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2020-09-14
Nonostante la crisi del Covid in arrivo 257 scadenze fiscali
Doveva essere una soluzione alla crisi del Covid, invece si sta trasformando in una tagliola, nel colpo di grazia per migliaia di piccoli imprenditori, commercianti, artigiani e partite Iva. La logica di posticipare gli appuntamenti con il fisco ha creato l'effetto imbuto con problemi per i pagamenti a cui si sommano quelli burocratici. Mentre si parla tanto di semplificazione e digitalizzazione, il rapporto con il fisco è ancora caotico e difficile. A settembre si affastellano 257 scadenze e per alcune procedure il contribuente deve usare i moduli di carta. Il tutto in una situazione di grande disagio economico, con i consumi che non ripartono, i debiti che si accumulano. Il governo, sordo alle richieste delle imprese che per alcune imposte chiedevano la moratoria, continua a battere cassa. La spiegazione è che i pagamenti non si possono annullare, pena il default dello Stato, ma il sacrificio è chiesto alle categorie produttive più deboli del Paese.
Bisogna pagare, non c'è scampo. Dopo l'effetto imbuto che si è creato ad agosto con il posticipo delle imposte (dal 30 giugno al 20 luglio e poi al 20 agosto con maggiorazione dello 0,40%), eccoci alla vigilia delle scadenze di settembre. Per tanti piccoli imprenditori potrebbe essere il colpo di grazia. Commercianti, artigiani, partite Iva non si sono ancora ripresi dall'esborso estivo, stanno riavviando le attività tra mille problemi, e ora dovranno stringere di più la cinghia. «Solo un folle poteva pensare che nel giro di qualche mese avremmo superato la crisi, che sarebbe bastata una manciata di settimane per tornare al giro d'affari pre Covid.
Ora ci troviamo a pagare le tasse arretrate e quelle nuove, tutte insieme mentre gli ordini languono, e abbiamo raschiato il fondo dei risparmi», afferma Antonio Rinaldi, partita Iva che lavora nell'informatica. «Durante l'estate sono stata costretta a tenere chiuso. Mantengo con i miei risparmi una sarta, mia collaboratrice. Non potevo metterla per strada. Alzare la saracinesca ogni giorno è una scommessa, sono scomparsi anche quelli che entravano solo per curiosare», dice quasi in lacrime Agnese Testa, una bottega di abbigliamento artigianale nel quartiere Esquilino a Roma. Due storie, come tante, simili tra loro.
La pandemia globale ha scatenato un effetto a catena in campo fiscale con una sequela di rinvii, sospensioni e nuovi calendari che hanno generato l'ingorgo di luglio e agosto. Chiusa la partita delle tasse posticipate nei mesi estivi ora si apre quella di settembre, con alcune scadenze rinviate a questo mese che si sommano a quelle ordinarie, in una situazione che è tutt'altro che ordinaria. I circa 4,5 milioni di partite Iva dovranno vedersela anche con lo sciopero dei commercialisti, proclamato dal 15 al 22 settembre che rende ancora più caotica la situazione. Per settembre sono previsti 257 appuntamenti con il fisco. Inoltre, a dispetto dell'annunciata digitalizzazione per semplificare le procedure, alcune procedure vanno fatte ancora usando la carta. Sono 5: 16, 21, 25, 28 e 30 settembre. Il 16, dopodomani, è da bollino rosso.
Scadono 174 adempimenti. Tra questi, i più importanti sono i saldi 2019 e gli acconti 2020 dell'Irpef per chi sta versando a rate, la quarta rata dell'addizionale regionale e comunale, la terza rata dell'addizionale Ires, la quarta rata della cedolare secca a titolo di saldo 2019 e primo acconto per il 2020; ci sono poi i versamenti Iva, Ires e Irap.
A queste incombenze si aggiungono i versamenti posticipati dai decreti sull'emergenza Covid. Il 16 settembre vanno in scadenza il 50% dei versamenti Iva, ritenute d'acconto sui redditi da lavoro dipendente, contributi previdenziali e premi assicurativi che dovevano essere pagati a marzo, aprile e maggio 2020. Chi ha avuto diritto a quelle sospensioni in virtù dei decreti sull'emergenza ora deve pagare. Può versare il 50% tutto insieme o spalmando l'importo in 4 rate mensili fino al 16 dicembre. L'altro 50% va versato a partire dal 16 gennaio 2021 in massimo di 24 rate mensili fino a dicembre 2022. Di questi posticipi hanno potuto usufruire alcune categorie quali, tra le altre, le imprese turistiche, le agenzie di viaggio, le associazioni sportive, i soggetti che gestiscono le sale cinematografiche, le sale concerto, le discoteche, le ricevitorie del lotto, le attività di ristorazione, le gelaterie, come pure musei, luoghi di cultura, asili (solo per citarne alcuni) che ad aprile e maggio hanno avuto una riduzione del fatturato di almeno il 33% rispetto ai corrispondenti mesi del 2019. Sempre il 16 settembre scade la comunicazione delle liquidazioni periodiche Iva relative al secondo trimestre 2020.
Il 21 settembre è l'ultimo giorno utile per regolarizzare i versamenti di imposte e ritenute non effettuati o effettuati in misura parziale entro il 20 agosto, con maggiorazione degli interessi e della sanzione ridotta a un decimo. Le imprese elettriche hanno l'obbligo di comunicare all'Agenzia delle entrate il dettaglio dei dati relativi al canone Tv addebitato, accreditato, riscosso. Le società entro il 25 settembre devono presentare gli elenchi riepilogativi (Intrastat) delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi rese ad agosto.
L'ultimo giorno del mese, il 30, fa tremare i polsi. Scade il termine (è la prima volta) per trasmettere all'Agenzia delle entrate il modello 730. I contribuenti hanno l'ultima chiamata per 45 tipologie di versamenti. Inoltre vanno spedite le domande per i soggetti interessati al riparto della quota del 5 per mille. Non è finita: devono essere inviate le richieste di rimborso Iva assolta in altri stati membri dell'Unione europea.
«Posticipando le scadenze il problema non si è risolto ma si è spostato in avanti, e ora i nodi vengono al pettine. Bisognava azzerare le tasse per i piccoli imprenditori, introdurre una sorta di moratoria fiscale per dare respiro e tranquillità a commercianti, artigiani e partite Iva», afferma Paolo Zabeo, coordinatore dell'ufficio studi della Cgia di Mestre. E lancia il sasso: «In questo modo, il problema della liquidità si è ingigantito in un momento in cui le microimprese sono in grande difficoltà. I numeri dicono chiaramente che i consumi delle famiglie continuano a crollare e senza commesse un'azienda boccheggia». Zabeo sottolinea il rischio che «molti non essendo nelle condizioni di pagare, possano finire nella rete degli usurai. La malavita è pronta ad approfittarsi delle situazioni di grave disagio economico. Non mi stupirei se tra qualche mese si riproponessero anche casi di suicidio di imprenditori strangolati dagli strozzini e senza più lavoro».
«Una mazzata per molte aziende. Il 40% costrette ai licenziamenti»
«Servirebbe un abbonamento fiscale in modo da scavalcare l'anno per alcune scadenze e stabilire una dilazione più ampia dei pagamenti. Da un nostro sondaggio condotto su un campione di micro, piccole e medie imprese del turismo, del commercio e dei pubblici esercizi, è emerso che oltre 90.000 imprese stanno valutando la chiusura definitiva entro l'anno e oltre il 40% ha intenzione di ridurre il personale. L'affollamento di imposte a settembre è la goccia che fa traboccare il vaso di una situazione molto difficile per le aziende. La proroga delle scadenze fiscali durante la fase di emergenza Covid era necessaria, ma già allora abbiamo avvisato il governo che non sarebbe stata sufficiente. Non si può pensare che nel giro di pochi mesi, le attività si rimettano in moto come prima del Covid». Va dritta al punto Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti, associazione che rappresenta 350.000 imprese del commercio, del turismo e dei servizi, per un'occupazione di 1 milione di addetti.
Quale sarà il calo stimato di fatturato per fine anno dei piccoli e micro esercizi commerciali?
«Dal nostro sondaggio è emerso un crollo di oltre il 30% per il 61% degli intervistati e tra il 10 e il 30% per il 22%. Come conseguenza, il 46% sta programmando una riduzione del personale a tempo indeterminato e con contratto a termine. Sono decisioni forzate dalla situazione difficile».
Come si esce dall'impasse creata da tante tasse e crollo dei guadagni?
«Innanzitutto occorre una maggiore rateizzazione delle imposte, poi andrebbe eliminato il meccanismo del saldo e dell'acconto. Su questo è d'accordo anche il presidente dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Ruffini. Le tasse devono essere commisurate a quanto un'azienda incassa. L'ingorgo fiscale non fa bene nemmeno allo Stato. Se le aziende chiudono o evadono perché non ce la fanno a far fronte alle scadenze, il danno è per tutti. Approfittiamo della riforma fiscale per introdurre quelle modifiche che la situazione ci suggerisce».
Che cosa bisognerebbe inserire nella riforma fiscale?
«Innanzitutto riequilibrare il peso fiscale sul ceto medio che è stato sempre più penalizzato. A luglio è scattato il provvedimento di riduzione del cuneo fiscale sui lavoratori dipendenti. A regime, si tratta di 5 miliardi che torneranno nelle buste paga. Questa misura, predisposta a partire dalla legge di bilancio 2019, risulta però insufficiente, considerando gli oltre 65 miliardi di consumi che andranno persi a causa della pandemia. Inoltre, l'intervento va a vantaggio solo di una parte della classe media, e in particolare dei 6,3 milioni di italiani con redditi tra 28.000 e 55.000 euro, che sono attualmente ipertassati dall'Irpef».
Di quanto?
«Pur essendo il 15,6% dei contribuenti, forniscono quasi un terzo (31,8%) del gettito totale dell'imposta, cioè 50 miliardi di euro. Subiscono un aumento dell'aliquota legale di 11 punti rispetto allo scaglione precedente. La riduzione del cuneo però interessa, e con intensità decrescente, solo i soggetti con redditi fino a 40.000 euro, lasciando così fuori dal beneficio oltre 1,8 milioni di contribuenti sottoposti a una pressione fiscale eccessiva. La riforma del fisco deve andare nella direzione di un sistema impositivo più chiaro e meno punitivo. Sono oltre 13 anni che non vengono rivisti gli scaglioni Irpef. Va superata la logica del saldo e dell'acconto e bisogna sfoltire l'accatastamento delle scadenze. Senza un alleggerimento di questa zavorra, la ripartenza della spesa delle famiglie e delle imprese rischia di essere molto difficile».
Quindi in concreto in che modo andrebbe alleggerito il fisco per il ceto medio?
«È assolutamente necessario riconoscere perlomeno una riduzione di imposta per i redditi compresi fra 40.000 e 55.000 euro. Senza dimenticare le imprese: lo scorso anno, il settore privato ha registrato un forte aggravio del costo del lavoro rispetto alle retribuzioni versate ai propri lavoratori. Un differenziale che le condizioni recessive scatenate dalla crisi Covid potrebbero rendere insostenibile. Alcuni esercizi, come gli alimentari, hanno continuato a lavorare durante l'emergenza mentre tanti altri si sono fermati e ancora oggi stentano a ripartire. Lo smart working non aiuta».
Si riferisce ai danni provocati dal trasferimento del lavoro a casa?
«Interi quartieri che prima vivevano essenzialmente di turismo e business si sono svuotati. A farne le spese sono stati i bar, le tavole calde, i ristoranti oltre al settore immobiliare dei bed & breakfast. Si rischia il degrado di aree urbane che prima della pandemia erano molto vitali. Gli aiuti del governo ai settori produttivi danneggiati dal virus sono stati circoscritti all'emergenza ma siamo ancora lontani dalla normalità».
E in questa situazione di grande difficoltà è complicato per i piccoli imprenditori onorare gli impegni fiscali.
«L'Istat ha rilevato che dall'inizio del lockdown a luglio sono scomparsi 117.000 lavoratori autonomi. Il nostro Paese ha una rete molto ampia e ramificata di piccoli imprenditori. Ci sono oltre 500.000 piccoli negozi, più di 300.000 attività di ristorazione, 150.000 bar. Prima del Covid gli italiani mangiavano spesso fuori spendendo circa 80 miliardi in un anno. Il 64% degli italiani consuma, con diversa intensità, la colazione fuori casa: 5,8 milioni almeno 3 o 4 volte alla settimana, mentre per oltre 5 milioni è un rito quotidiano. Ora questa spesa è crollata. Ed è con questa realtà che i piccoli esercenti devono fare i conti».
Le brutte sorprese della riforma
Torna il taglio alle detrazioni. La riforma fiscale a cui sta lavorando il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, potrebbe contenere qualche sgradevole sorpresa. La narrazione del governo è che si abbasseranno le tasse ma siccome la coperta è corta e i soldi europei non possono essere utilizzati per ridurre la pressione fiscale, l'unica soluzione è l'autofinanziamento. Cioè quello che si toglie da una parte va recuperato dall'altra. Qualcuno sarà chiamato a pagare il conto. E la soluzione sarebbe di attingere ai 500 sconti fiscali di cui beneficiano famiglie e imprese per recuperare almeno 10 miliardi. Gualtieri intende seguire questa strada: «Con la riduzione delle tax expenditures e il contrasto all'evasione fiscale, c'è molto spazio». Più chiaro di così.
Da tempo si parla di sforbiciare le detrazioni, sono stati prodotti numerosi dossier, ma alla fine nessuno ha avuto il coraggio di avventurarsi nel labirinto dei regimi sostitutivi dell'Irpef. C'è il rischio di scontentare molti. Intanto un primo assaggio di questo sfoltimento è l'assegno unico per i figli che sostituisce 8 tra bonus e detrazioni esistenti. Ma il nodo risorse è ancora da sciogliere dal momento che mancano all'appello circa 6-7 miliardi. Saranno recuperati con la riforma fiscale.
Nel mirino ci sono pure le detrazioni e i sussidi ambientali dannosi, battaglia storica della viceministra dell'Economia Laura Castelli, che prevede riduzioni di agevolazioni al gasolio agricolo ai carburanti per aerei e navi fino al diesel. Un'operazione in linea con la politica del New green deal caldeggiato dall'Europa. Ogni centesimo di accisa in più si tradurrebbe in un aumento di gettito per lo Stato di 200 milioni di euro. Basterebbe ridurre di 5 centesimi le agevolazioni per avere 1 miliardo. Inevitabili gli aumenti del prezzo del carburante con impatto sui prodotti trasportati su gomma a cominciare dai generi alimentari ma anche per i biglietti aerei. Il premier Giuseppe Conte e il ministro dell'Agricoltura Teresa Bellanova avevano rassicurato, prima del Covid, che gli autotrasportatori e le aziende agricole non sarebbero state toccate, ma ora lo scenario è mutato. A pagare il conto salato, di sicuro, sarebbero 17milioni di automobilisti con l'aumento del carburante.
Il cuore della riforma sarà la rimodulazione delle aliquote Irpef, con una attenzione, ha promesso il governo, al ceto medio. Bisogna vedere però che cosa si intende per ceto medio. Già Romano Prodi nel 2007 fece un regalo a questa fascia di contribuenti, abolendo l'aliquota intermedia del 33% per la fascia di reddito tra 28.000 e 55.000 euro che attualmente è la più penalizzata, con un'aliquota del 38% sulla parte eccedente i 28.000 euro. L'Irpef ha ora cinque scaglioni: fino a 15.000 euro aliquota al 23%, tra 15.000 e 28.000 euro al 27%, un terzo scaglione di cui abbiamo detto, poi tra 55.000 e 75.000 con il 41% e infine il 43% oltre i 75.000 euro di reddito. Dal 1° luglio il governo ha introdotto un abbattimento del cuneo fiscale per i redditi fino a 40.000 euro, valido però solo per i lavoratori dipendenti, lasciando fuori le partite Iva.
Le ipotesi di riforma sul tavolo al momento sono due. Il Pd vorrebbe tre scaglioni oltre a una no tax area per redditi fino a 8.000 euro: il primo scaglione avrebbe un'aliquota al 27,5% per i redditi fino a 15.000 euro; il secondo al 31,5% per i redditi fino a 28.000 euro mentre con il terzo si balza al 42-43%. I 5 stelle puntano ad alzare la no tax area fino a 10.000 euro e a tutelare maggiormente i redditi superiori a 100.000 euro che avrebbero un'aliquota del 42%. Nel mezzo, si avrebbe un'aliquota al 23% per i redditi tra 10.000 e 28.000 euro e al 37% per i quelli tra 28.000 e 100.000 euro.
Nella riforma potrebbe trovare posto un'altra rottamazione fiscale, per agevolare l'attività di riscossione dell'Agenzia delle entrate, diretta da Ernesto Ruffini, paralizzata dal Covid. Cartelle esattoriali, ingiunzioni di pagamento, avvisi di accertamento, procedure esecutive e di pignoramento ora sono congelate fino al 15 ottobre 2020. A breve circa 9 milioni di lettere saranno recapitate ai contribuenti. A queste missive vanno poi aggiunte quelle relative all'ordinaria amministrazione tributaria non bloccate dai decreti del governo. Una quarta rottamazione delle cartelle esattoriali pendenti risolverebbe l'intasamento. L'idea avrebbe un consenso di massima nella maggioranza nonostante sia un condono. Il primo veicolo utile potrebbe essere il decreto fiscale collegato alla legge di bilancio 2021.
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Tutte le tasse che dovremo pagare entro il 30 settembre: un ingorgo di 257 scadenze anche se la crisi non è superata.La presidente di Confesercenti: «Oltre 90.000 imprese stanno valutando se chiudere definitivamente entro la fine dell'anno. Occorre rateizzare di più le imposte ed eliminare il meccanismo del saldo e dell'acconto».Tra le novità allo studio del ministro Roberto Gualtieri la cancellazione delle detrazioni per le famiglie, aggravi sui carburanti e aliquote che penalizzeranno il ceto medio.Lo speciale contiene tre articoli.Doveva essere una soluzione alla crisi del Covid, invece si sta trasformando in una tagliola, nel colpo di grazia per migliaia di piccoli imprenditori, commercianti, artigiani e partite Iva. La logica di posticipare gli appuntamenti con il fisco ha creato l'effetto imbuto con problemi per i pagamenti a cui si sommano quelli burocratici. Mentre si parla tanto di semplificazione e digitalizzazione, il rapporto con il fisco è ancora caotico e difficile. A settembre si affastellano 257 scadenze e per alcune procedure il contribuente deve usare i moduli di carta. Il tutto in una situazione di grande disagio economico, con i consumi che non ripartono, i debiti che si accumulano. Il governo, sordo alle richieste delle imprese che per alcune imposte chiedevano la moratoria, continua a battere cassa. La spiegazione è che i pagamenti non si possono annullare, pena il default dello Stato, ma il sacrificio è chiesto alle categorie produttive più deboli del Paese.Bisogna pagare, non c'è scampo. Dopo l'effetto imbuto che si è creato ad agosto con il posticipo delle imposte (dal 30 giugno al 20 luglio e poi al 20 agosto con maggiorazione dello 0,40%), eccoci alla vigilia delle scadenze di settembre. Per tanti piccoli imprenditori potrebbe essere il colpo di grazia. Commercianti, artigiani, partite Iva non si sono ancora ripresi dall'esborso estivo, stanno riavviando le attività tra mille problemi, e ora dovranno stringere di più la cinghia. «Solo un folle poteva pensare che nel giro di qualche mese avremmo superato la crisi, che sarebbe bastata una manciata di settimane per tornare al giro d'affari pre Covid.Ora ci troviamo a pagare le tasse arretrate e quelle nuove, tutte insieme mentre gli ordini languono, e abbiamo raschiato il fondo dei risparmi», afferma Antonio Rinaldi, partita Iva che lavora nell'informatica. «Durante l'estate sono stata costretta a tenere chiuso. Mantengo con i miei risparmi una sarta, mia collaboratrice. Non potevo metterla per strada. Alzare la saracinesca ogni giorno è una scommessa, sono scomparsi anche quelli che entravano solo per curiosare», dice quasi in lacrime Agnese Testa, una bottega di abbigliamento artigianale nel quartiere Esquilino a Roma. Due storie, come tante, simili tra loro.La pandemia globale ha scatenato un effetto a catena in campo fiscale con una sequela di rinvii, sospensioni e nuovi calendari che hanno generato l'ingorgo di luglio e agosto. Chiusa la partita delle tasse posticipate nei mesi estivi ora si apre quella di settembre, con alcune scadenze rinviate a questo mese che si sommano a quelle ordinarie, in una situazione che è tutt'altro che ordinaria. I circa 4,5 milioni di partite Iva dovranno vedersela anche con lo sciopero dei commercialisti, proclamato dal 15 al 22 settembre che rende ancora più caotica la situazione. Per settembre sono previsti 257 appuntamenti con il fisco. Inoltre, a dispetto dell'annunciata digitalizzazione per semplificare le procedure, alcune procedure vanno fatte ancora usando la carta. Sono 5: 16, 21, 25, 28 e 30 settembre. Il 16, dopodomani, è da bollino rosso.Scadono 174 adempimenti. Tra questi, i più importanti sono i saldi 2019 e gli acconti 2020 dell'Irpef per chi sta versando a rate, la quarta rata dell'addizionale regionale e comunale, la terza rata dell'addizionale Ires, la quarta rata della cedolare secca a titolo di saldo 2019 e primo acconto per il 2020; ci sono poi i versamenti Iva, Ires e Irap.A queste incombenze si aggiungono i versamenti posticipati dai decreti sull'emergenza Covid. Il 16 settembre vanno in scadenza il 50% dei versamenti Iva, ritenute d'acconto sui redditi da lavoro dipendente, contributi previdenziali e premi assicurativi che dovevano essere pagati a marzo, aprile e maggio 2020. Chi ha avuto diritto a quelle sospensioni in virtù dei decreti sull'emergenza ora deve pagare. Può versare il 50% tutto insieme o spalmando l'importo in 4 rate mensili fino al 16 dicembre. L'altro 50% va versato a partire dal 16 gennaio 2021 in massimo di 24 rate mensili fino a dicembre 2022. Di questi posticipi hanno potuto usufruire alcune categorie quali, tra le altre, le imprese turistiche, le agenzie di viaggio, le associazioni sportive, i soggetti che gestiscono le sale cinematografiche, le sale concerto, le discoteche, le ricevitorie del lotto, le attività di ristorazione, le gelaterie, come pure musei, luoghi di cultura, asili (solo per citarne alcuni) che ad aprile e maggio hanno avuto una riduzione del fatturato di almeno il 33% rispetto ai corrispondenti mesi del 2019. Sempre il 16 settembre scade la comunicazione delle liquidazioni periodiche Iva relative al secondo trimestre 2020. Il 21 settembre è l'ultimo giorno utile per regolarizzare i versamenti di imposte e ritenute non effettuati o effettuati in misura parziale entro il 20 agosto, con maggiorazione degli interessi e della sanzione ridotta a un decimo. Le imprese elettriche hanno l'obbligo di comunicare all'Agenzia delle entrate il dettaglio dei dati relativi al canone Tv addebitato, accreditato, riscosso. Le società entro il 25 settembre devono presentare gli elenchi riepilogativi (Intrastat) delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi rese ad agosto.L'ultimo giorno del mese, il 30, fa tremare i polsi. Scade il termine (è la prima volta) per trasmettere all'Agenzia delle entrate il modello 730. I contribuenti hanno l'ultima chiamata per 45 tipologie di versamenti. Inoltre vanno spedite le domande per i soggetti interessati al riparto della quota del 5 per mille. Non è finita: devono essere inviate le richieste di rimborso Iva assolta in altri stati membri dell'Unione europea.«Posticipando le scadenze il problema non si è risolto ma si è spostato in avanti, e ora i nodi vengono al pettine. Bisognava azzerare le tasse per i piccoli imprenditori, introdurre una sorta di moratoria fiscale per dare respiro e tranquillità a commercianti, artigiani e partite Iva», afferma Paolo Zabeo, coordinatore dell'ufficio studi della Cgia di Mestre. E lancia il sasso: «In questo modo, il problema della liquidità si è ingigantito in un momento in cui le microimprese sono in grande difficoltà. I numeri dicono chiaramente che i consumi delle famiglie continuano a crollare e senza commesse un'azienda boccheggia». Zabeo sottolinea il rischio che «molti non essendo nelle condizioni di pagare, possano finire nella rete degli usurai. La malavita è pronta ad approfittarsi delle situazioni di grave disagio economico. 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L'affollamento di imposte a settembre è la goccia che fa traboccare il vaso di una situazione molto difficile per le aziende. La proroga delle scadenze fiscali durante la fase di emergenza Covid era necessaria, ma già allora abbiamo avvisato il governo che non sarebbe stata sufficiente. Non si può pensare che nel giro di pochi mesi, le attività si rimettano in moto come prima del Covid». Va dritta al punto Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti, associazione che rappresenta 350.000 imprese del commercio, del turismo e dei servizi, per un'occupazione di 1 milione di addetti. Quale sarà il calo stimato di fatturato per fine anno dei piccoli e micro esercizi commerciali? «Dal nostro sondaggio è emerso un crollo di oltre il 30% per il 61% degli intervistati e tra il 10 e il 30% per il 22%. Come conseguenza, il 46% sta programmando una riduzione del personale a tempo indeterminato e con contratto a termine. Sono decisioni forzate dalla situazione difficile». Come si esce dall'impasse creata da tante tasse e crollo dei guadagni? «Innanzitutto occorre una maggiore rateizzazione delle imposte, poi andrebbe eliminato il meccanismo del saldo e dell'acconto. Su questo è d'accordo anche il presidente dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Ruffini. Le tasse devono essere commisurate a quanto un'azienda incassa. L'ingorgo fiscale non fa bene nemmeno allo Stato. Se le aziende chiudono o evadono perché non ce la fanno a far fronte alle scadenze, il danno è per tutti. Approfittiamo della riforma fiscale per introdurre quelle modifiche che la situazione ci suggerisce». Che cosa bisognerebbe inserire nella riforma fiscale? «Innanzitutto riequilibrare il peso fiscale sul ceto medio che è stato sempre più penalizzato. A luglio è scattato il provvedimento di riduzione del cuneo fiscale sui lavoratori dipendenti. A regime, si tratta di 5 miliardi che torneranno nelle buste paga. Questa misura, predisposta a partire dalla legge di bilancio 2019, risulta però insufficiente, considerando gli oltre 65 miliardi di consumi che andranno persi a causa della pandemia. Inoltre, l'intervento va a vantaggio solo di una parte della classe media, e in particolare dei 6,3 milioni di italiani con redditi tra 28.000 e 55.000 euro, che sono attualmente ipertassati dall'Irpef». Di quanto? «Pur essendo il 15,6% dei contribuenti, forniscono quasi un terzo (31,8%) del gettito totale dell'imposta, cioè 50 miliardi di euro. Subiscono un aumento dell'aliquota legale di 11 punti rispetto allo scaglione precedente. La riduzione del cuneo però interessa, e con intensità decrescente, solo i soggetti con redditi fino a 40.000 euro, lasciando così fuori dal beneficio oltre 1,8 milioni di contribuenti sottoposti a una pressione fiscale eccessiva. La riforma del fisco deve andare nella direzione di un sistema impositivo più chiaro e meno punitivo. Sono oltre 13 anni che non vengono rivisti gli scaglioni Irpef. Va superata la logica del saldo e dell'acconto e bisogna sfoltire l'accatastamento delle scadenze. Senza un alleggerimento di questa zavorra, la ripartenza della spesa delle famiglie e delle imprese rischia di essere molto difficile». Quindi in concreto in che modo andrebbe alleggerito il fisco per il ceto medio? «È assolutamente necessario riconoscere perlomeno una riduzione di imposta per i redditi compresi fra 40.000 e 55.000 euro. Senza dimenticare le imprese: lo scorso anno, il settore privato ha registrato un forte aggravio del costo del lavoro rispetto alle retribuzioni versate ai propri lavoratori. Un differenziale che le condizioni recessive scatenate dalla crisi Covid potrebbero rendere insostenibile. Alcuni esercizi, come gli alimentari, hanno continuato a lavorare durante l'emergenza mentre tanti altri si sono fermati e ancora oggi stentano a ripartire. Lo smart working non aiuta». Si riferisce ai danni provocati dal trasferimento del lavoro a casa? «Interi quartieri che prima vivevano essenzialmente di turismo e business si sono svuotati. A farne le spese sono stati i bar, le tavole calde, i ristoranti oltre al settore immobiliare dei bed & breakfast. Si rischia il degrado di aree urbane che prima della pandemia erano molto vitali. Gli aiuti del governo ai settori produttivi danneggiati dal virus sono stati circoscritti all'emergenza ma siamo ancora lontani dalla normalità». E in questa situazione di grande difficoltà è complicato per i piccoli imprenditori onorare gli impegni fiscali. «L'Istat ha rilevato che dall'inizio del lockdown a luglio sono scomparsi 117.000 lavoratori autonomi. Il nostro Paese ha una rete molto ampia e ramificata di piccoli imprenditori. Ci sono oltre 500.000 piccoli negozi, più di 300.000 attività di ristorazione, 150.000 bar. Prima del Covid gli italiani mangiavano spesso fuori spendendo circa 80 miliardi in un anno. Il 64% degli italiani consuma, con diversa intensità, la colazione fuori casa: 5,8 milioni almeno 3 o 4 volte alla settimana, mentre per oltre 5 milioni è un rito quotidiano. Ora questa spesa è crollata. Ed è con questa realtà che i piccoli esercenti devono fare i conti». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-stangata-2647625094.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="le-brutte-sorprese-della-riforma" data-post-id="2647625094" data-published-at="1600043536" data-use-pagination="False"> Le brutte sorprese della riforma Torna il taglio alle detrazioni. La riforma fiscale a cui sta lavorando il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, potrebbe contenere qualche sgradevole sorpresa. La narrazione del governo è che si abbasseranno le tasse ma siccome la coperta è corta e i soldi europei non possono essere utilizzati per ridurre la pressione fiscale, l'unica soluzione è l'autofinanziamento. Cioè quello che si toglie da una parte va recuperato dall'altra. Qualcuno sarà chiamato a pagare il conto. E la soluzione sarebbe di attingere ai 500 sconti fiscali di cui beneficiano famiglie e imprese per recuperare almeno 10 miliardi. Gualtieri intende seguire questa strada: «Con la riduzione delle tax expenditures e il contrasto all'evasione fiscale, c'è molto spazio». Più chiaro di così. Da tempo si parla di sforbiciare le detrazioni, sono stati prodotti numerosi dossier, ma alla fine nessuno ha avuto il coraggio di avventurarsi nel labirinto dei regimi sostitutivi dell'Irpef. C'è il rischio di scontentare molti. Intanto un primo assaggio di questo sfoltimento è l'assegno unico per i figli che sostituisce 8 tra bonus e detrazioni esistenti. Ma il nodo risorse è ancora da sciogliere dal momento che mancano all'appello circa 6-7 miliardi. Saranno recuperati con la riforma fiscale. Nel mirino ci sono pure le detrazioni e i sussidi ambientali dannosi, battaglia storica della viceministra dell'Economia Laura Castelli, che prevede riduzioni di agevolazioni al gasolio agricolo ai carburanti per aerei e navi fino al diesel. Un'operazione in linea con la politica del New green deal caldeggiato dall'Europa. Ogni centesimo di accisa in più si tradurrebbe in un aumento di gettito per lo Stato di 200 milioni di euro. Basterebbe ridurre di 5 centesimi le agevolazioni per avere 1 miliardo. Inevitabili gli aumenti del prezzo del carburante con impatto sui prodotti trasportati su gomma a cominciare dai generi alimentari ma anche per i biglietti aerei. Il premier Giuseppe Conte e il ministro dell'Agricoltura Teresa Bellanova avevano rassicurato, prima del Covid, che gli autotrasportatori e le aziende agricole non sarebbero state toccate, ma ora lo scenario è mutato. A pagare il conto salato, di sicuro, sarebbero 17milioni di automobilisti con l'aumento del carburante. Il cuore della riforma sarà la rimodulazione delle aliquote Irpef, con una attenzione, ha promesso il governo, al ceto medio. Bisogna vedere però che cosa si intende per ceto medio. Già Romano Prodi nel 2007 fece un regalo a questa fascia di contribuenti, abolendo l'aliquota intermedia del 33% per la fascia di reddito tra 28.000 e 55.000 euro che attualmente è la più penalizzata, con un'aliquota del 38% sulla parte eccedente i 28.000 euro. L'Irpef ha ora cinque scaglioni: fino a 15.000 euro aliquota al 23%, tra 15.000 e 28.000 euro al 27%, un terzo scaglione di cui abbiamo detto, poi tra 55.000 e 75.000 con il 41% e infine il 43% oltre i 75.000 euro di reddito. Dal 1° luglio il governo ha introdotto un abbattimento del cuneo fiscale per i redditi fino a 40.000 euro, valido però solo per i lavoratori dipendenti, lasciando fuori le partite Iva. Le ipotesi di riforma sul tavolo al momento sono due. Il Pd vorrebbe tre scaglioni oltre a una no tax area per redditi fino a 8.000 euro: il primo scaglione avrebbe un'aliquota al 27,5% per i redditi fino a 15.000 euro; il secondo al 31,5% per i redditi fino a 28.000 euro mentre con il terzo si balza al 42-43%. I 5 stelle puntano ad alzare la no tax area fino a 10.000 euro e a tutelare maggiormente i redditi superiori a 100.000 euro che avrebbero un'aliquota del 42%. Nel mezzo, si avrebbe un'aliquota al 23% per i redditi tra 10.000 e 28.000 euro e al 37% per i quelli tra 28.000 e 100.000 euro. Nella riforma potrebbe trovare posto un'altra rottamazione fiscale, per agevolare l'attività di riscossione dell'Agenzia delle entrate, diretta da Ernesto Ruffini, paralizzata dal Covid. Cartelle esattoriali, ingiunzioni di pagamento, avvisi di accertamento, procedure esecutive e di pignoramento ora sono congelate fino al 15 ottobre 2020. A breve circa 9 milioni di lettere saranno recapitate ai contribuenti. A queste missive vanno poi aggiunte quelle relative all'ordinaria amministrazione tributaria non bloccate dai decreti del governo. Una quarta rottamazione delle cartelle esattoriali pendenti risolverebbe l'intasamento. L'idea avrebbe un consenso di massima nella maggioranza nonostante sia un condono. Il primo veicolo utile potrebbe essere il decreto fiscale collegato alla legge di bilancio 2021.
Kennedy Jr (Ansa)
D’ora in avanti, le donne che risultano negative al test per l’epatite B potranno decidere, consultando il proprio medico, se vaccinare o no alla nascita il proprio bambino. I membri che hanno votato a favore delle nuove raccomandazioni hanno sostenuto che il rischio di contrarre il virus è basso, e che i vaccini dovrebbero essere personalizzati.
Il gruppo di lavoro dell’Acip, rinnovato dallo scorso giugno dal segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. ha suggerito di attendere almeno i 2 mesi di età per la prima dose. La vaccinazione continuerà a essere somministrata ai neonati di madri che risultano positive, o il cui stato di salute è sconosciuto. Il direttore facente funzioni dei Cdc, Jim O’Neill, ora dovrà decidere se adottare o meno queste raccomandazioni.
La commissione ha inoltre votato a favore della consultazione dei genitori con gli operatori sanitari, per sottoporre i figli a test sulla ricerca degli anticorpi contro l’epatite B prima di decidere se sia necessario somministrare altre dosi del vaccino. Attualmente, dopo la prima i bambini ricevono la seconda a 1-2 mesi di età e la terza tra i 6 e i 18 mesi.
Kennedy ha già limitato l’accesso ai vaccini contro il Covid-19 e raccomandato che i neonati vengano vaccinati separatamente contro la varicella. Susan Kressly, presidente dell’American academy of pediatrics, ha affermato che il cambiamento apportato dall’Acip renderà i bambini americani meno sicuri. «Esorto i genitori a parlare con il pediatra e a vaccinarsi contro l’epatite B alla nascita, indipendentemente dallo stato di salute della madre», è stato il suo appello.
Il presidente Donald Trump, invece, ha commentato soddisfatto l’esito della votazione. Con un post su Truth, venerdì sera aveva definito «un’ottima decisione porre fine alla raccomandazione sul vaccino contro l’epatite B per i neonati, la stragrande maggioranza dei quali non corre alcun rischio di contrarre una malattia che si trasmette principalmente per via sessuale o tramite aghi infetti. Il calendario vaccinale infantile americano richiedeva da tempo 72 “iniezioni” per bambini perfettamente sani, molto più di qualsiasi altro Paese al mondo e molto più del necessario. In effetti, è ridicolo! Molti genitori e scienziati hanno messo in dubbio, così come me, l’efficacia di questo “programma”».
Trump ha poi annunciato di avere appena firmato «un memorandum presidenziale che ordina al dipartimento della Salute e dei Servizi Umani di “accelerare” una valutazione completa dei calendari vaccinali di altri Paesi del mondo e di allineare meglio quello statunitense, in modo che sia finalmente radicato nel Gold Standard della scienza e del buon senso», ha concluso il presidente.
Prima del voto, questa settimana dodici ex dirigenti della Fda avevano contestato sul The New England journal of medicine la proposta di revisione delle approvazioni dei vaccini da parte dell’agenzia, sostenendo che i cambiamenti minacciano gli standard basati sulle prove, indeboliscono le pratiche di immunobridging (strategia scientifica e normativa che confronta i marcatori della risposta immunitaria indotti da un vaccino in diverse situazioni per stimare l’efficacia del vaccino) e rischiano di erodere la fiducia del pubblico.
A proposito della nota interna di Vinay Prasad, direttore della divisione vaccini della Food and drug administration (Fda), che dieci giorni ha sostenuto che «non meno di 10» dei 96 decessi infantili segnalati tra il 2021 e il 2024 al Vaers, il sistema federale di segnalazione degli eventi avversi da vaccino, erano «correlati» alle somministrazioni di dosi contro il Covid, i dodici si affannano a criticarla. «Prove sostanziali dimostrano che la vaccinazione può ridurre il rischio di malattie gravi e di ospedalizzazione in molti bambini e adolescenti», dichiarano. Dati che non risultano confermati da nessuno studio o revisione paritaria.
Sul continuo attacco alle scelte operate nel campo delle vaccinazioni dalla nuova amministrazione americana interviene il professor Francesco Cetta, ordinario di Chirurgia e docente di Intelligenza artificiale umanizzata presso lo Iassp (Istituto di alti studi strategici e politici). «Trump non è contro la scienza, come urla ad alta voce la sinistra nostrana», commenta. «Al contrario, pragmaticamente, per i problemi che non conosce, ha insediato nuove commissioni indipendenti di esperti, in grado di acclarare in tempi brevi, per quanto possibile, la verità su due argomenti particolarmente sensibili come le vaccinazioni e gli effetti dei cambiamenti climatici. E su che cosa si può fare in concreto per controllarli. Con quali costi e benefici per la comunità».
Il professore aggiunge: «Bisogna evitare le terapie a tappeto, indistintamente uguali per tutti, ma adattare ad ogni malato il suo trattamento come un “abito su misura”. In particolare, per alcune categorie come i bambini e le donne in gravidanza, bisogna valutare con attenzione vantaggi e svantaggi della somministrazione di ogni farmaco, incluso i vaccini, che determinano una perturbazione delle difese immunitarie individuali».
Considerazioni che dovrebbero essere fatte anche dal nostro ministero della Salute e dalle varie associazioni mediche che non ammettono revisioni dei metodi vaccinali.
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Giorgia Meloni (Imagoeconomica)
L’attuale governo sta mostrando la consapevolezza di dover sostenere, con una politica estera molto attiva sul piano globale, il modello economico italiano basato sull’export che è messo a rischio - gestibile, ma comunque problematico per parecchi settori sul piano dei margini finanziari - dai dazi statunitensi, dalla crisi autoinflitta per irrealismo ambientalista ed eccessi burocratici dell’Ue, dai costi eccessivi dell’energia e, in generale, dal cambio di mondo in atto senza dimenticare la crisi demografica. Vedremo dopo le soluzioni interne, ma qui va sottolineato che l’Italia non può trasformare il proprio modello economico dipendente dall’export senza perdere ricchezza. La consapevolezza di questo punto è provata dalla riforma del ministero degli Esteri: accanto alla Direzione politica, verrà creata nel prossimo gennaio una Direzione economica con la missione di sostenere l’internazionalizzazione e l’export delle imprese italiane in tutto il mondo. Non è una novità totale, ma mostra una concentrazione di risorse e capacità geoeconomiche e geopolitiche finalmente adeguate alla missione di un’Italia globale, per inciso titolo del mio libro pubblicato nell’autunno 2023 (Rubbettino editore). Con quale meccanismo di moltiplicazione del potere negoziale italiano? Tradizionalmente, via la duplice convergenza con Ue e Stati Uniti pur sempre più complicata, ma con più autonomia per siglare partenariati bilaterali strategici di cooperazione economica-industriale (i trattati doganali sono competenza dell’Ue, condizione necessaria per un mercato unico europeo essenziale per l’Italia) a livello mondiale.
E con un metodo al momento solo italiano: partenariati bilaterali con reciproco vantaggio, cioè non asimmetrici. Con priorità l’Africa (al momento, 14 nazioni) ed il progetto di «Via del cotone» (Imec) tra Indo-Pacifico, Mediterraneo ed Atlantico settentrionale via penisola arabica. La nuova (in realtà vecchia perché elaborata dal Partito repubblicano nel 2000) dottrina di sicurezza nazionale statunitense è di ostacolo ad un Italia globale? No, perché, pur essendo divergente con l’Ue, non lo è con le singole nazioni europee, con qualche eccezione. Soprattutto, le chiama a un maggiore attivismo per la loro sicurezza, lasciando di fatto in cambio spazio geopolitico. Come potrà Roma usarlo? Aumentando i suoi bilaterali strategici e approfondendoli con Giappone, India, nazioni arabe sunnite, Asia centrale (rilevante l’accordo con la Mongolia se riuscisse) ecc. Quale nuovo sforzo? Necessariamente integrare una politica mercantilista con i requisiti di schieramento geopolitico. E con un riarmo non solo concentrato contro la minaccia russa, ma mirato a novità tecnologiche utili per scambiare strumenti di sicurezza con partner compatibili. Ovviamente è oggetto di studio, ma l’Italia ha il potenziale per farlo via progetti condivisi con America, europei e giapponesi nonché capacità proprie. Considerazione che ci porta a valutare la modernizzazione interna dell’Italia perché c’è una relazione stretta tra potenziale esterno e interno.
Obiettivi interni
La priorità è ridurre il costo del debito pubblico per aumentare lo spazio di bilancio utile per investimenti e detassazione stimolativi. Ciò implica la sostituzione del Pnrr, che finirà nel 2026, con un programma nazionale stimolativo (non condizionato dall’esterno) di dedebitazione: valorizzare e cedere dai 250 a 150 miliardi di patrimonio statale disponibile, forse di più (sui 600-700 teorici) in 15 anni. Se ben strutturata, tale operazione «patrimonio pubblico contro debito» potrà dare benefici anticipativi via aumento del voto di affidabilità del debito italiano riducendone il costo di servizio che oggi è di 80-90 miliardi anno. Già tale costo è stato un po’ ridotto dal giusto rigore della politica di bilancio per il 2026. Con il nuovo programma qui ipotizzato, da avviare nel 2027 per sua complessità, lo sarà molto di più dando all’Italia più risorse per spesa sociale, di investimenti competitivi e minori tasse.
Stimo dai 10 ai 18 miliardi anno di risparmio sul costo del debito e un aumento di investimenti esteri in Italia perché con voto di affidabilità (rating) crescente. Senza tale programma, l’Italia sarebbe condizionabile dalla concorrenza intraeuropea e senza i soldi sufficienti per la politica globale detta sopra. Ci sono tante altre priorità tecniche sia per invertire più decisamente il lento declino economico dell’Italia, causato da governi di sinistra e/o dissipativi, sia per rendere più globalmente competitiva l’economia italiana. Ma sono fattibili via un nuovo clima di cultura politica che crei fiducia ed ottimismo sul potenziale globale dell’Italia. Come? Più ordine interno, investimenti sulla qualificazione cognitiva di massa, sulla rivoluzione tecnologica, in sintesi su un’Italia futurizzante. L’obiettivo è attrarre più capitale e competenze dall’estero, comunicando credibilmente al mondo che l’Italia è terra di libertà, sicurezza, opportunità e progresso. Non può farlo solo la politica, ma ci vuole il contributo dei privati entro un concetto di «nazione attiva», aperta al mondo e non chiusa. Ritroviamo il vento, gli oceani.
www.carlopelanda.com
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Lando Norris (Getty Images)
Nell’ultimo GP stagionale di Abu Dhabi, Lando Norris si laurea campione del mondo per la prima volta grazie al terzo posto sul circuito di Yas Marina. Nonostante la vittoria in gara, Max Verstappen non riesce a difendere il titolo, interrompendo il suo ciclo di quattro mondiali consecutivi.
Lando Norris è campione del mondo. Dopo quattro anni di dominio incontrastato di Max Verstappen, il pilota britannico centra il titolo iridato al termine di una stagione in cui ha saputo coniugare costanza, precisione e lucidità nei momenti decisivi. La vittoria ad Abu Dhabi, conquistata con una gara solida e senza errori, suggella un percorso iniziato con un Mondiale che sembrava già scritto a favore dell’olandese.
La stagione ha visto Norris prendere il comando delle operazioni già nelle prime gare, approfittando di alcuni passaggi a vuoto di Verstappen e di una gestione impeccabile del suo team. Il britannico ha messo in mostra una costanza rara, evitando rischi inutili e capitalizzando ogni occasione: punti preziosi accumulati gara dopo gara che hanno costruito un vantaggio psicologico e tecnico difficile da colmare per chiunque, ma non per Verstappen, che nelle ultime gare ha tentato il tutto per tutto per costruirsi una chance di rimonta. Una rimonta sfumata per appena due punti, visto che il pilota della McLaren ha chiuso il Mondiale a quota 423 punti, davanti ai 421 del rivale della RedBull e che se avessero chiuso a pari punti il titolo sarebbe andato a Verstappen in virtù del numero di gran premi vinti in stagione: otto contro i sette di Norris. Inevitabile per l'olandese non pensare alla gara della scorsa settimana in Qatar, dove Norris ha recuperato proprio due punti sfruttando un errore di Kimi Antonelli all'inizio dell'ultimo giro.
La gara di Abu Dhabi ha rappresentato la sintesi perfetta della stagione di Norris: partenza accorta, gestione dei pit stop e mantenimento della concentrazione fino alla bandiera a scacchi. L’olandese, pur vincendo la corsa, non è riuscito a recuperare il distacco, confermando che i quattro anni di dominio sono stati interrotti da un talento giovane e capace di gestire la pressione del momento clou.
Alle spalle dei due contendenti, la stagione è stata amara per Ferrari e altri protagonisti attesi al vertice. Charles Leclerc e Lewis Hamilton non hanno mai realmente impensierito i leader della classifica, incapaci di inserirsi nella lotta per il titolo o di ottenere risultati significativi in gran parte del campionato. Una conferma, se ce ne fosse bisogno, delle difficoltà del Cavallino Rosso nel trovare una combinazione di macchina e strategia competitiva.
Il Mondiale 2025 si chiude quindi con un volto nuovo sul gradino più alto del podio e con alcune conferme sullo stato della Formula 1: Norris dimostra che la gestione mentale, l’attenzione ai dettagli e la capacità di evitare errori critici contano quanto la velocità pura. Verstappen, pur da vincitore di tante gare, dovrà riflettere sulle occasioni perdute, mentre la Ferrari è chiamata a ripensare, ancora una volta, strategie e sviluppo per la stagione successiva.
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