2022-12-30
La strategia del terrore di Pechino serve a rimettere in volo il Dragone
Il regime rosso può contare su una sola tattica per recuperare il terreno perso nei confronti delle economie occidentali: il ritorno ai lockdown. Per questo non bisogna fare atto di fede sui dati catastrofici che diffonde. Quando si tratta di immagini che provengono dalla Cina, il primo esercizio da mettere in pratica è quello della diffidenza. Bisogna infatti chiedersi quanto siano vere e quanto siano verosimili. Cioè quanto siano la rappresentazione di uno spicchio di realtà, ma utili ad amplificare il messaggio della propaganda. Per chi è stato in Cina, almeno nelle principali città, è facile infatti capire quanto i flussi digitali siano capillarmente controllati, filtrati tramite weChat o le altre piattaforme, e quindi manipolabili. Al contrario, se il partito desidera nascondere notizie ha la possibilità di non far uscire all’esterno alcuna immagine. Fatta questa premessa, se ne aggiunge doverosamente una seconda. I numeri forniti dal governo e ancor più dal partito - vale per i dati economici e soprattutto per quelli del Covid - non sono in alcun modo controllabili. Stando, però, a quanto trapela ci sarebbero 1 milione di contagi e 5.000 morti al giorno. Significa che, con le dovute proporzioni (popolazione Cina: 1 miliardo e 400 milioni), il dato equivarrebbe su una scala italiana a 43.000 contagi e 215 morti al giorno. Numeri non troppo distanti da quelli che registravamo lo scorso agosto. Nulla che giustifichi il racconto di morie e di nuove ondate di Covid. Tanto meno di varianti mortali. Eppure l’immagine che giunge a noi ha un sapore (volutamente) catastrofico. Il fatto che i tamponi di chi arriva nei nostri aeroporti traccino percentuali di positivi molto elevati non significa in alcun modo che si stia per affrontare una nuova ondata. Senza contare l’efficacia del vaccino, in Italia si calcola che almeno 23 milioni di persone siano finite a contatto con il virus e si siano immunizzate. Questo perché abbiamo avuto la possibilità di farlo circolare. In Cina negli ultimi due anni la mobilità è stata compressa e boicottata. Dunque chi guida i governi europei, prima di prendere qualunque decisione, oggi avrebbe l’obbligo di porsi e, forse, di porre apertamente una serie di interrogativi. Il primo dei quali è: perché la Cina sta spingendo gli altri Paesi a tornare nella spirale dei lockdown? L’ipotesi è di natura prettamente economica. Dopo oltre due anni di chiusure forzate e di export ridotto, Xi Jinping si trova a fare i conti con una crescita del Pil decisamente rallentata. Da tale assunto molto probabilmente scaturisce la necessità di fermare la strategia dello «zero Covid» e far tornare a regime le fabbriche per produrre più o meno come accadeva prima del 2020. Xi sa anche che, dopo la rottura delle catene produttive e l’inceppamento della globalizzazione, per riaffacciarsi ai mercati europei a Pechino servirebbe uno choc inversamente proporzionale a quello di marzo 2020. Se le economie occidentali rallentassero di nuovo, le fabbriche cinesi potrebbero - anche grazie a uno yuan competitivo - tornare a rifornire gli scaffali del Vecchio Continente. Per di più oggi c’è la necessità di usare ciò che è stato accumulato. Lo scorso giugno la Cina registrava livelli di stoccaggio di materie prime incredibili. Il 93% delle scorte di rame è in mano a Pechino. Con l’alluminio si scende (si fa per dire) al 74%. Il mais rasenta il 70 e circa la metà delle scorte mondiali di frumento è ancora oggi nella disponibilità della Cina. È chiaro che la corsa all’accaparramento adesso dovrà trovare un sfogo e visto che, nel frattempo, gli Usa si sono mossi con violenza nella direzione del decoupling (l’indipendenza produttiva) il vaso di coccio ha un nome e un cognome: Unione europea. Se aggiungiamo l’elemento energia e quindi gli elevati costi di produzione, che rendono di per sé meno conveniente alla nostra industria realizzare un prodotto finito, non è difficile immaginare che il Dragone insisterà sulla strada dei lockdown. Ci aspettiamo che l’Italia e l’Europa non cadano nel tranello. Certo, sarebbe riduttivo pensare che situazioni complesse come questa si sciolgano prendendo in considerazione un solo parametro. In ballo ci sono anche il potere interno e l’immagine. Non essendo il Pcc un monolite, ad alcuni dirigenti preme occultare uno dei principali problemi della nazione. Così come è stato per le prime ondate, anche oggi la classe dirigente cinese è consapevole che il sistema sanitario (al di là di pochissimi poli di eccellenza) non è in grado di sopportare pandemie e nemmeno sindemie. Trent’anni fa, probabilmente, il Pcc avrebbe murato vivi interi quartieri o città occultando poi i cadaveri pur di non ammettere di non essere in grado di curare le persone. L’invasività oggi è minore ma la logica non sembra essere cambiata. Il che ci porta a pensare che adesso anche per Pechino si apre veramente il tema dei vaccini. E la necessità di bilanciare la riapertura con vaccini più efficaci di quelli asiatici.La fine della strategia zero Covid può dunque riavvicinare Cina e Stati Uniti almeno sul fronte delle case farmaceutiche e intanto allineare gli sforzi economici mirati alla ripartenza economica. Sforzi che accomunano entrambe le parti. A rafforzare il nostro ragionamento c’è pure il messaggio del portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin che si è scagliato contro i resoconti stranieri critici sul nuovo approccio della Cina al Covid-19 e sulle nuove restrizioni imposte ai viaggiatori: «Abbiamo sempre creduto che per tutti i Paesi le misure di risposta al Covid debbano essere basate sulla scienza e proporzionate, e che si applichino in egual misura alle persone di tutti i Paesi senza pregiudicare i normali spostamenti e gli scambi». Pechino sa come gestire la propaganda e toccare le corde dell’Occidente sempre più sensibile all’inclusività. Occhio a rischiare l’involtino bis che tanto è piaciuto a Speranza &C.
«Roast in peace» (Amazon Prime Video)
Dal 9 ottobre Michela Giraud porta in scena un esperimento di satira collettiva: un gioco di parole, sarcasmo e leggerezza che rinnova la tradizione del roast con uno stile tutto italiano.