L’accordo «di fase uno», raggiunto tra Israele e Hamas, segna una svolta potenzialmente storica per il futuro degli equilibri mediorientali. È allora utile cercare di capire chi siano, dal punto di vista geopolitico, i vincitori e gli sconfitti emersi da questa intesa.
I principali vincitori sono, senza dubbio, gli Stati Uniti. Il piano di pace per Gaza, discusso dallo Stato ebraico e da Hamas, era infatti stato elaborato dalla Casa Bianca. Ebbene, con l’accordo appena raggiunto, Donald Trump ha conseguito due importanti obiettivi. Innanzitutto, ha avviato la stabilizzazione del Medio Oriente, salvaguardando la logica dei Patti di Abramo: patti che il presidente americano ha tutta l’intenzione di rilanciare e di espandere, scongiurando un deragliamento dei rapporti tra Israele e i Paesi arabi. In secondo luogo, il successo diplomatico a Gaza consente a Trump, dal punto di vista interno, di accontentare gli arabo-americani: una quota elettorale storicamente dem che, nel 2024, aveva tuttavia votato in gran parte a favore del Partito repubblicano. Infine, è da rilevare l’efficacia della strategia messa in campo da Trump. Differentemente dall’amministrazione Biden, l’attuale inquilino della Casa Bianca ha aumentato la pressione sull’Iran, soprattutto attraverso il bombardamento dei suoi siti nucleari a giugno. Questo tipo di approccio ha innanzitutto indebolito Hamas, che è uno dei principali proxy di Teheran, e ha altresì spinto a una maggiore convergenza tra israeliani e sauditi, che sono storicamente accomunati dal timore nei confronti delle ambizioni atomiche nutrite dagli ayatollah.
Ma Trump non è l’unico vincitore. A ottenere un importante successo sono stati anche Qatar e Turchia, che hanno contribuito a mediare l’intesa. Secondo quanto riferito dallo stesso Recep Tayyip Erdogan, sarebbe stata proprio Ankara a «persuadere» l’organizzazione terroristica palestinese ad accettare il piano di pace della Casa Bianca. Dopo Ucraina, Siria e Corno d’Africa, il sultano è quindi diventato centrale anche a Gaza. Non è d’altronde un mistero che, soprattutto negli ultimi mesi, la sponda tra Trump ed Erdogan si sia rafforzata. Il presidente turco punta a giocare un ruolo fondamentale nel nuovo Medio Oriente in fase di costruzione. Il che ovviamente, al di là del successo diplomatico nella Striscia, non è scevro di incognite. Non dimentichiamo infatti che storicamente Turchia e Qatar sono assai vicini alla Fratellanza musulmana: una realtà a cui il Partito repubblicano americano guarda con estrema freddezza. Bisognerà poi vedere se, alla fine, un leader spregiudicato e avvezzo alle rivoluzioni diplomatiche, come il sultano, si rivelerà realmente un fattore di stabilità nel Medio Oriente che va configurandosi. Ma non è tutto.
Tra i vincitori va annoverata anche l’Arabia Saudita che, oltre a godere di un rapporto strettissimo con Trump, si è anche riavvicinata alla Turchia. Mohammad bin Salman mira del resto a svolgere un ruolo di primo piano nella ricostruzione della Striscia, senza trascurare che potrebbe presto decidere di far aderire Riad ai Patti di Abramo. Sotto questo aspetto, l’intesa su Gaza rappresenta un vantaggio anche per Benjamin Netanyahu. È vero che quest’ultimo aveva avuto delle tensioni con Trump sia sul piano di pace sia sull’attacco israeliano in Qatar. Tuttavia le pressioni arrivate dalla Casa Bianca hanno consentito al premier israeliano, almeno in teoria, di riacquistare margine di manovra, per cercare di arginare l’ala destra del suo stesso governo.
Nonostante abbia ufficialmente accolto con favore lo stop del conflitto, a risultare sconfitto è invece l’Iran. Già indebolito dalle azioni militari di Israele e Usa, il regime khomeinista si ritrova adesso ancora più isolato. Washington cercherà quindi di approfittarne, per costringerlo ad accettare un’intesa sul nucleare che soddisfi sia Gerusalemme che Riad. Probabilmente, in un secondo momento, Trump cercherà di cooptare Teheran all’interno del sistema di Abramo. A masticare amaro è inoltre la Cina, che ha commentato non negativamente ma un po’ genericamente l’intesa. Dopo quattro anni di amministrazione Biden in cui Washington non riusciva più a toccare palla in Medio Oriente, Pechino non vede di buon occhio il rinnovato protagonismo politico-diplomatico degli Usa nella regione. Maggiormente in chiaroscuro appare invece la situazione del Cremlino, che ieri ha definito il cessate il fuoco «motivo di generale soddisfazione». Da una parte, Mosca teme la crescente influenza di Ankara in Medio Oriente; dall’altra, spera di partecipare alla ricostruzione di Gaza e di riacquisire peso nella regione, mediando tra gli Usa e un Iran che potrebbe a breve trattare sul nucleare.
Infine, sorge spontanea una domanda. Qual è stato esattamente il ruolo dell’Ue e dell’iperattivo Emmanuel Macron nell’accordo di Gaza? Nessuno. Eh sì: purtroppo, per dirla con Martin Heidegger, Bruxelles, sul piano internazionale, continua a rivelarsi «il nulla che nulleggia».





