del 14 agosto 2018 con 43 vittime. Mentre ieri sono riprese le sedute dell’udienza preliminare, che dovrà decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per 59 imputati presentate dai pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno, a formulare le nuove ipotesi è Danilo Coppe. Interpellato dalla Verità, Coppe è tra i massimi esperti italiani di esplosivi nonché il fondatore della Siag di Parma, la società che nel giugno 2019 ha curato la demolizione dei resti del viadotto genovese, con l’esplosione controllata delle due campate numero 10 e numero 11.«Per preparare quell’abbattimento», racconta Coppe, «sono stato a lungo sul ponte e ho notato due o tre cose che non ho mai letto sui giornali».La prima osservazione riguarda l’asfalto: Coppe ricorda che prima di abbattere il viadotto era stato necessario fresare il manto stradale per far sì che i detriti del ponte potessero essere riciclati senza mischiarsi all’asfalto: in quel caso, infatti, si sarebbero trasformarsi in rifiuti speciali e lo smaltimento sarebbe stato molto più costoso. «Ma in certi punti», rivela oggi l’esplosivista, «lo spessore dell’asfalto era vicino al metro». Una misura che aveva impressionato chi nel 2019 lavorava all’abbattimento, e che di certo era di gran lunga superiore allo spessore che l’asfalto doveva avere nel 1967, quando il ponte Morandi fu inaugurato.«Chissà», ipotizza Coppe, «forse chi si occupava della manutenzione per anni avrà deciso di non grattare via il vecchio asfalto per sostituirlo con nuovo bitume, e magari per fare in fretta l’ha soltanto ricoperto». Il tecnico fa anche qualche stima: il vecchio ponte aveva quattro carreggiate ed era largo 18 metri. La campata numero 10, da sola, era lunga circa 150 metri. La sua superficie totale, quindi, era di 2.700 metri. «Dato che un metro cubo di quel tipo di asfalto pesa sulle 2 tonnellate», calcola Coppe, «il sovraccarico da asfalto su quella campata era di circa 5.400 tonnellate».Se ipotesi e calcoli sono giusti, la Società Autostrade dei Benetton - per circa vent’anni concessionaria anche del ponte Morandi – ha aggiunto un carico a dir poco eccezionale a quello sopportato dagli stralli, i tiranti rivestiti di cemento e con l’anima in acciaio che avevano il compito di reggere il carico del viadotto, e la cui usura secondo la Procura di Genova l’avrebbe fatto crollare. Dell’asfalto ha parlato in effetti anche la perizia presentata da Pier Giorgio Malerba e da Renato Buratti, i periti tecnici della Procura, che però avevano misurato uno spessore non omogeneo lungo quanto restava del ponte.L’altra ipotesi di Coppe, del tutto nuova, riguarda i «fornelli da mina». Pochi lo sanno, ma dopo il 1945 per molti anni i grandi ponti di nuova costruzione venivano dotati in gran segreto di cavità destinate a ospitare esplosivi. Quella cautela, dopo la seconda guerra mondiale, era stata suggerita dal timore di un attacco militare da parte del Patto di Varsavia. Se la Guerra fredda fosse divenuta «calda», il nostro esercito avrebbe fatto saltare ogni viadotto strategico per rallentare l’invasione nemica. Anche il ponte Morandi aveva i suoi bravi «fornelli», e la loro esistenza era stata confermata da Falco Accame, scomparso lo scorso dicembre. Nell’ottobre 2018 l’ex ammiraglio ed ex senatore socialista, nonché ex capo del Gruppo di ricerca operativa delle forze armate, scrisse sulla sua pagina Facebook di avere avuto accesso nel 1973 a documenti dai quali risultava che il ponte Morandi fosse dotato di quei «fornelli».Accame ne parlò solo per escludere che al momento del crollo contenessero ancora esplosivo, e per tacitare l’ipotesi (che circolava allora) in base alla quale il viadotto sarebbe stato fatto esplodere da un criminale attentatore o da uno dei fulmini che la mattina del 14 agosto 2018 accendevano il cielo di Genova. Oggi Coppe rivela che quei «fornelli» militareschi erano presenti su ogni giunto di campata del viadotto e che erano molto numerosi: sulla sola campata numero 10 il tecnico ne ha contati tre. Ma non erano vuoti. «Quando mi sono affacciato a uno dei tre tombini e ci ho guardato dentro con una torcia», racconta, «mi sono impressionato: ho visto una camera con un volume sui 50 metri cubi con un palmo d’acqua sul fondo». Evidentemente, con il tempo e in assenza di controlli e di manutenzione, lo scolo alla base dei «fornelli» si era ostruito e così le piogge li avevano trasformati in immense cisterne. Aggiungendo però peso a peso: da 40 a 50 metri cubi d’acqua per ogni «fornello». Sulla sola campata numero 10, Coppe stima potessero esistere fino a circa 150 tonnellate di sovraccarico d’acqua. «Ho la riprova di quanto dico», aggiunge, «perché un agente di polizia che ha seguito le immediate operazioni di soccorso mi ha detto poi di aver visto che l’acqua dal troncone del ponte crollato aveva continuato a uscire copiosa per giorni e giorni». C’è infine un terzo elemento che denuncia un altro aggravio di peso. Coppe ricorda che da qualche tempo, lungo tutto il ponte Morandi, al posto del vecchio guard rail centrale in ferro e ai due lati esterni delle corsie erano stati piazzati «new jersey» in cemento armato: protezioni di certo più efficaci rispetto al metallo, ma anche molto più pesanti. Sulla sola campata numero 10, lunga circa 150 metri, il tecnico stima che le quattro file di «new jersey» pesassero 1.800 tonnellate.In una delle ultime udienze del processo, i pubblici ministeri hanno rimproverato agli imputati, con frase forte, che «anche il classico pensionato che guarda i cantieri si sarebbe accorto dei problemi di usura del ponte Morandi». Forse sarebbe bastato anche un po’ di senso della misura. E magari qualche attenzione in più ai sovraccarichi.
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