2022-06-11
Il processo Eni dimostra che bisogna votare Sì ai referendum
La Procura di Brescia ha chiesto il rinvio a giudizio per i due magistrati milanesi accusati di aver nascosto prove potenzialmente favorevoli agli imputati di corruzione, poi tutti assolti «perché il fatto non sussiste». Pm contro pm: quelli di Brescia hanno deciso di chiedere il processo per i colleghi di Milano e, guarda caso, la notizia arriva a ridosso del referendum sulla giustizia. Nel mirino ci sono i magistrati che hanno sostenuto l’accusa nel processo Eni per l’affare Nigeria. Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, il primo aggiunto della Procura nel capoluogo lombardo, cioè uno dei numeri due dell’ufficio, e il secondo sostituto oggi in servizio presso la nuova struttura anti frode della Ue, avrebbero commesso il reato di «rifiuto di atti d’ufficio» per non aver voluto depositare atti che potevano scagionare gli imputati. In pratica, volontariamente o meno lo dirà il processo (naturalmente sempre che il gup accolga la richiesta dei pubblici ministeri bresciani), avrebbero nascosto prove a discarico, evitando ciò che avrebbero dovuto fare per dovere, ovvero produrre in giudizio tutti gli elementi emersi nel corso dell’indagine, anche quelli favorevoli agli imputati a sfavorevoli per l’accusa. Ovviamente ogni indagato è innocente fino a prova contraria e dunque anche le due toghe milanesi devono essere ritenute tali. Tuttavia, a prescindere da questo dato di fatto, quella del processo al gigante petrolifero e ai suoi vertici si conferma una storiaccia, andata avanti per anni sull’onda delle deposizioni di una coppia di imbroglioni, i quali hanno dato a bere ai magistrati oggi a rischio di processo un cumulo di fandonie. Non sto qui a ricordare la vicenda delle valigie di soldi imbarcate su un aereo che se fosse stato davvero carico di una tale montagna di bigliettoni non avrebbe mai potuto levarsi in volo. Né ricostruirò l’esilarante faccenda dei testimoni apparsi e scomparsi nel processo con cambio di identità e, soprattutto, con conferma dell’inattendibilità dei cosiddetti supertesti. Per capire ciò che accadde è sufficiente rammentare un video che era nelle mani dei pm, ma non in quelle degli avvocati e, soprattutto, della Corte che avrebbe dovuto giudicare. In esso, uno degli accusatori preannunciava di voler riversare sui vertici dell’Eni «una valanga di merda», rivelando dunque una manovra contro l’azienda che avrebbe dovuto indurre i magistrati a prendere le accuse con le molle. Per non parlare poi di quelle chat che stranamente non furono depositate, ma nelle quali si poteva scoprire che uno dei due testimoni dell’accusa aveva versato 50.000 euro a chi avrebbe dovuto confermare in aula le sue tesi. Curiosamente vennero dimenticati anche altri messaggi, dai quali emergeva che un teste era stato imbeccato dall’accusatore principale, affinché ripetesse ai pm la famosa questione delle valigie. E che dire degli sms portati come prova quando prova non erano perché falsi, in quanto i numeri telefonici dai quali sarebbero stati spediti non solo non erano in possesso dei vertici dell’Eni, ma provenivano da utenze che negli anni contestati non erano in uso? C’è poi l’altra incredibile questione dei telefoni scomparsi e mai più riapparsi, che forse avrebbero potuto dire molto di quello che i due imbroglioni, adottati come oracoli dalla Procura milanese, si erano detti e scritti per mesi, mentre i pm, sulla base delle loro testimonianze, istruivano un processo destinato a essere smontato pezzo dopo pezzo in aula e, successivamente, da una sentenza che ha demolito l’impianto accusatorio.Sì, da qualunque parte la si guardi, quella del processo per una maxi tangente che non fu mai ritrovata e che secondo i giudici della VII sezione penale non è mai neppure esistita, è proprio una storiaccia e vedremo, se ci sarà il processo a loro carico, quali saranno le responsabilità dei pm. Ma a prescindere da come finirà il procedimento, se ci sia o meno il rinvio a giudizio, una condanna o un’assoluzione, resta un fatto: la vicenda di Milano è uno spot per indurre gli italiani ad andare domani a votare per i referendum sulla giustizia. I quesiti proposti da Radicali e Lega forse non risolveranno pasticci come quelli che vi ho raccontato, ma se fossero approvati certo un contributo lo darebbero. La separazione delle carriere, la revisione dei meccanismi di valutazione delle toghe, il cambiamento delle regole per le candidature a membri del Csm, forse un aiuto a evitare che le correnti e i conflitti di interessi lascino impunito chi sbaglia probabilmente lo potrebbero fornire. La Costituzione dice che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e i primi a rispettare questo principio dovrebbero essere proprio coloro che l’amministrano. Nascondere una prova a favore di un imputato non è cosa da poco. Se davvero questo reato fosse provato, non ci sarebbero scuse. Secondo il sottoscritto, ci sarebbe solo da fare le valigie, non per cambiare aria, ma per cambiare proprio mestiere.
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