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2020-09-14
Nonostante la crisi del Covid in arrivo 257 scadenze fiscali
Doveva essere una soluzione alla crisi del Covid, invece si sta trasformando in una tagliola, nel colpo di grazia per migliaia di piccoli imprenditori, commercianti, artigiani e partite Iva. La logica di posticipare gli appuntamenti con il fisco ha creato l'effetto imbuto con problemi per i pagamenti a cui si sommano quelli burocratici. Mentre si parla tanto di semplificazione e digitalizzazione, il rapporto con il fisco è ancora caotico e difficile. A settembre si affastellano 257 scadenze e per alcune procedure il contribuente deve usare i moduli di carta. Il tutto in una situazione di grande disagio economico, con i consumi che non ripartono, i debiti che si accumulano. Il governo, sordo alle richieste delle imprese che per alcune imposte chiedevano la moratoria, continua a battere cassa. La spiegazione è che i pagamenti non si possono annullare, pena il default dello Stato, ma il sacrificio è chiesto alle categorie produttive più deboli del Paese.
Bisogna pagare, non c'è scampo. Dopo l'effetto imbuto che si è creato ad agosto con il posticipo delle imposte (dal 30 giugno al 20 luglio e poi al 20 agosto con maggiorazione dello 0,40%), eccoci alla vigilia delle scadenze di settembre. Per tanti piccoli imprenditori potrebbe essere il colpo di grazia. Commercianti, artigiani, partite Iva non si sono ancora ripresi dall'esborso estivo, stanno riavviando le attività tra mille problemi, e ora dovranno stringere di più la cinghia. «Solo un folle poteva pensare che nel giro di qualche mese avremmo superato la crisi, che sarebbe bastata una manciata di settimane per tornare al giro d'affari pre Covid.
Ora ci troviamo a pagare le tasse arretrate e quelle nuove, tutte insieme mentre gli ordini languono, e abbiamo raschiato il fondo dei risparmi», afferma Antonio Rinaldi, partita Iva che lavora nell'informatica. «Durante l'estate sono stata costretta a tenere chiuso. Mantengo con i miei risparmi una sarta, mia collaboratrice. Non potevo metterla per strada. Alzare la saracinesca ogni giorno è una scommessa, sono scomparsi anche quelli che entravano solo per curiosare», dice quasi in lacrime Agnese Testa, una bottega di abbigliamento artigianale nel quartiere Esquilino a Roma. Due storie, come tante, simili tra loro.
La pandemia globale ha scatenato un effetto a catena in campo fiscale con una sequela di rinvii, sospensioni e nuovi calendari che hanno generato l'ingorgo di luglio e agosto. Chiusa la partita delle tasse posticipate nei mesi estivi ora si apre quella di settembre, con alcune scadenze rinviate a questo mese che si sommano a quelle ordinarie, in una situazione che è tutt'altro che ordinaria. I circa 4,5 milioni di partite Iva dovranno vedersela anche con lo sciopero dei commercialisti, proclamato dal 15 al 22 settembre che rende ancora più caotica la situazione. Per settembre sono previsti 257 appuntamenti con il fisco. Inoltre, a dispetto dell'annunciata digitalizzazione per semplificare le procedure, alcune procedure vanno fatte ancora usando la carta. Sono 5: 16, 21, 25, 28 e 30 settembre. Il 16, dopodomani, è da bollino rosso.
Scadono 174 adempimenti. Tra questi, i più importanti sono i saldi 2019 e gli acconti 2020 dell'Irpef per chi sta versando a rate, la quarta rata dell'addizionale regionale e comunale, la terza rata dell'addizionale Ires, la quarta rata della cedolare secca a titolo di saldo 2019 e primo acconto per il 2020; ci sono poi i versamenti Iva, Ires e Irap.
A queste incombenze si aggiungono i versamenti posticipati dai decreti sull'emergenza Covid. Il 16 settembre vanno in scadenza il 50% dei versamenti Iva, ritenute d'acconto sui redditi da lavoro dipendente, contributi previdenziali e premi assicurativi che dovevano essere pagati a marzo, aprile e maggio 2020. Chi ha avuto diritto a quelle sospensioni in virtù dei decreti sull'emergenza ora deve pagare. Può versare il 50% tutto insieme o spalmando l'importo in 4 rate mensili fino al 16 dicembre. L'altro 50% va versato a partire dal 16 gennaio 2021 in massimo di 24 rate mensili fino a dicembre 2022. Di questi posticipi hanno potuto usufruire alcune categorie quali, tra le altre, le imprese turistiche, le agenzie di viaggio, le associazioni sportive, i soggetti che gestiscono le sale cinematografiche, le sale concerto, le discoteche, le ricevitorie del lotto, le attività di ristorazione, le gelaterie, come pure musei, luoghi di cultura, asili (solo per citarne alcuni) che ad aprile e maggio hanno avuto una riduzione del fatturato di almeno il 33% rispetto ai corrispondenti mesi del 2019. Sempre il 16 settembre scade la comunicazione delle liquidazioni periodiche Iva relative al secondo trimestre 2020.
Il 21 settembre è l'ultimo giorno utile per regolarizzare i versamenti di imposte e ritenute non effettuati o effettuati in misura parziale entro il 20 agosto, con maggiorazione degli interessi e della sanzione ridotta a un decimo. Le imprese elettriche hanno l'obbligo di comunicare all'Agenzia delle entrate il dettaglio dei dati relativi al canone Tv addebitato, accreditato, riscosso. Le società entro il 25 settembre devono presentare gli elenchi riepilogativi (Intrastat) delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi rese ad agosto.
L'ultimo giorno del mese, il 30, fa tremare i polsi. Scade il termine (è la prima volta) per trasmettere all'Agenzia delle entrate il modello 730. I contribuenti hanno l'ultima chiamata per 45 tipologie di versamenti. Inoltre vanno spedite le domande per i soggetti interessati al riparto della quota del 5 per mille. Non è finita: devono essere inviate le richieste di rimborso Iva assolta in altri stati membri dell'Unione europea.
«Posticipando le scadenze il problema non si è risolto ma si è spostato in avanti, e ora i nodi vengono al pettine. Bisognava azzerare le tasse per i piccoli imprenditori, introdurre una sorta di moratoria fiscale per dare respiro e tranquillità a commercianti, artigiani e partite Iva», afferma Paolo Zabeo, coordinatore dell'ufficio studi della Cgia di Mestre. E lancia il sasso: «In questo modo, il problema della liquidità si è ingigantito in un momento in cui le microimprese sono in grande difficoltà. I numeri dicono chiaramente che i consumi delle famiglie continuano a crollare e senza commesse un'azienda boccheggia». Zabeo sottolinea il rischio che «molti non essendo nelle condizioni di pagare, possano finire nella rete degli usurai. La malavita è pronta ad approfittarsi delle situazioni di grave disagio economico. Non mi stupirei se tra qualche mese si riproponessero anche casi di suicidio di imprenditori strangolati dagli strozzini e senza più lavoro».
«Una mazzata per molte aziende. Il 40% costrette ai licenziamenti»
«Servirebbe un abbonamento fiscale in modo da scavalcare l'anno per alcune scadenze e stabilire una dilazione più ampia dei pagamenti. Da un nostro sondaggio condotto su un campione di micro, piccole e medie imprese del turismo, del commercio e dei pubblici esercizi, è emerso che oltre 90.000 imprese stanno valutando la chiusura definitiva entro l'anno e oltre il 40% ha intenzione di ridurre il personale. L'affollamento di imposte a settembre è la goccia che fa traboccare il vaso di una situazione molto difficile per le aziende. La proroga delle scadenze fiscali durante la fase di emergenza Covid era necessaria, ma già allora abbiamo avvisato il governo che non sarebbe stata sufficiente. Non si può pensare che nel giro di pochi mesi, le attività si rimettano in moto come prima del Covid». Va dritta al punto Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti, associazione che rappresenta 350.000 imprese del commercio, del turismo e dei servizi, per un'occupazione di 1 milione di addetti.
Quale sarà il calo stimato di fatturato per fine anno dei piccoli e micro esercizi commerciali?
«Dal nostro sondaggio è emerso un crollo di oltre il 30% per il 61% degli intervistati e tra il 10 e il 30% per il 22%. Come conseguenza, il 46% sta programmando una riduzione del personale a tempo indeterminato e con contratto a termine. Sono decisioni forzate dalla situazione difficile».
Come si esce dall'impasse creata da tante tasse e crollo dei guadagni?
«Innanzitutto occorre una maggiore rateizzazione delle imposte, poi andrebbe eliminato il meccanismo del saldo e dell'acconto. Su questo è d'accordo anche il presidente dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Ruffini. Le tasse devono essere commisurate a quanto un'azienda incassa. L'ingorgo fiscale non fa bene nemmeno allo Stato. Se le aziende chiudono o evadono perché non ce la fanno a far fronte alle scadenze, il danno è per tutti. Approfittiamo della riforma fiscale per introdurre quelle modifiche che la situazione ci suggerisce».
Che cosa bisognerebbe inserire nella riforma fiscale?
«Innanzitutto riequilibrare il peso fiscale sul ceto medio che è stato sempre più penalizzato. A luglio è scattato il provvedimento di riduzione del cuneo fiscale sui lavoratori dipendenti. A regime, si tratta di 5 miliardi che torneranno nelle buste paga. Questa misura, predisposta a partire dalla legge di bilancio 2019, risulta però insufficiente, considerando gli oltre 65 miliardi di consumi che andranno persi a causa della pandemia. Inoltre, l'intervento va a vantaggio solo di una parte della classe media, e in particolare dei 6,3 milioni di italiani con redditi tra 28.000 e 55.000 euro, che sono attualmente ipertassati dall'Irpef».
Di quanto?
«Pur essendo il 15,6% dei contribuenti, forniscono quasi un terzo (31,8%) del gettito totale dell'imposta, cioè 50 miliardi di euro. Subiscono un aumento dell'aliquota legale di 11 punti rispetto allo scaglione precedente. La riduzione del cuneo però interessa, e con intensità decrescente, solo i soggetti con redditi fino a 40.000 euro, lasciando così fuori dal beneficio oltre 1,8 milioni di contribuenti sottoposti a una pressione fiscale eccessiva. La riforma del fisco deve andare nella direzione di un sistema impositivo più chiaro e meno punitivo. Sono oltre 13 anni che non vengono rivisti gli scaglioni Irpef. Va superata la logica del saldo e dell'acconto e bisogna sfoltire l'accatastamento delle scadenze. Senza un alleggerimento di questa zavorra, la ripartenza della spesa delle famiglie e delle imprese rischia di essere molto difficile».
Quindi in concreto in che modo andrebbe alleggerito il fisco per il ceto medio?
«È assolutamente necessario riconoscere perlomeno una riduzione di imposta per i redditi compresi fra 40.000 e 55.000 euro. Senza dimenticare le imprese: lo scorso anno, il settore privato ha registrato un forte aggravio del costo del lavoro rispetto alle retribuzioni versate ai propri lavoratori. Un differenziale che le condizioni recessive scatenate dalla crisi Covid potrebbero rendere insostenibile. Alcuni esercizi, come gli alimentari, hanno continuato a lavorare durante l'emergenza mentre tanti altri si sono fermati e ancora oggi stentano a ripartire. Lo smart working non aiuta».
Si riferisce ai danni provocati dal trasferimento del lavoro a casa?
«Interi quartieri che prima vivevano essenzialmente di turismo e business si sono svuotati. A farne le spese sono stati i bar, le tavole calde, i ristoranti oltre al settore immobiliare dei bed & breakfast. Si rischia il degrado di aree urbane che prima della pandemia erano molto vitali. Gli aiuti del governo ai settori produttivi danneggiati dal virus sono stati circoscritti all'emergenza ma siamo ancora lontani dalla normalità».
E in questa situazione di grande difficoltà è complicato per i piccoli imprenditori onorare gli impegni fiscali.
«L'Istat ha rilevato che dall'inizio del lockdown a luglio sono scomparsi 117.000 lavoratori autonomi. Il nostro Paese ha una rete molto ampia e ramificata di piccoli imprenditori. Ci sono oltre 500.000 piccoli negozi, più di 300.000 attività di ristorazione, 150.000 bar. Prima del Covid gli italiani mangiavano spesso fuori spendendo circa 80 miliardi in un anno. Il 64% degli italiani consuma, con diversa intensità, la colazione fuori casa: 5,8 milioni almeno 3 o 4 volte alla settimana, mentre per oltre 5 milioni è un rito quotidiano. Ora questa spesa è crollata. Ed è con questa realtà che i piccoli esercenti devono fare i conti».
Le brutte sorprese della riforma
Torna il taglio alle detrazioni. La riforma fiscale a cui sta lavorando il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, potrebbe contenere qualche sgradevole sorpresa. La narrazione del governo è che si abbasseranno le tasse ma siccome la coperta è corta e i soldi europei non possono essere utilizzati per ridurre la pressione fiscale, l'unica soluzione è l'autofinanziamento. Cioè quello che si toglie da una parte va recuperato dall'altra. Qualcuno sarà chiamato a pagare il conto. E la soluzione sarebbe di attingere ai 500 sconti fiscali di cui beneficiano famiglie e imprese per recuperare almeno 10 miliardi. Gualtieri intende seguire questa strada: «Con la riduzione delle tax expenditures e il contrasto all'evasione fiscale, c'è molto spazio». Più chiaro di così.
Da tempo si parla di sforbiciare le detrazioni, sono stati prodotti numerosi dossier, ma alla fine nessuno ha avuto il coraggio di avventurarsi nel labirinto dei regimi sostitutivi dell'Irpef. C'è il rischio di scontentare molti. Intanto un primo assaggio di questo sfoltimento è l'assegno unico per i figli che sostituisce 8 tra bonus e detrazioni esistenti. Ma il nodo risorse è ancora da sciogliere dal momento che mancano all'appello circa 6-7 miliardi. Saranno recuperati con la riforma fiscale.
Nel mirino ci sono pure le detrazioni e i sussidi ambientali dannosi, battaglia storica della viceministra dell'Economia Laura Castelli, che prevede riduzioni di agevolazioni al gasolio agricolo ai carburanti per aerei e navi fino al diesel. Un'operazione in linea con la politica del New green deal caldeggiato dall'Europa. Ogni centesimo di accisa in più si tradurrebbe in un aumento di gettito per lo Stato di 200 milioni di euro. Basterebbe ridurre di 5 centesimi le agevolazioni per avere 1 miliardo. Inevitabili gli aumenti del prezzo del carburante con impatto sui prodotti trasportati su gomma a cominciare dai generi alimentari ma anche per i biglietti aerei. Il premier Giuseppe Conte e il ministro dell'Agricoltura Teresa Bellanova avevano rassicurato, prima del Covid, che gli autotrasportatori e le aziende agricole non sarebbero state toccate, ma ora lo scenario è mutato. A pagare il conto salato, di sicuro, sarebbero 17milioni di automobilisti con l'aumento del carburante.
Il cuore della riforma sarà la rimodulazione delle aliquote Irpef, con una attenzione, ha promesso il governo, al ceto medio. Bisogna vedere però che cosa si intende per ceto medio. Già Romano Prodi nel 2007 fece un regalo a questa fascia di contribuenti, abolendo l'aliquota intermedia del 33% per la fascia di reddito tra 28.000 e 55.000 euro che attualmente è la più penalizzata, con un'aliquota del 38% sulla parte eccedente i 28.000 euro. L'Irpef ha ora cinque scaglioni: fino a 15.000 euro aliquota al 23%, tra 15.000 e 28.000 euro al 27%, un terzo scaglione di cui abbiamo detto, poi tra 55.000 e 75.000 con il 41% e infine il 43% oltre i 75.000 euro di reddito. Dal 1° luglio il governo ha introdotto un abbattimento del cuneo fiscale per i redditi fino a 40.000 euro, valido però solo per i lavoratori dipendenti, lasciando fuori le partite Iva.
Le ipotesi di riforma sul tavolo al momento sono due. Il Pd vorrebbe tre scaglioni oltre a una no tax area per redditi fino a 8.000 euro: il primo scaglione avrebbe un'aliquota al 27,5% per i redditi fino a 15.000 euro; il secondo al 31,5% per i redditi fino a 28.000 euro mentre con il terzo si balza al 42-43%. I 5 stelle puntano ad alzare la no tax area fino a 10.000 euro e a tutelare maggiormente i redditi superiori a 100.000 euro che avrebbero un'aliquota del 42%. Nel mezzo, si avrebbe un'aliquota al 23% per i redditi tra 10.000 e 28.000 euro e al 37% per i quelli tra 28.000 e 100.000 euro.
Nella riforma potrebbe trovare posto un'altra rottamazione fiscale, per agevolare l'attività di riscossione dell'Agenzia delle entrate, diretta da Ernesto Ruffini, paralizzata dal Covid. Cartelle esattoriali, ingiunzioni di pagamento, avvisi di accertamento, procedure esecutive e di pignoramento ora sono congelate fino al 15 ottobre 2020. A breve circa 9 milioni di lettere saranno recapitate ai contribuenti. A queste missive vanno poi aggiunte quelle relative all'ordinaria amministrazione tributaria non bloccate dai decreti del governo. Una quarta rottamazione delle cartelle esattoriali pendenti risolverebbe l'intasamento. L'idea avrebbe un consenso di massima nella maggioranza nonostante sia un condono. Il primo veicolo utile potrebbe essere il decreto fiscale collegato alla legge di bilancio 2021.
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Tutte le tasse che dovremo pagare entro il 30 settembre: un ingorgo di 257 scadenze anche se la crisi non è superata.La presidente di Confesercenti: «Oltre 90.000 imprese stanno valutando se chiudere definitivamente entro la fine dell'anno. Occorre rateizzare di più le imposte ed eliminare il meccanismo del saldo e dell'acconto».Tra le novità allo studio del ministro Roberto Gualtieri la cancellazione delle detrazioni per le famiglie, aggravi sui carburanti e aliquote che penalizzeranno il ceto medio.Lo speciale contiene tre articoli.Doveva essere una soluzione alla crisi del Covid, invece si sta trasformando in una tagliola, nel colpo di grazia per migliaia di piccoli imprenditori, commercianti, artigiani e partite Iva. La logica di posticipare gli appuntamenti con il fisco ha creato l'effetto imbuto con problemi per i pagamenti a cui si sommano quelli burocratici. Mentre si parla tanto di semplificazione e digitalizzazione, il rapporto con il fisco è ancora caotico e difficile. A settembre si affastellano 257 scadenze e per alcune procedure il contribuente deve usare i moduli di carta. Il tutto in una situazione di grande disagio economico, con i consumi che non ripartono, i debiti che si accumulano. Il governo, sordo alle richieste delle imprese che per alcune imposte chiedevano la moratoria, continua a battere cassa. La spiegazione è che i pagamenti non si possono annullare, pena il default dello Stato, ma il sacrificio è chiesto alle categorie produttive più deboli del Paese.Bisogna pagare, non c'è scampo. Dopo l'effetto imbuto che si è creato ad agosto con il posticipo delle imposte (dal 30 giugno al 20 luglio e poi al 20 agosto con maggiorazione dello 0,40%), eccoci alla vigilia delle scadenze di settembre. Per tanti piccoli imprenditori potrebbe essere il colpo di grazia. Commercianti, artigiani, partite Iva non si sono ancora ripresi dall'esborso estivo, stanno riavviando le attività tra mille problemi, e ora dovranno stringere di più la cinghia. «Solo un folle poteva pensare che nel giro di qualche mese avremmo superato la crisi, che sarebbe bastata una manciata di settimane per tornare al giro d'affari pre Covid.Ora ci troviamo a pagare le tasse arretrate e quelle nuove, tutte insieme mentre gli ordini languono, e abbiamo raschiato il fondo dei risparmi», afferma Antonio Rinaldi, partita Iva che lavora nell'informatica. «Durante l'estate sono stata costretta a tenere chiuso. Mantengo con i miei risparmi una sarta, mia collaboratrice. Non potevo metterla per strada. Alzare la saracinesca ogni giorno è una scommessa, sono scomparsi anche quelli che entravano solo per curiosare», dice quasi in lacrime Agnese Testa, una bottega di abbigliamento artigianale nel quartiere Esquilino a Roma. Due storie, come tante, simili tra loro.La pandemia globale ha scatenato un effetto a catena in campo fiscale con una sequela di rinvii, sospensioni e nuovi calendari che hanno generato l'ingorgo di luglio e agosto. Chiusa la partita delle tasse posticipate nei mesi estivi ora si apre quella di settembre, con alcune scadenze rinviate a questo mese che si sommano a quelle ordinarie, in una situazione che è tutt'altro che ordinaria. I circa 4,5 milioni di partite Iva dovranno vedersela anche con lo sciopero dei commercialisti, proclamato dal 15 al 22 settembre che rende ancora più caotica la situazione. Per settembre sono previsti 257 appuntamenti con il fisco. Inoltre, a dispetto dell'annunciata digitalizzazione per semplificare le procedure, alcune procedure vanno fatte ancora usando la carta. Sono 5: 16, 21, 25, 28 e 30 settembre. Il 16, dopodomani, è da bollino rosso.Scadono 174 adempimenti. Tra questi, i più importanti sono i saldi 2019 e gli acconti 2020 dell'Irpef per chi sta versando a rate, la quarta rata dell'addizionale regionale e comunale, la terza rata dell'addizionale Ires, la quarta rata della cedolare secca a titolo di saldo 2019 e primo acconto per il 2020; ci sono poi i versamenti Iva, Ires e Irap.A queste incombenze si aggiungono i versamenti posticipati dai decreti sull'emergenza Covid. Il 16 settembre vanno in scadenza il 50% dei versamenti Iva, ritenute d'acconto sui redditi da lavoro dipendente, contributi previdenziali e premi assicurativi che dovevano essere pagati a marzo, aprile e maggio 2020. Chi ha avuto diritto a quelle sospensioni in virtù dei decreti sull'emergenza ora deve pagare. Può versare il 50% tutto insieme o spalmando l'importo in 4 rate mensili fino al 16 dicembre. L'altro 50% va versato a partire dal 16 gennaio 2021 in massimo di 24 rate mensili fino a dicembre 2022. Di questi posticipi hanno potuto usufruire alcune categorie quali, tra le altre, le imprese turistiche, le agenzie di viaggio, le associazioni sportive, i soggetti che gestiscono le sale cinematografiche, le sale concerto, le discoteche, le ricevitorie del lotto, le attività di ristorazione, le gelaterie, come pure musei, luoghi di cultura, asili (solo per citarne alcuni) che ad aprile e maggio hanno avuto una riduzione del fatturato di almeno il 33% rispetto ai corrispondenti mesi del 2019. Sempre il 16 settembre scade la comunicazione delle liquidazioni periodiche Iva relative al secondo trimestre 2020. Il 21 settembre è l'ultimo giorno utile per regolarizzare i versamenti di imposte e ritenute non effettuati o effettuati in misura parziale entro il 20 agosto, con maggiorazione degli interessi e della sanzione ridotta a un decimo. Le imprese elettriche hanno l'obbligo di comunicare all'Agenzia delle entrate il dettaglio dei dati relativi al canone Tv addebitato, accreditato, riscosso. Le società entro il 25 settembre devono presentare gli elenchi riepilogativi (Intrastat) delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi rese ad agosto.L'ultimo giorno del mese, il 30, fa tremare i polsi. Scade il termine (è la prima volta) per trasmettere all'Agenzia delle entrate il modello 730. I contribuenti hanno l'ultima chiamata per 45 tipologie di versamenti. Inoltre vanno spedite le domande per i soggetti interessati al riparto della quota del 5 per mille. Non è finita: devono essere inviate le richieste di rimborso Iva assolta in altri stati membri dell'Unione europea.«Posticipando le scadenze il problema non si è risolto ma si è spostato in avanti, e ora i nodi vengono al pettine. Bisognava azzerare le tasse per i piccoli imprenditori, introdurre una sorta di moratoria fiscale per dare respiro e tranquillità a commercianti, artigiani e partite Iva», afferma Paolo Zabeo, coordinatore dell'ufficio studi della Cgia di Mestre. E lancia il sasso: «In questo modo, il problema della liquidità si è ingigantito in un momento in cui le microimprese sono in grande difficoltà. I numeri dicono chiaramente che i consumi delle famiglie continuano a crollare e senza commesse un'azienda boccheggia». Zabeo sottolinea il rischio che «molti non essendo nelle condizioni di pagare, possano finire nella rete degli usurai. La malavita è pronta ad approfittarsi delle situazioni di grave disagio economico. 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L'affollamento di imposte a settembre è la goccia che fa traboccare il vaso di una situazione molto difficile per le aziende. La proroga delle scadenze fiscali durante la fase di emergenza Covid era necessaria, ma già allora abbiamo avvisato il governo che non sarebbe stata sufficiente. Non si può pensare che nel giro di pochi mesi, le attività si rimettano in moto come prima del Covid». Va dritta al punto Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti, associazione che rappresenta 350.000 imprese del commercio, del turismo e dei servizi, per un'occupazione di 1 milione di addetti. Quale sarà il calo stimato di fatturato per fine anno dei piccoli e micro esercizi commerciali? «Dal nostro sondaggio è emerso un crollo di oltre il 30% per il 61% degli intervistati e tra il 10 e il 30% per il 22%. Come conseguenza, il 46% sta programmando una riduzione del personale a tempo indeterminato e con contratto a termine. Sono decisioni forzate dalla situazione difficile». Come si esce dall'impasse creata da tante tasse e crollo dei guadagni? «Innanzitutto occorre una maggiore rateizzazione delle imposte, poi andrebbe eliminato il meccanismo del saldo e dell'acconto. Su questo è d'accordo anche il presidente dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Ruffini. Le tasse devono essere commisurate a quanto un'azienda incassa. L'ingorgo fiscale non fa bene nemmeno allo Stato. Se le aziende chiudono o evadono perché non ce la fanno a far fronte alle scadenze, il danno è per tutti. Approfittiamo della riforma fiscale per introdurre quelle modifiche che la situazione ci suggerisce». Che cosa bisognerebbe inserire nella riforma fiscale? «Innanzitutto riequilibrare il peso fiscale sul ceto medio che è stato sempre più penalizzato. A luglio è scattato il provvedimento di riduzione del cuneo fiscale sui lavoratori dipendenti. A regime, si tratta di 5 miliardi che torneranno nelle buste paga. Questa misura, predisposta a partire dalla legge di bilancio 2019, risulta però insufficiente, considerando gli oltre 65 miliardi di consumi che andranno persi a causa della pandemia. Inoltre, l'intervento va a vantaggio solo di una parte della classe media, e in particolare dei 6,3 milioni di italiani con redditi tra 28.000 e 55.000 euro, che sono attualmente ipertassati dall'Irpef». Di quanto? «Pur essendo il 15,6% dei contribuenti, forniscono quasi un terzo (31,8%) del gettito totale dell'imposta, cioè 50 miliardi di euro. Subiscono un aumento dell'aliquota legale di 11 punti rispetto allo scaglione precedente. La riduzione del cuneo però interessa, e con intensità decrescente, solo i soggetti con redditi fino a 40.000 euro, lasciando così fuori dal beneficio oltre 1,8 milioni di contribuenti sottoposti a una pressione fiscale eccessiva. La riforma del fisco deve andare nella direzione di un sistema impositivo più chiaro e meno punitivo. Sono oltre 13 anni che non vengono rivisti gli scaglioni Irpef. Va superata la logica del saldo e dell'acconto e bisogna sfoltire l'accatastamento delle scadenze. Senza un alleggerimento di questa zavorra, la ripartenza della spesa delle famiglie e delle imprese rischia di essere molto difficile». Quindi in concreto in che modo andrebbe alleggerito il fisco per il ceto medio? «È assolutamente necessario riconoscere perlomeno una riduzione di imposta per i redditi compresi fra 40.000 e 55.000 euro. Senza dimenticare le imprese: lo scorso anno, il settore privato ha registrato un forte aggravio del costo del lavoro rispetto alle retribuzioni versate ai propri lavoratori. Un differenziale che le condizioni recessive scatenate dalla crisi Covid potrebbero rendere insostenibile. Alcuni esercizi, come gli alimentari, hanno continuato a lavorare durante l'emergenza mentre tanti altri si sono fermati e ancora oggi stentano a ripartire. Lo smart working non aiuta». Si riferisce ai danni provocati dal trasferimento del lavoro a casa? «Interi quartieri che prima vivevano essenzialmente di turismo e business si sono svuotati. A farne le spese sono stati i bar, le tavole calde, i ristoranti oltre al settore immobiliare dei bed & breakfast. Si rischia il degrado di aree urbane che prima della pandemia erano molto vitali. Gli aiuti del governo ai settori produttivi danneggiati dal virus sono stati circoscritti all'emergenza ma siamo ancora lontani dalla normalità». E in questa situazione di grande difficoltà è complicato per i piccoli imprenditori onorare gli impegni fiscali. «L'Istat ha rilevato che dall'inizio del lockdown a luglio sono scomparsi 117.000 lavoratori autonomi. Il nostro Paese ha una rete molto ampia e ramificata di piccoli imprenditori. Ci sono oltre 500.000 piccoli negozi, più di 300.000 attività di ristorazione, 150.000 bar. Prima del Covid gli italiani mangiavano spesso fuori spendendo circa 80 miliardi in un anno. Il 64% degli italiani consuma, con diversa intensità, la colazione fuori casa: 5,8 milioni almeno 3 o 4 volte alla settimana, mentre per oltre 5 milioni è un rito quotidiano. Ora questa spesa è crollata. Ed è con questa realtà che i piccoli esercenti devono fare i conti». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-stangata-2647625094.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="le-brutte-sorprese-della-riforma" data-post-id="2647625094" data-published-at="1600043536" data-use-pagination="False"> Le brutte sorprese della riforma Torna il taglio alle detrazioni. La riforma fiscale a cui sta lavorando il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, potrebbe contenere qualche sgradevole sorpresa. La narrazione del governo è che si abbasseranno le tasse ma siccome la coperta è corta e i soldi europei non possono essere utilizzati per ridurre la pressione fiscale, l'unica soluzione è l'autofinanziamento. Cioè quello che si toglie da una parte va recuperato dall'altra. Qualcuno sarà chiamato a pagare il conto. E la soluzione sarebbe di attingere ai 500 sconti fiscali di cui beneficiano famiglie e imprese per recuperare almeno 10 miliardi. Gualtieri intende seguire questa strada: «Con la riduzione delle tax expenditures e il contrasto all'evasione fiscale, c'è molto spazio». Più chiaro di così. Da tempo si parla di sforbiciare le detrazioni, sono stati prodotti numerosi dossier, ma alla fine nessuno ha avuto il coraggio di avventurarsi nel labirinto dei regimi sostitutivi dell'Irpef. C'è il rischio di scontentare molti. Intanto un primo assaggio di questo sfoltimento è l'assegno unico per i figli che sostituisce 8 tra bonus e detrazioni esistenti. Ma il nodo risorse è ancora da sciogliere dal momento che mancano all'appello circa 6-7 miliardi. Saranno recuperati con la riforma fiscale. Nel mirino ci sono pure le detrazioni e i sussidi ambientali dannosi, battaglia storica della viceministra dell'Economia Laura Castelli, che prevede riduzioni di agevolazioni al gasolio agricolo ai carburanti per aerei e navi fino al diesel. Un'operazione in linea con la politica del New green deal caldeggiato dall'Europa. Ogni centesimo di accisa in più si tradurrebbe in un aumento di gettito per lo Stato di 200 milioni di euro. Basterebbe ridurre di 5 centesimi le agevolazioni per avere 1 miliardo. Inevitabili gli aumenti del prezzo del carburante con impatto sui prodotti trasportati su gomma a cominciare dai generi alimentari ma anche per i biglietti aerei. Il premier Giuseppe Conte e il ministro dell'Agricoltura Teresa Bellanova avevano rassicurato, prima del Covid, che gli autotrasportatori e le aziende agricole non sarebbero state toccate, ma ora lo scenario è mutato. A pagare il conto salato, di sicuro, sarebbero 17milioni di automobilisti con l'aumento del carburante. Il cuore della riforma sarà la rimodulazione delle aliquote Irpef, con una attenzione, ha promesso il governo, al ceto medio. Bisogna vedere però che cosa si intende per ceto medio. Già Romano Prodi nel 2007 fece un regalo a questa fascia di contribuenti, abolendo l'aliquota intermedia del 33% per la fascia di reddito tra 28.000 e 55.000 euro che attualmente è la più penalizzata, con un'aliquota del 38% sulla parte eccedente i 28.000 euro. L'Irpef ha ora cinque scaglioni: fino a 15.000 euro aliquota al 23%, tra 15.000 e 28.000 euro al 27%, un terzo scaglione di cui abbiamo detto, poi tra 55.000 e 75.000 con il 41% e infine il 43% oltre i 75.000 euro di reddito. Dal 1° luglio il governo ha introdotto un abbattimento del cuneo fiscale per i redditi fino a 40.000 euro, valido però solo per i lavoratori dipendenti, lasciando fuori le partite Iva. Le ipotesi di riforma sul tavolo al momento sono due. Il Pd vorrebbe tre scaglioni oltre a una no tax area per redditi fino a 8.000 euro: il primo scaglione avrebbe un'aliquota al 27,5% per i redditi fino a 15.000 euro; il secondo al 31,5% per i redditi fino a 28.000 euro mentre con il terzo si balza al 42-43%. I 5 stelle puntano ad alzare la no tax area fino a 10.000 euro e a tutelare maggiormente i redditi superiori a 100.000 euro che avrebbero un'aliquota del 42%. Nel mezzo, si avrebbe un'aliquota al 23% per i redditi tra 10.000 e 28.000 euro e al 37% per i quelli tra 28.000 e 100.000 euro. Nella riforma potrebbe trovare posto un'altra rottamazione fiscale, per agevolare l'attività di riscossione dell'Agenzia delle entrate, diretta da Ernesto Ruffini, paralizzata dal Covid. Cartelle esattoriali, ingiunzioni di pagamento, avvisi di accertamento, procedure esecutive e di pignoramento ora sono congelate fino al 15 ottobre 2020. A breve circa 9 milioni di lettere saranno recapitate ai contribuenti. A queste missive vanno poi aggiunte quelle relative all'ordinaria amministrazione tributaria non bloccate dai decreti del governo. Una quarta rottamazione delle cartelle esattoriali pendenti risolverebbe l'intasamento. L'idea avrebbe un consenso di massima nella maggioranza nonostante sia un condono. Il primo veicolo utile potrebbe essere il decreto fiscale collegato alla legge di bilancio 2021.
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E come si può chiamare un tizio che promette «appena posso (violare la legge, ndr) lo rifaccio»?. «Costi quel che costi», disse Luca Casarini, «al vostro ordine continuerò a disobbedire, perché obbedisco ad altro, di fronte al quale le vostre leggi ingiuste e criminali, ciniche e orribili non possono niente». Quelle contestate sono le leggi dello Stato italiano, approvate dal Parlamento italiano, vigilate dalla Corte costituzionale italiana, rispettate dalla maggioranza degli italiani. Ma per Casarini e compagni si possono ignorare. Anzi, si devono violare. E nessuno può permettersi il diritto di critica e di chiamarli pirati. «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno», disse Beppe Caccia, capo missione di Mediterranea, «ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana, alle leggi dell’umanità». Chi si può arrogare il diritto di stabilire che ci si può infischiare di una legge? Ve la immaginate quale sarebbe la reazione di fronte a un tizio che ignora il codice della strada o la normativa fiscale e dice che lui risponde a una legge superiore? E vi ricorda qualche cosa la definizione di «legge criminale»? Negli anni della contestazione lo Stato era criminale, le misure repressive, i divieti autoritari. Come sia finita si sa.
Il soccorso in mare ha un obiettivo politico: è un’azione che mira a «contrastare e a sovvertire il sistema capitalista e patriarcale» come ha spiegato don Mattia Ferrari, il cappellano di Mediterranea. «Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo», ha aggiunto Carola Rackete, la capitana che nella foga di attraccare nonostante le fosse stato negato il diritto allo sbarco andò a sbattere con la sua nave contro una motovedetta della Guardia di finanza. E costoro non si possono definire pirati? Chiamarli tali, perché come diceva il filosofo Giulio Giorello a proposito dei bucanieri, ritengono la loro coscienza «superiore a ogni legge», sarebbe diffamatorio? E quale offesa alla propria reputazione, quale danno, avrebbero patito, di grazia? È evidente che le querele hanno un obiettivo: tappare la bocca a chi esprime un giudizio critico, impedire alla libera stampa di dire quel che pensa e di chiamare le cose con il loro nome.
Da una settimana si discute di giornali comprati e venduti, perché John Elkann ha messo in vendita Repubblica e La Stampa. Ma la minaccia all’articolo 21 della Costituzione non viene da un imprenditore greco o italiano che compra una testata, bensì dal tentativo di imbavagliare chi si oppone, con le inchieste e le notizie, alla strategia dell’immigrazione, arma - come predica don Ferrari - usata per abbattere il sistema capitalistico e patriarcale. Sono certo che di fronte alla sentenza contro Panorama non si leveranno le voci degli indignati speciali. Quelle si alzano solo quando condannano Roberto Saviano a pagare mille euro per aver chiamato bastardi Meloni e Salvini. Visti i risultati, mi conveniva titolare «I nuovi bastardi».
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Giorgia Meloni (Ansa)
La commissione per le libertà civili dell’Eurocamera e i negoziatori del Consiglio hanno concordato informalmente le nuove norme in base alle quali gli Stati membri possono decidere che un Paese extra Ue sia da considerarsi Paese terzo sicuro (Stc) nei confronti di un richiedente asilo che non ne è cittadino. Alla base di tutto c’è stata un’iniziativa del governo di Giorgio Meloni e l’appoggio di Ursula von der Leyen, che aveva capito che bisognava intervenire contro le interpretazioni creative.
La Commissione ha subito emesso una nota di soddisfazione: «Queste nuove norme aiuteranno gli Stati membri ad accelerare il trattamento delle domande di asilo, a ridurre la pressione sui sistemi di asilo e a ridurre gli incentivi alla migrazione illegale verso l’Ue, preservando nel contempo le garanzie giuridiche per i richiedenti e garantendo il rispetto dei diritti fondamentali».
Il fronte contrario a una miglior specificazione del concetto di Paese sicuro teme che le nuove regole possano tradursi in una minor tutela dei richiedenti asilo. Ma dall’altro, i contrari non sembrano propensi ad ammettere che i Paesi veramente democratici, almeno secondo i canoni occidentali, sono sempre meno.
A margine del Consiglio europeo, Giorgia Meloni, insieme ai colleghi danese, Mette Frederiksen, e olandese, Dick Schoof, ha ospitato una nuova riunione informale dei 15 Stati membri più interessati al tema delle soluzioni in ambito migratorio.
Insieme a Italia, Danimarca, Paesi Bassi e Commissione europea, hanno preso parte all’incontro i leader di Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Germania, Grecia, Polonia, Repubblica ceca, Lettonia, Malta, Ungheria e Svezia.
In questa sede, come spiega una nota di Palazzo Chigi, il premier italiano ha aggiornato i colleghi sul lavoro in corso «sul tema della capacità delle Convenzioni internazionali di rispondere alle sfide della migrazione irregolare e sulle prossime iniziative previste».
Dopo il risultato dello scorso 10 dicembre, quando 27 Stati membri del Consiglio d’Europa hanno sottoscritto la dichiarazione politica italo-danese, ora il lavoro continua in vista della Ministeriale del Consiglio d’Europa, sotto la presidenza moldava, del prossimo 15 maggio.
I leader hanno anche concordato di lanciare iniziative congiunte anche nei diversi contesti internazionali, a partire dall’Onu, per «promuovere più efficacemente l’approccio europeo ad una gestione ordinata dei flussi migratori».
Per Alessandro Ciriani, eurodeputato di Fdi-Ecr e relatore per il Parlamento europeo del dossier sui Paesi terzi sicuri, «la lista concordata - che comprende, oltre ai Paesi candidati, Egitto, Bangladesh, Tunisia, India, Colombia, Marocco e Kosovo - produrrà effetti immediati sulle pratiche di esame delle domande di protezione internazionale, accelerando le procedure e rafforzando la certezza applicativa». In generale, per Ciriani «è un momento storico: grazie al lavoro del governo italiano, anche in Europa si supera la polarizzazione politica in tema di immigrazione e si sceglie la via del buonsenso».
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Carola Rackete (Getty Images)
Era marzo 2021 e così prometteva di sfidare la magistratura Luca Casarini, fondatore e capomissione di Mediterranea Saving Humans. L’ex disobbediente del Nord-Est dichiarava di voler continuare a non rispettare le regole, l’ha ribadito anche lo scorso ottobre in apertura del processo a Ragusa dove è accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con l’aggravante di averne tratto profitto. «¡Aquí no se rinde nadie! qui non si arrende nessuno», terminò il suo post su Facebook poco prima dell’udienza, citando la frase pronunciata dal comandante rivoluzionario Juan Almeida Bosque durante lo sbarco dei guerriglieri a Cuba. Casarini non riconosce la legge e poco importa se traveste l’inosservanza con scuse umanitarie: la lista dei disobbedienti per torti e offese subìte sarebbe interminabile, mentre in uno Stato di diritto non si fa giustizia a propria misura calpestando l’ordinamento.
Il capomissione della Ong si vanta di essere un trasgressore, solca i mari con «la nave dei centri sociali» agendo senza regole se non le condivide. «Io ho fatto del ragionamento sulla disobbedienza una caratteristica della mia vita [...] Sono i governi che violano continuamente la legge», è una sua precedente affermazione datata marzo 2019 in piena vicenda Mare Jonio, la barca entrata nel porto di Lampedusa malgrado il no del Viminale allora retto da Matteo Salvini.
Non è da meno il capo missione di Mediterranea, Beppe Caccia, che lo scorso agosto ammetteva con orgoglio di avere infranto la legge: «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno. Ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana e alle leggi dell’umanità». No, la Costituzione afferma che la legge è uguale per tutti, senza distinzioni di sorta e che tutti sono tenuti a rispettarla.
Eppure Carola Rackete si è vantata più volte di averla calpestata nel nostro Paese. La comandante tedesca della nave Sea Watch 3, che con le sue 650 tonnellate di stazza aveva investito la motovedetta della Guardia di finanza colpevole solo di avere intimato l’alt, nel giugno del 2019 giustificava l’azione. «Non è stato un atto di violenza. Solo di disobbedienza. Ma ho sbagliato la manovra. Per me era vietato obbedire. Mi chiedevano di riportarli in Libia. Ma per la legge sono persone che fuggono da un Paese in guerra, la legge vieta che io le possa riportare là», era la sua strabiliante versione accolta anche dal gip del tribunale di Agrigento che archiviò le accuse di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina e disobbedienza a nave da guerra. Salvini protestò: «Quindi, se capisco bene la sentenza, speronare una motovedetta militare italiana con uomini a bordo non è reato. Torniamo ai tempi dei pirati… No comment». Rackete un mese dopo tornava a vantarsi: «Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal Decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo. Talvolta servono azioni di disobbedienza civile per affermare diritti umani e portare leggi sbagliate di fronte a un giudice».
In quest’ottica, l’assurdità dei decreti legge emanati durante l’emergenza Covid dovrebbero giustificare gli atti di disobbedienza compiuti, anche con il rifiuto di vaccinarsi che invece è stato perseguito e punito. Spesso il principio di legalità non ha affatto rappresentato la massima garanzia di libertà, anzi ha modificato diritti fondamentali dei cittadini e chi si è ribellato ne ha pagato le conseguenze. Solo le Ong sarebbero libere di infrangere le leggi?
Nel maggio del 2024 associazioni come Baobab experience, Collettivo rotte balcaniche, Linea d’ombra, Kitchen on borders difendevano un network nato «nell’autodenuncia della propria pratica quotidiana di disobbedienza civile, contro le politiche migratorie italiana ed europea, contro i confini interni ed esterni».
E se ci si mette anche la Chiesa, la disobbedienza può appare il nuovo credo a cui dare ascolto. In spregio alle leggi e ai tribunali, stando alle parole di don Mattia Ferrari, il cappellano di Mediterranea Saving Humans. «La morale per noi invece è che tu devi lottare accanto a chi è oppresso. Tu devi contrastare questo sistema. Tu devi sovvertire questo sistema capitalista e patriarcale. E allora abbiamo introdotto l’espressione disobbedienza morale», spiegava nel luglio del 2023.
Anche Alessandra Sciurba, già presidente di Mediterranea Saving Humans, nel 2020 parlava di «disobbedienza morale e obbedienza civile» che l’aveva animata a soccorrere migranti sulla barca a vela Alex sfidando decreti-legge e imposizioni governative illegittimi. È la stessa Associazione di promozione sociale (Aps) in cui si è trasformata Mediterranea a lamentarsi perché «le Ong sono costrette a spendere una gran quantità di tempo e risorse per contestare la restrittiva legislazione italiana e i fermi amministrativi arbitrariamente imposti». Navigano contro legge.
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David Neres festeggia con Rasmus Hojlund dopo aver segnato il gol dell'1-0 durante la semifinale di Supercoppa italiana tra Napoli e Milan a Riyadh (Ansa)
Nella prima semifinale in Arabia Saudita i campioni d’Italia superano 2-0 i rossoneri con un gol per tempo di Neres e Hojlund. Conte: «Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza». Allegri: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà».
È il Napoli la prima finalista della Supercoppa italiana. All’Alawwal Park di Riyadh, davanti a 24.941 spettatori, i campioni d’Italia superano 2-0 il Milan al termine di una semifinale mai realmente in discussione e torneranno lunedì nello stadio dell’Al Nassr per giocarsi il primo trofeo stagionale contro la vincente di Bologna-Inter, in programma domani sera.
Decidono un gol per tempo di Neres e Hojlund, protagonisti assoluti di una gara che la squadra di Antonio Conte ha interpretato con maggiore lucidità, intensità e qualità rispetto ai rossoneri. Il pubblico saudita, arrivato a scaglioni sugli spalti come da consuetudine locale, si è acceso soprattutto per Luka Modric durante il riscaldamento, più inquadrato sugli smartphone che realmente seguito sul campo, ma alla lunga è stato il Napoli a prendersi scena e risultato. Un successo meritato per i partenopei che rispetto al Milan hanno dimostrato di avere più idee e mezzi per colpire.
Conte ha scelto la miglior formazione possibile, confermando il 3-4-2-1 con l’unica eccezione rispetto alle ultime gare di campionato che riguarda il ritorno tra i titolari di Politano al posto di Lang. Davanti la coppia McTominay-Neres ad agire alle spalle di Hojlund. Ed è stato proprio il centravanti danese uno dei protagonisti del match e della vittoria del Napoli, mettendo lo zampino in entrambi i gol e facendo impazzire in marcatura De Winter. L’ex difensore del Genoa è stato scelto da Allegri come perno della difesa a tre per sostituire l'infortunato Gabbia, un’assenza che alla fine dei conti si è rivelata più pesante del previsto. Ma se quella del difensore centrale era praticamente una scelta obbligata, il turnover applicato in mezzo al campo e sulla corsia di destra non ha restituito gli effetti desiderati. Nel solito 3-5-2 hanno trovato spazio dal primo minuto anche Jashari e Loftus-Cheek, titolari al posto di Modric e Fofana, ed Estupinan per far rifiatare Bartesaghi, uno degli uomini più in forma tra i rossoneri.
Il Napoli ha preso infatti fin da subito l’iniziativa, con Elmas al tiro già al 2’ e con Maignan attento a bloccare senza problemi. Il Milan ha poi avuto due ghiotte occasioni: al 5’ sugli sviluppi di una rimessa laterale Pavlovic ha tentato una rovesciata, il pallone è arrivato a Loftus-Cheek che, solo davanti a Milinkovic-Savic, ha mancato incredibilmente l’impatto; al 16' Saelemaekers ha sprecato calciando alto da buona posizione. È l’illusione rossonera, perché da quel momento sono i partenopei a comandare il gioco. Al 32' McTominay ha sfiorato il vantaggio con un destro di prima poco fuori, mentre Nkunku al 37’ ha confermato il suo momento negativo non inquadrando nemmeno la porta a conclusione di un contropiede che poteva cambiare la partita. Partita che è cambiata in maniera decisiva due minuti dopo, al 39’, quando è arrivato il gol che ha sbloccato la semifinale: da un'azione insistita di Elmas sulla sinistra, il pallone è arrivato a Hojlund il cui tiro in diagonale ha messo in difficoltà Maignan. La respinta troppo corta del portiere francese è finita sui piedi di Neres, il più rapido ad avventarsi sul pallone e a depositarlo in rete. Il Napoli è andato vicino al raddoppio già prima dell’intervallo con un altro contropiede orchestrato da Elmas e concluso da Hojlund, su cui Maignan ha dovuto compiere un mezzo miracolo.
Nella ripresa il copione non è cambiato. Rrahmani ha impegnato ancora Maignan da fuori area, poi al 64’ è arrivato il 2-0 che ha chiuso la partita: Spinazzola ha affondato a sinistra e servito Hojlund, veloce e preciso a finalizzare con freddezza, firmando così una prestazione dominante contro un De Winter in grande difficoltà. Allegri ha provato a cambiare volto alla gara passando al 4-1-4-1 con l’ingresso di Fofana e Athekame, ma il Milan non è riuscito di fatto mai a rientrare davvero in partita. Anzi. Al 73' uno scatenato Hojlund ha sfiorato la doppietta personale. Poi, al 75', il Milan ha regalato alla parte di stadio rossonera la gioia più grande di tuta la serata, ovvero l'ingresso in campo di Modric. Il croato è entrato tra gli applausi del pubblico, ma è solo una nota di colore in una serata che resta saldamente nelle mani del Napoli. Nel finale spazio anche a qualche tensione, sia in campo che in panchina. Prima le scintille tra Tomori e McTominay, ammoniti entrambi da Zufferli. Poi, in pieno recupero, un battibecco verbale tra Oriali e Allegri. E mentre scorrevano i sette minuti di recupero concessi dal direttore di gara, accompagnato dal coro dei tifosi sauditi di fede azzurra «Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi», è arrivato il verdetto definitivo.
Nel post partita Massimiliano Allegri ha riconosciuto i meriti degli avversari: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà». Sull’eliminazione da Coppa Italia e Supercoppa è stato netto: «Siamo dispiaciuti, ma il nostro obiettivo resta la qualificazione in Champions, che è un salvavita per la società». Di tutt’altro tono Antonio Conte, soddisfatto della risposta della sua squadra: «Battere il Milan fa morale. Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza. Con energia, anche in emergenza, siamo difficili da affrontare». Parole di elogio per Hojlund: «Ha 22 anni, grandi margini di crescita e oggi è stato determinante. Sta capendo sempre di più quello che gli chiedo».
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