2021-03-11
La sociologia ha ucciso il romanzo giallo
Sulla scia del «Montalbano» di Andrea Camilleri, la tendenza dei nuovi thriller è sfumare la trama per enfatizzare le problematiche dei territori in cui sono ambientati. Tutto a discapito del gioco degli indizi e della sfida intellettuale tra l'autore e i suoi lettoriIl giallo non è più il colore dominante del thriller. La narrativa d'intreccio con soluzione sta via via decomponendosi nel mosaico di tessere dei cosiddetti «territori». Il fenomeno più indicativo lo si ritrova nel commissario Montalbano, con le sue location siciliane. Ma prima che nella versione televisiva, ci aveva pensato Andrea Camilleri a radicarlo, con quella prosa dialettale che ne forniva la scansione letteraria. Altri vi hanno fatto seguito. Pochi si sono accorti che c'era stato un precursore, l'unico, inimitabile, grandioso e prematuramente scomparso Giorgio Scerbanenco. Il suo esemplare protagonista era Duca Lamberti, un medico radiato dall'albo per avere aiutato a morire un'anziana signora malata di cancro e finito, dopo avere scontato la pena in carcere, per avere un ufficio investigativo presso la questura di Milano. L'area meneghina diviene un universo compiuto nella serie dei suoi romanzi, da Venere privata all'ultimo, I milanesi ammazzano al sabato. Scerbanenco introduce espressioni idiomatiche e gerghi della mala all'ombra della Madunina che conferiscono veridicità alle trame e nel contempo portano il meccanismo della detection al di fuori del gioco intellettuale con i lettori. Perché l'essenza dell'indagine su un crimine consisterebbe proprio nell'escludere i fattori dispersivi per concentrare e inquadrare tutto nella precisione geometrica del rapporto fra delitto e castigo. Il capolavoro di Fedor Dostoëvskij non avrebbe più senso se lo sfondo di San Pietroburgo non fosse altro che un pretesto per discettare sull'amoralità di Raskolnikov e sul suo diritto di porsi al di sopra di ogni codice legislativo, raffrontata con l'implacabile giudice Porfiri, che ne è invece l'irrinunciabile esecutore. Insomma, quando il giallo si spalma sulle superfici terrene, perde la caratteristica di mera astrazione speculativa.La televisione italiana, sia pubblica che privata, è andata proponendo sempre di più investigatori che parlano, agiscono e meditano con criteri molto legati alle proprie origini. Realismo, si dirà. Forse, ma anche riduzione di prospettive al livello della struttura del racconto. I gialli di Agatha Christie su Miss Marple sono ambientati nel villaggio immaginario di St. Mary Mead, sperduto nella provincia britannica. Eppure, anche nei testi originali, non vi si trovano idiotismi, anacoluti e cadenze specifiche. Sono scritti in un inglese lineare e corretto che peraltro viene facile tradurre in altre lingue. Negli anni '60 e '70, i gialli di Francis Durbridge ottennero successi paritari in tutti i Paesi europei, compresa l'Italia, dove gli adattamenti furono curati da firme illustri, fra cui quelle di Biagio Proietti e di Franca Cancogni. Gli interpreti recitavano i copioni in una lingua accurata che contribuiva, fra l'altro, ad alfabetizzare la popolazione. Era uno stile conosciuto fra gli attori con la definizione di Sergio Tofani: «all'antica italiana». Svincolato da ogni accento, il siciliano Turi Ferro appariva perfettamente a suo agio nei panni di un ispettore di Scotland Yard che metteva sotto torchio Rossano Brazzi in Melissa, del 1966. E anche quando l'ambientazione era peninsulare, le cose non cambiavano. In Il segno del comando la Roma notturna e ancora oleografica dei primi anni '70 si popolava di fantasmi e loschi figuri che parlavano con voci inappuntabili da doppiatori. Nel contempo, si aveva una sospensione del giudizio ascoltando un accademico inglese, il professor Edward Foster, dalla dizione superba di Ugo Pagliai.Altro cult: Ritratto di donna velata. Lì, Volterra e dintorni avvincevano lo sguardo ma non delimitavano l'orizzonte. Il mistero del dipinto avrebbe potuto proporsi dappertutto.Succedeva anche nel cinema. Quelli che oggi sono stati battezzati «Italian giallos», ovvero i thriller granguignoleschi con un animale nel titolo, sulla scia di Dario Argento, non avevano alcun legame specifico con le località pure suggestive in cui si svolgevano. Questo grazie sempre alla lingua asettica e alla completa assenza di connotazioni preclusive di natura geografica ed etnica.La verità è che anche il giallo risente del multiculturalismo e dei nuovi privilegi imposti dal politicamente corretto. L'etichetta di genere si arricchisce di collocazioni obbligatorie. Ecco il thriller mediterraneo, quello scandinavo o metropolitano. Il gioco intellettuale avulso dal tempo e dallo spazio, la partita con i lettori, il tavolo verde del gioco d'azzardo sulla scoperta dei colpevoli, vengono scombinati e rimane soltanto un ingombro di analisi sociologiche, revanscismi, quando non chincaglieria. Neanche il feuilleton a suo tempo si era lasciato ridurre a denuncia di costume. Non ne aveva bisogno. I misteri di Parigi bastavano a se stessi per avvincere d'interesse. Quei sotterranei abitati da un'umanità degradata avevano più dignità in prosa di molto immaginario del presente, sia scritto che visivo, modellato su un mondo che, sia al sole che nell'oscurità, è divenuto tutto una banlieue incontrollabile.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
Ecco #DimmiLaVerità del 18 settembre 2025. Il nostro Carlo Cambi ci rivela tutti i dettagli delle imminenti Regionali nelle Marche.