2025-08-23
«La terapia al plasma dava fastidio»
Giuseppe De Donno (Getty images)
Cesare Perotti, erede di Giuseppe De Donno a Pavia, ha salvato molte vite ignorando gli insulti degli ultrà del vaccino: «È un successo del pubblico, riconosciuto all’estero, non di Big Pharma».Nella prima ondata del Covid è stato tra i pionieri della terapia con il plasma iperimmune, un trattamento efficace ma, al tempo, ferocemente contestato e ostacolato. Cesare Perotti, direttore del servizio di immunoematologia, dopo 40 anni al San Matteo di Pavia, va in pensione e alla Provincia Pavese confida che, pur essendosi «preparato a questo momento», da settembre sentirà la mancanza «dell’adrenalina quotidiana». Nelle prime settimane della pandemia, a marzo 2020, con il suo team e un gruppo di specialisti dell’ospedale Carlo Poma di Mantova - tra cui Giuseppe De Donno, ex primario di pneumologia del centro mantovano, ferocemente criticato per la cura e che si è tolto la vita a luglio del 2021 - Perotti ha messo a punto un protocollo di riferimento a livello internazionale per l’impiego del plasma iperimmune. «La sperimentazione è cominciata a marzo in una fase dove non c’erano vaccini, farmaci o terapie specifiche per curare la malattia da coronavirus», ricorda. «Ogni giorno contavamo i morti. Da qui l’idea: fornire una protezione passiva ai malati, utilizzando il plasma dei pazienti in convalescenza con più anticorpi». Si tratta di una pratica scientificamente consolidata da almeno un secolo, ma fortemente screditata dai paladini della scienza che, paradossalmente, escludono (ieri come oggi) i non allineati al mainstream che, allora, predicava Tachipirina e vigile attesa. Come è noto, il trattamento messo a punto da Perotti e colleghi prevede la raccolta di plasma di pazienti guariti dal Covid per ottenere gli anticorpi specifici contro il virus Sars-Cov2, da infondere nei malati. «Siamo stati tra i primi in Europa», chiarisce, «ma abbiamo soltanto applicato la storia della medicina utilizzando strumenti moderni. Già ai primi del Novecento il patologo tedesco Paul Ehrlich aveva utilizzato il plasma di pazienti convalescenti per curare la difterite. Bisogna essere onesti», rimarca: il plasma «iperimmune è stata una terapia efficace anche contro il Covid e, dopo le tante polemiche, il nostro impegno intellettuale è stato riconosciuto da un articolo del New England Journal of Medicine, dell’ottobre di due anni fa, che ha dimostrato, ancora una volta, l’efficacia di questo strumento sicuro, meno costoso dei farmaci e con effetti collaterali trascurabili». Si è trattato di un successo «del servizio sanitario pubblico e non del business farmaceutico», evidenzia Perotti. E purtroppo, anche probabilmente per questo motivo, la terapia non ha potuto salvare delle vite, sicuramente molte se non moltissime, considerandone una applicazione su larga scala. E così, mentre in Italia si denigrava il trattamento, in quei giorni, al centro Pavese si era rivolto anche «Stephanie Lee, all’epoca presidente della Società americana di ematologia» per chiedere «il protocollo terapeutico basato sul plasma iperimmune. Ovviamente risposi di sì», precisa Perotti che da settembre (e per un anno) sarà consulente a titolo gratuito del policlinico San Matteo e, «per l’anno prossimo», sta «programmando di partire come volontario per la Tanzania, dove lavora una collega che vuole una mano a gestire il primo trapianto di cellule staminali». L’esperto però vuole evitare la polemica. «Per me contano i fatti», ribatte da vero uomo di scienza. «Nel primo campione di pazienti che abbiamo trattato al San Matteo la mortalità è scesa in modo importante, e anche gli studi successivi hanno confermato l’efficacia della terapia. Tutto sta nella quantità di anticorpi presenti nel plasma dei pazienti: noi abbiamo selezionato solo quelli con la carica anticorpale più alta e, per questo, l’infusione è uno strumento efficace». Come hanno dimostrato vari studi, i risultati dei trattamenti con plasma sono paragonabili a quelli dei costosissimi farmaci antivirali sviluppati ad hoc - remdesivir e paxlovid - resi disponibili quasi un anno dopo, per popolazioni molto definite, e da somministrare entro pochi giorni dalla positività al Covid. Una meta-analisi del 2023, per esempio, ha registrato una riduzione media del rischio di ricovero pari al 30,1% con le trasfusioni di plasma convalescente, ma la percentuale arrivava al 51,4% se il trattamento era effettuato entro cinque giorni dai sintomi. Addirittura, nelle persone immunocompromesse, una revisione sistematica degli studi, nello stesso anno, ha rilevato che la trasfusione di plasma convalescente era associata a un beneficio in termini di mortalità. Inoltre, a differenza dei farmaci, gli anticorpi sono sempre efficaci anche in caso di varie mutazioni, perché ottenuti da soggetti convalescenti dall’infezione causata dal virus circolante. Non stupisce quindi che, come riferisce Perotti, «Eba, l’alleanza europea del sangue», abbia «inserito la plasmaterapia tra le armi per il contrasto delle prossime pandemie». Un successo postumo. Chissà se resterà nella lista.
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