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2020-08-04
La sinistra Usa fa la fortuna dei criminali
Ansa
Non c'è pace a Minneapolis. Dopo la morte di George Floyd lo scorso maggio, il locale dipartimento di polizia è finito nella bufera. Il consiglio municipale punta ad arrivare a un suo smantellamento, mentre, a giugno, ha votato per tagliare 1,5 milioni di dollari al budget per le forze dell'ordine. E, nel frattempo, il corpo di polizia si è progressivamente indebolito. Secondo lo Star Tribune (il principale quotidiano del Minnesota), dalla morte di Floyd il dipartimento di Minneapolis avrebbe infatti perso - tra licenziamenti e dimissioni - complessivamente circa 100 agenti (il 10% delle forze disponibili in città).
La situazione sembra addirittura destinata a peggiorare, visto che entro la fine dell'anno si stima che il dipartimento possa lasciare a casa fino a un terzo dei propri dipendenti. Questo stato di cose starebbe già facendo sentire il proprio peso. Sempre stando a quanto riportato dallo Star Tribune, parrebbe che non pochi residenti stiano lamentando non soltanto un'impennata nei crimini, ma anche risposte tardive e inadeguate da parte dei poliziotti. In particolare, negli ultimi tre mesi si è assistito a un notevole incremento di sparatorie, rapine e furti d'auto. In tutto questo, il sito del canale televisivo locale, Kstp, ha riportato che la polizia di Minneapolis avrebbe fornito ai cittadini alcuni «consigli» per prevenire il rischio di rapine e violenze. In particolare, tra le altre cose, si invita a: non camminare da soli, prepararsi ad abbandonare cellulare e portafogli, portare con sé solo gli oggetti di cui si ha strettamente bisogno. In altre parole, le forze dell'ordine non sono più in grado di tutelare la sicurezza e le proprietà dei cittadini.
D'altronde, quello che sta accadendo a Minneapolis è soltanto un esempio di che cosa significa indebolire o smantellare i dipartimenti di polizia, come auspicato dagli attivisti di Black lives matter. Una linea che ha soltanto un esito possibile: lasciare le fasce più deboli della popolazione in balìa della criminalità. Non sarà forse un caso che, rispetto all'anno scorso, si sta assistendo a un notevole aumento di reati (a partire da omicidi e sparatorie) in varie città americane: Atlanta, Chicago, Houston, Portland, Seattle, Philadelphia, New York e Los Angeles. Città che hanno, in alcuni casi, tagliato recentemente il budget della propria polizia (si pensi a New York e Los Angeles). Città che da anni sono inoltre guidate da amministrazioni democratiche. Un «dettaglio» interessante, visto che negli Stati Uniti a nominare i vertici della polizia cittadina sono proprio i sindaci. D'altronde, tanto per avere un'idea di cosa sta succedendo, basta sottolineare che, secondo il Chicago Sun-Times, a Chicago si è registrato un aumento degli omicidi del 139% rispetto a luglio 2019, mentre per lo stesso periodo Atlanta ha visto un incremento di oltre il doppio.
Si tratta di un fattore potenzialmente problematico per il candidato democratico, Joe Biden, che pur essendosi detto contrario a tagliare i finanziamenti alle forze dell'ordine, si è ritrovato nei fatti sconfessato su questo fronte da alcuni sindaci del suo stesso partito. Senza poi considerare che l'ex vicepresidente sia molto evasivo in materia di ordine pubblico: si ostina a sostenere che la maggior parte delle proteste siano «pacifiche», ha polemizzato contro Trump quando quest'ultimo ha inviato agenti federali a Portland per proteggere il locale palazzo di giustizia e non ha preso posizione chiara su fatti come l'occupazione del centro di Seattle lo scorso giugno da parte dei manifestanti di Black lives matter. È anche probabilmente per questo che, secondo il sito Axios, sondaggi interni al comitato di Trump parrebbero confermare l'efficacia della strategia del presidente nell'additare Biden come una marionetta nelle mani dell'estrema sinistra. Ne consegue che, al di là della pandemia, l'altro grande tema dirimente per questa campagna elettorale sia costituito proprio dall'ordine pubblico. Perché, esattamente come per la questione del coronavirus, anche in questo caso viene chiamata in causa la sopravvivenza stessa del cittadino: dalla salvaguardia della sua sicurezza fisica a quella della sua proprietà. E, in tal senso, non è chiaro quanto alla fine potrà essere apprezzata l'ambiguità di Biden su questo punto. Del resto, pochi giorni fa, oltre 100 agenzie di polizia del Wisconsin si sono tirate indietro, davanti alla richiesta di garantire ordine e sicurezza a Milwaukee, nel corso della convention nazionale del Partito democratico (prevista tra due settimane): una decisione presa, dopo che una commissione cittadina ha emanato una direttiva per vietare l'uso dei lacrimogeni. Secondo l'Associated press, gli agenti temono infatti di non avere a disposizione strumenti adeguati per fronteggiare eventuali disordini.
Tutto questo, mentre alcuni procuratori distrettuali, sostenuti da George Soros, sono ormai in prima linea per imporre agende soft in materia di ordine pubblico. È per esempio il caso del procuratore distrettuale di Philadelphia, Larry Krasner, che sul Washington Post ha criticato l'invio di agenti federali a Portland, accusando Trump di autoritarismo. Certo: è pur vero che un recente sondaggio Ipsos mostra che il 54% degli americani si dica insoddisfatto di come il presidente sta gestendo l'ordine pubblico. Tuttavia, a giugno, lo stesso istituto registrava un 58% di scontenti su questo tema. Un segnale? Chissà. La strada per novembre è ancora lunga.
Ultimatum di Trump a Microsoft: 45 giorni per acquisire Tik Tok
Oltre che per il Covid, l'estate 2020 passerà agli annali anche come quella di Tik Tok. Il popolare social media, lanciato dalla cinese Bytedance, oltre a essere seguito da milioni di giovani, infatti, di recente sembra essere finito in cima all'agenda dei potenti del mondo. Il presidente americano Donald Trump lo considera un pericolo, perché è convinto che sia al servizio del governo cinese e da tempo è tentato dall'idea di silenziarlo. Satya Nadella, Ceo di Microsoft, invece, ha intenzione di comperarlo ed è stato costretto a incontrare Trump per rassicurarlo sul fatto che, qualora ci riuscisse, terrà conto delle sue preoccupazioni. Il suo progetto è quello di completare i negoziati entro il 15 settembre, ottenendo la cessione non solo delle operazioni della piattaforma in Usa (che vanta 100 milioni di utenti), ma anche in Australia, Nuova Zelanda e Canada. In modo da poter sfidare Facebook e Google. E su questo ieri è arrivato l'ok condizionato della Casa Bianca: Trump ha autorizzato Microsoft a trattare l'acquisto dell'app, a condizione che riesca a ottenere un accordo entro 45 giorni.
Nel frattempo, in Europa, la piattaforma è finita al centro delle attenzioni delle più prestigiose università inglesi. Come segnalato dal Times, Bytedance ha offerto a ciascuno dei 24 atenei del Russell group 5.000 sterline (circa 5.500 euro) di pubblicità gratuita per proporre i propri corsi. In giugno ha persino organizzato un workshop dedicato agli atenei nell'intento di presentare vantaggi e pregi della piattaforma. Al momento sono tre le istituzioni che hanno accolto l'invito. La prima è stata l'università di Glasgow, che ha aperto il suo profilo a gennaio e ha oltre 11.000 followers. Sull'account ci sono video con studenti che danzano davanti al chiostro e altre proposte divertenti, per sottolineare le emozioni e le possibilità della vita universitaria nel prestigioso ateneo scozzese. A fine giugno, poi, pure la blasonata Cambridge ha deciso di tentare questa avventura social. Secondo il Times, per cedere gli spazi pubblicitari gratuiti la piattaforma chiedeva all'ateneo di postare almeno due video alla settimana, ma l'università ha sostenuto di non aver accettato l'accordo. L'account però è stato aperto e al momento contiene sette video che hanno raggranellato 570.000 visualizzazioni. Sempre Cambridge, poi, è stata partner della piattaforma cinese nel lanciare il progetto #Learnontiktok, ovvero «Impara con Tik Tok», che è stato sostenuto anche dall'English heritage, la più austera delle associazioni britanniche che si occupano di salvaguardia dei beni culturali e architettonici. A luglio, poi, anche l'università di Liverpool ha aperto il proprio profilo e di certo altre ne seguiranno. Soprattutto in questo momento in cui le iscrizioni sono in calo, un po' per via della Brexit, un po' perché, con lo spauracchio dell'insegnamento a distanza, molti allievi hanno chiesto un rinvio di un anno nell'inizio dei corsi. A questo punto ogni forma di pubblicità è ben accetta, anche quella online. E paradossalmente poco importa che gli allievi debbano fare battute, danzare e ballare dentro il campus anziché parlare dei benefici di una formazione culturale di alto livello. Tra i social network, poi, Tik Tok ha un impatto di primo piano, visto che una ricerca di Yougov sostiene che il 27 per cento degli inglesi tra i 18 e i 24 anni lo usa quotidianamente. Tutti potenziali clienti, che vale la pena di provare a conquistare.
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Impennata di reati a Minneapolis, teatro della morte di George Floyd e città simbolo della lotta per togliere fondi alla polizia. I cittadini ora sono indifesi e vengono invitati dalle autorità ad arrendersi ai furti. Ma l'escalation riguarda tutte le città governate dai dem.Intanto l'app Tik Tok fa impazzire i più importanti atenei inglesi offrendogli pubblicità gratis.Lo speciale contiene due articoli.Non c'è pace a Minneapolis. Dopo la morte di George Floyd lo scorso maggio, il locale dipartimento di polizia è finito nella bufera. Il consiglio municipale punta ad arrivare a un suo smantellamento, mentre, a giugno, ha votato per tagliare 1,5 milioni di dollari al budget per le forze dell'ordine. E, nel frattempo, il corpo di polizia si è progressivamente indebolito. Secondo lo Star Tribune (il principale quotidiano del Minnesota), dalla morte di Floyd il dipartimento di Minneapolis avrebbe infatti perso - tra licenziamenti e dimissioni - complessivamente circa 100 agenti (il 10% delle forze disponibili in città). La situazione sembra addirittura destinata a peggiorare, visto che entro la fine dell'anno si stima che il dipartimento possa lasciare a casa fino a un terzo dei propri dipendenti. Questo stato di cose starebbe già facendo sentire il proprio peso. Sempre stando a quanto riportato dallo Star Tribune, parrebbe che non pochi residenti stiano lamentando non soltanto un'impennata nei crimini, ma anche risposte tardive e inadeguate da parte dei poliziotti. In particolare, negli ultimi tre mesi si è assistito a un notevole incremento di sparatorie, rapine e furti d'auto. In tutto questo, il sito del canale televisivo locale, Kstp, ha riportato che la polizia di Minneapolis avrebbe fornito ai cittadini alcuni «consigli» per prevenire il rischio di rapine e violenze. In particolare, tra le altre cose, si invita a: non camminare da soli, prepararsi ad abbandonare cellulare e portafogli, portare con sé solo gli oggetti di cui si ha strettamente bisogno. In altre parole, le forze dell'ordine non sono più in grado di tutelare la sicurezza e le proprietà dei cittadini. D'altronde, quello che sta accadendo a Minneapolis è soltanto un esempio di che cosa significa indebolire o smantellare i dipartimenti di polizia, come auspicato dagli attivisti di Black lives matter. Una linea che ha soltanto un esito possibile: lasciare le fasce più deboli della popolazione in balìa della criminalità. Non sarà forse un caso che, rispetto all'anno scorso, si sta assistendo a un notevole aumento di reati (a partire da omicidi e sparatorie) in varie città americane: Atlanta, Chicago, Houston, Portland, Seattle, Philadelphia, New York e Los Angeles. Città che hanno, in alcuni casi, tagliato recentemente il budget della propria polizia (si pensi a New York e Los Angeles). Città che da anni sono inoltre guidate da amministrazioni democratiche. Un «dettaglio» interessante, visto che negli Stati Uniti a nominare i vertici della polizia cittadina sono proprio i sindaci. D'altronde, tanto per avere un'idea di cosa sta succedendo, basta sottolineare che, secondo il Chicago Sun-Times, a Chicago si è registrato un aumento degli omicidi del 139% rispetto a luglio 2019, mentre per lo stesso periodo Atlanta ha visto un incremento di oltre il doppio. Si tratta di un fattore potenzialmente problematico per il candidato democratico, Joe Biden, che pur essendosi detto contrario a tagliare i finanziamenti alle forze dell'ordine, si è ritrovato nei fatti sconfessato su questo fronte da alcuni sindaci del suo stesso partito. Senza poi considerare che l'ex vicepresidente sia molto evasivo in materia di ordine pubblico: si ostina a sostenere che la maggior parte delle proteste siano «pacifiche», ha polemizzato contro Trump quando quest'ultimo ha inviato agenti federali a Portland per proteggere il locale palazzo di giustizia e non ha preso posizione chiara su fatti come l'occupazione del centro di Seattle lo scorso giugno da parte dei manifestanti di Black lives matter. È anche probabilmente per questo che, secondo il sito Axios, sondaggi interni al comitato di Trump parrebbero confermare l'efficacia della strategia del presidente nell'additare Biden come una marionetta nelle mani dell'estrema sinistra. Ne consegue che, al di là della pandemia, l'altro grande tema dirimente per questa campagna elettorale sia costituito proprio dall'ordine pubblico. Perché, esattamente come per la questione del coronavirus, anche in questo caso viene chiamata in causa la sopravvivenza stessa del cittadino: dalla salvaguardia della sua sicurezza fisica a quella della sua proprietà. E, in tal senso, non è chiaro quanto alla fine potrà essere apprezzata l'ambiguità di Biden su questo punto. Del resto, pochi giorni fa, oltre 100 agenzie di polizia del Wisconsin si sono tirate indietro, davanti alla richiesta di garantire ordine e sicurezza a Milwaukee, nel corso della convention nazionale del Partito democratico (prevista tra due settimane): una decisione presa, dopo che una commissione cittadina ha emanato una direttiva per vietare l'uso dei lacrimogeni. Secondo l'Associated press, gli agenti temono infatti di non avere a disposizione strumenti adeguati per fronteggiare eventuali disordini. Tutto questo, mentre alcuni procuratori distrettuali, sostenuti da George Soros, sono ormai in prima linea per imporre agende soft in materia di ordine pubblico. È per esempio il caso del procuratore distrettuale di Philadelphia, Larry Krasner, che sul Washington Post ha criticato l'invio di agenti federali a Portland, accusando Trump di autoritarismo. Certo: è pur vero che un recente sondaggio Ipsos mostra che il 54% degli americani si dica insoddisfatto di come il presidente sta gestendo l'ordine pubblico. Tuttavia, a giugno, lo stesso istituto registrava un 58% di scontenti su questo tema. Un segnale? Chissà. La strada per novembre è ancora lunga. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-sinistra-usa-fa-la-fortuna-dei-criminali-2646872848.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ultimatum-di-trump-a-microsoft-45-giorni-per-acquisire-tik-tok" data-post-id="2646872848" data-published-at="1596478068" data-use-pagination="False"> Ultimatum di Trump a Microsoft: 45 giorni per acquisire Tik Tok Oltre che per il Covid, l'estate 2020 passerà agli annali anche come quella di Tik Tok. Il popolare social media, lanciato dalla cinese Bytedance, oltre a essere seguito da milioni di giovani, infatti, di recente sembra essere finito in cima all'agenda dei potenti del mondo. Il presidente americano Donald Trump lo considera un pericolo, perché è convinto che sia al servizio del governo cinese e da tempo è tentato dall'idea di silenziarlo. Satya Nadella, Ceo di Microsoft, invece, ha intenzione di comperarlo ed è stato costretto a incontrare Trump per rassicurarlo sul fatto che, qualora ci riuscisse, terrà conto delle sue preoccupazioni. Il suo progetto è quello di completare i negoziati entro il 15 settembre, ottenendo la cessione non solo delle operazioni della piattaforma in Usa (che vanta 100 milioni di utenti), ma anche in Australia, Nuova Zelanda e Canada. In modo da poter sfidare Facebook e Google. E su questo ieri è arrivato l'ok condizionato della Casa Bianca: Trump ha autorizzato Microsoft a trattare l'acquisto dell'app, a condizione che riesca a ottenere un accordo entro 45 giorni. Nel frattempo, in Europa, la piattaforma è finita al centro delle attenzioni delle più prestigiose università inglesi. Come segnalato dal Times, Bytedance ha offerto a ciascuno dei 24 atenei del Russell group 5.000 sterline (circa 5.500 euro) di pubblicità gratuita per proporre i propri corsi. In giugno ha persino organizzato un workshop dedicato agli atenei nell'intento di presentare vantaggi e pregi della piattaforma. Al momento sono tre le istituzioni che hanno accolto l'invito. La prima è stata l'università di Glasgow, che ha aperto il suo profilo a gennaio e ha oltre 11.000 followers. Sull'account ci sono video con studenti che danzano davanti al chiostro e altre proposte divertenti, per sottolineare le emozioni e le possibilità della vita universitaria nel prestigioso ateneo scozzese. A fine giugno, poi, pure la blasonata Cambridge ha deciso di tentare questa avventura social. Secondo il Times, per cedere gli spazi pubblicitari gratuiti la piattaforma chiedeva all'ateneo di postare almeno due video alla settimana, ma l'università ha sostenuto di non aver accettato l'accordo. L'account però è stato aperto e al momento contiene sette video che hanno raggranellato 570.000 visualizzazioni. Sempre Cambridge, poi, è stata partner della piattaforma cinese nel lanciare il progetto #Learnontiktok, ovvero «Impara con Tik Tok», che è stato sostenuto anche dall'English heritage, la più austera delle associazioni britanniche che si occupano di salvaguardia dei beni culturali e architettonici. A luglio, poi, anche l'università di Liverpool ha aperto il proprio profilo e di certo altre ne seguiranno. Soprattutto in questo momento in cui le iscrizioni sono in calo, un po' per via della Brexit, un po' perché, con lo spauracchio dell'insegnamento a distanza, molti allievi hanno chiesto un rinvio di un anno nell'inizio dei corsi. A questo punto ogni forma di pubblicità è ben accetta, anche quella online. E paradossalmente poco importa che gli allievi debbano fare battute, danzare e ballare dentro il campus anziché parlare dei benefici di una formazione culturale di alto livello. Tra i social network, poi, Tik Tok ha un impatto di primo piano, visto che una ricerca di Yougov sostiene che il 27 per cento degli inglesi tra i 18 e i 24 anni lo usa quotidianamente. Tutti potenziali clienti, che vale la pena di provare a conquistare.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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