2025-10-10
No croce, sì velo: il «voto» utile dei compagni
Progressisti in difesa della «libertà religiosa» dei musulmani. Silenzio, invece, quando censurano i cattolici.A un mese esatto dalla morte di Charlie Kirk, ammazzato a colpi di fucile mentre portava avanti una battaglia per le idee e soprattutto per la sua fede, è probabilmente molto opportuno soffermarsi a riflettere sulle condizioni del rapporto ( tra religione e politica in Europa e in tutto l’Occidente. In Italia si può dire che la relazione sia piuttosto ambivalente, almeno per come viene vissuta nel dibattito politico. È interessante a tale riguardo osservare le reazioni alla proposta di Fratelli d’Italia per la proibizione a norma di legge del velo islamico integrale negli spazi pubblici. La norma presentata da Sara Kelany, Galeazzo Bignami e Francesco Filini dovrebbe servire a «contrastare la nascita di enclave, contro-società in cui si applica la legge sharitica e non l’ordinamento italiano, e dove prolifica il fondamentalismo islamico». L’iniziativa ha suscitato un coretto di reazioni indignate da parte di attivisti e progressisti assortiti, i quali esprimono posizioni ben sintetizzate ieri da Massimo Adinolfi su Repubblica. Secondo il pregevole editorialista, la norma anti-velo sarebbe una violazione della libertà, oltre che un’idea estremamente contraddittoria. «Lo stesso governo che non teme di imprimere una curvatura illiberale alla legislazione penale», scrive Adinolfi, «crede di potersi intestare battaglie di libertà nella protezione della possibilità di esprimere il proprio pensiero, per cui quasi nelle stesse ore in cui alla Camera Bignami e i suoi deputati se la prendevano col burqa, al Senato il capogruppo Lucio Malan presentava una proposta di legge che punta a cancellare il divieto, attualmente in vigore, di affiggere in strada o su mezzi pubblici messaggi pubblicitari sessisti o omofobi. Insomma», conclude l’editorialista, «alla Camera si introducono nuovi divieti, mentre al Senato li si abroga. Al velo religioso si dice di no, ma alla cartellonistica sessista si dice di sì. Ad alta voce si possono declamare i propri pregiudizi omofobi, non però il proprio credo religioso». Adinolfi aggiunge poi una valutazione piuttosto comune a sinistra: «Nel discorso pubblico nostrano c’è un nemico: lo straniero, l’immigrato, il musulmano. Per questo, va bene la libertà, ma solo dopo che si siano definiti i contorni di una società omogenea, che condivida le stesse credenze, gli stessi valori, la stessa identità culturale ed etnica». Queste poche righe bastano a rendere l’idea di quale sia oggi lo spazio politico concesso alla religione, almeno secondo il discorso prevalente (o mainstream, per usare una brutta parola). È opportuno affrontare prima un punto su cui Adinolfi sorvola con leggerezza: il velo integrale - burqa o niqab - non è un obbligo religioso ma un portato culturale di alcuni popoli di fede islamica. La legge proposta da Fdi non proibisce - come hanno tentato di fare altrove - il velo in sé e per sé, cosa che sarebbe in effetti una pesante intromissione nella vita dei fedeli musulmani. Cerca di limitare una pratica che troppo spesso è legata all’oppressione delle donne, e su cui con i musulmani residenti in Italia si potrebbe trovare un accordo. Dunque no, non c’è alcun tentativo di impedire l’esibizione di simboli religiosi altrui. Anzi, c’è una dimostrazione di giusta misura: da una parte si rispetta la sensibilità religiosa, dall’altra si cerca di fare rispettare i diritti della persona, della donna nello specifico. Non si opta per il laicismo spinto che combatte ogni manifestazione di fede, ma si prova a creare un equilibrio. Se esiste invece un tentativo di limitare lo spazio della fede, beh, è esattamente quello che viene messo regolarmente in pratica dalle forze progressiste. Le quali coccolano i musulmani solamente nella misura in cui essi appunto restano estranei, stranieri, immigrati. Il musulmano, a sinistra, va bene finché recita la parte del migrante privato di diritti e può essere usato come arma contro le destre intolleranti. Ma come mai non si interrogano i musulmani su temi quali aborto, gender, eutanasia eccetera? Forse perché sarebbero risposte sgradite, come i musulmani che hanno lasciato la Flotilla perché indispettiti dalla presenza di attivisti arcobaleno.Le persone di fede - questa è la ruvida realtà dietro la retorica - piacciono se straniere, e soprattutto se non esprimono le proprie convinzioni. Ma quando le manifestano, e se le manifestano in modo deciso, ecco che diventano sgradite. L’esempio perfetto è proprio quello dei presunti cartelloni sessisti contro cui si batte Lucio Malan. Prima di tutto, impedire a un gruppo pro vita di affiggere un cartellone non è un’offesa a una religione ma alla libertà di pensiero. Per altro non si capisce come un manifesto che invita a fare nascere una bambina possa essere sessista. Ma il punto vero è un altro: poiché i cattolici non possono tornare utili nella parte di esotici immigrati, li si confina immediatamente fra i bigotti patriarcali. Il patriarcato vero che si manifesta (per ragioni culturali e non religiose) sotto forma di velo integrale si tollera in quanto permette di sbandierare la tolleranza universale nei riguardi degli stranieri. Il patriarcato immaginario dei cristiani di casa nostra invece è utilizzato per metterli a tacere e bollarli quali impresentabili. Il meccanismo è ogni volta il medesimo: se i cattolici si limitano a generiche esternazioni sulla bontà o se sponsorizzano l’accoglienza o se si occupano di disagio sociale in un modo che torni utile alla narrazione progressista, allora li si tollera, esattamente come si tollerano il musulmano o il buddista o l’ebreo. Ma quando questi cambiano tono e pretendono di difendere le proprie convinzioni, comprese quelle in contrasto con lo spirito dei tempi, cala subito la mannaia della censura. Il trattamento riservato a Charlie Kirk dopo la morte è decisamente indicativo: i più, a sinistra, lo hanno raccontato come uno spargitore di odio che si è cercato guai. E non a caso quelli che in Italia condividono le sue lotte pro life vengono osteggiati, persino con la proibizione delle affissioni. Le opzioni sono dunque limitate. La fede non sottomessa alle leggi dello Stato è contemplata se professata da stranieri politicamente sfruttabili. La fede che rispetta le leggi e talvolta chiede di modificarle è osteggiata perché toglie spazio all’ideologia dominante. In generale, i fedeli devono essere utili o inoffensivi. Altrimenti tornino nelle catacombe.
«Roast in peace» (Amazon Prime Video)
Dal 9 ottobre Michela Giraud porta in scena un esperimento di satira collettiva: un gioco di parole, sarcasmo e leggerezza che rinnova la tradizione del roast con uno stile tutto italiano.