2022-07-15
La tentazione fascista mise alla prova anche le migliori famiglie: lo strano caso de Man
Mario Sironi L'Italia tra le Arti e le Scienze (particolare, 1935). Nel riquadro Hendrick «Henri» de Man.
Un libro ricostruisce il flirt con l’Asse del dirigente socialista. Pure suo nipote, docente negli Usa, aveva un passato «nero».Per esorcizzare l’avvento del fascismo, che mai veramente comprese, Benedetto Croce usò l’immagine della «invasione degli Hyksos»: quei vent’anni sarebbero stati una parentesi estranea alla storia d’Europa, creata da alieni spuntati da chissà dove e rintanatisi chissà dove dopo il 1945. La storia ci racconta tuttavia qualcosa di diverso: il fascismo fu una «tentazione» (Tarmo Kunnas) che attraversò tutta la cultura europea, serpeggiò nel profondo della società dell’epoca e coinvolse anche le «migliori famiglie». Un caso emblematico in questo senso è quello dei de Man, influente famiglia di Anversa che annovera almeno due personalità di primo piano della cultura novecentesca, entrambe saldamente ancorate a sinistra ma finite per flirtare con le potenze dell’Asse: Henri e Paul de Man. Al primo - conosciuto anche col nome fiammingo Hendrik - è dedicata l’ultima pubblicazione dei tipi di Altaforte, A cose fatte. Memorie di un «socialista nazionale», con un ampio saggio introduttivo di Corrado Soldato. Esponente di primo piano dell’Internazionale socialista, Henri de Man era cresciuto in una famiglia di massoni, anticlericali e militari. Il nonno, Jacobus Philippus de Man, era diventato famoso per aver picchiato un prete che aveva cercato di proibire a sua moglie di mangiare carne durante la Quaresima. Il padre Adolph era invece un uomo brutale, che pativa il confronto con fratello e cognato, entrambi ufficiali nell’esercito, e che quindi aveva dato a Henri una educazione militare, non priva di violenza. La madre, Joséphine van Beers, era invece figlia del poeta nazionale fiammingo, Jan van Beers. Nel complesso, i de Man erano una delle famiglie più in vista di Anversa. Entrato nella Jeune garde socialiste nel 1902, nel 1905 fu espulso dal Politecnico di Gand dopo una manifestazione in favore dei rivoluzionari russi. Nel 1911 di mise sotto l’ala di uno dei nomi pesanti del socialismo europeo, Émile Vandervelde, che di lui disse: «Il socialismo sta a de Man come la tonsura al prete». La grande guerra portò de Man a una revisione profonda del marxismo, che egli spiegò nei suoi due libri Il superamento del marxismo e L’idea socialista, che fecero di lui un esponente di spicco del revisionismo tra le due guerre. Mentre arrivava ai vertici della sinistra fiamminga (fu vicepresidente e poi presidente del Parti ouvrier belge), de Man articolava anche la sua personale risposta alla crisi del 1929: era il planismo, una ideologia, scrive Soldato, «che non solo auspicava l’avvento di un’economia dirigistica, ma affiancava al rimodellamento del sistema economico una riforma decisionistica e corporativa delle istituzioni». Tali idee incuriosirono Benito Mussolini, che scrisse a de Man per saperne di più e ricevette, nel 1930, una risposta cortese ma ancora distaccata (lo scambio è riportato in calce al libro di Altaforte). Con lo scoppio della seconda guerra mondiale e l’occupazione del Belgio, Henri, che tra l’altro è il principale consigliere di re Leopoldo III, pubblica un documento favorevole al Terzo Reich: «La guerra ha portato alla sconfitta del regime parlamentare e della plutocrazia parlamentare nelle sedicenti democrazie. Per le classi lavoratrici e per il socialismo, questo crollo di un mondo decrepito, lungi dall’essere un disastro, è una liberazione». Già nel 1941, tuttavia, le autorità tedesche lo isoleranno. Dopo il 1945 cercherà di sfuggire al nuovo governo, venendo comunque condannato nel 1946 e finendo i suoi giorni nel 1953 dopo essere stato travolto da un treno a un passaggio a livello, in circostanze poco chiare. Una parabola singolare, ma forse meno di quella del nipote Paul, figlio di Bob de Man, il fratello più giovane di Henri, nato nel 1919. Laureatosi ad Harvard negli anni Cinquanta, Paul de Man insegnerà all’università Cornell, alla Johns-Hopkins e a Yale. Amico personale del filosofo Jacques Derrida (il capofila del decostruzionismo, che gli dedicherà un libro, Mémoires pour Paul de Man), l’intellettuale belga diventerà uno dei critici letterari più influenti del dopoguerra. Di lui si ricordano i saggi Allegories of Reading, The Rhetoric of Romanticism e The Resistance to Theory. Un eminente membro del salotto buono della cultura progressista, dunque. O almeno tale sembrava, prima della scoperta, a metà degli anni Ottanta, dopo la sua morte, di alcuni articoli compromettenti scritti negli anni dell’occupazione.Uno studente belga, Ortwin de Graef, ha infatti scoperto circa 200 articoli del giovane de Man (che aveva collaborazioni con i giornali dall’età di 16 anni) sulle pubblicazioni del Belgio nazisteggiante, in particolare usciti su Le Soir, il principale quotidiano del Paese, negli anni Quaranta sotto l’influenza tedesca. Ha destato scalpore, in particolar modo, un saggio intitolato Gli ebrei nella letteratura attuale, in cui de Man denunciava «l’infiltrazione semita in tutti gli aspetti della vita europea» e proponeva di «isolare dall’Europa» la popolazione ebraica. La rivelazione di questo tipo di pubblicistica nel curriculum del rinomato studioso e docente destò un grande scandalo. Si scoprì che come molti della sua generazione (citiamo per esempio Maurice Blanchot, per restare nei paraggi del post strutturalismo), Paul de Man aveva avuto una «doppia vita», come ha scritto la sua biografa, Evelyn Barish (Double Life of Paul De Man). Molti suoi amici, a cominciare dallo stesso Derrida, peraltro di origini ebraico-algerine, non esitarono a difenderne la memoria. Ma ci fu anche chi, come Paul Morrison, nel suo The poetics of fascism, sostenne la tesi della «continuità tra il giornalismo dei primi anni Quaranta e le realizzazioni del teorico maturo, che è esplicitamente una continuità di collusione e complicità nelle operazioni di potere. […] Non che nell’opera matura vi sia fascismo o antisemitismo, anche se i suoi primi lavori, nonostante quel che dicono i i difensori di de Man, stringono un accordo opportunistico con entrambi. Al contrario, il fallimento dell’opera matura è la sua incapacità di concepire una modalità di potere che non sia apertamente fascista».Sia come sia, resta l’immagine di una agiata e democratica famiglia fiamminga da cui emergono due protagonisti di primissimo piano della famiglia progressista occidentale, e non di meno troviamo la fascinazione per il fascismo al termine della parabola dell’uno e all’inizio di quella dell’altro. Altro che invasione degli Hyksos.
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