2023-04-23
La sinistra nell’Ue fa il tifo contro Saied ma così getterà la Tunisia nel baratro
A destra il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar (Ansa)
Il Pse sta con il partito vicino ai Fratelli musulmani. E il rischio di una Primavera araba bis (con bomba migratoria) è concreto.Il recente arresto del leader del partito Ennahda, Rached Ghannouchi, ha gettato nuove ombre sul presidente tunisino, Kais Saied. Le critiche non sono mancate, a partire da quelle dell’amministrazione Biden. Sia chiaro: il presidente tunisino è un leader controverso e dai tratti autoritari. È quindi doveroso che la comunità internazionale monitori le sue azioni e faccia leva per evitare che commetta violazioni dei diritti civili. Bisogna però fare anche attenzione. Sta infatti iniziando a passare una narrazione che vedrebbe la Tunisia governata da un autocrate tutto intento a reprimere un’opposizione liberaldemocratica. Ecco, le cose non stanno esattamente così. Che Saied si stia macchiando di atti gravi non toglie il fatto che Ennahda, il principale partito di opposizione, non risulti proprio quella che si può definire una forza liberale. Lo schieramento in questione gravita infatti nell’orbita della controversa galassia della Fratellanza musulmana. Inoltre con un potenziale boom migratorio diretto verso le nostre coste, serve pragmatismo, e infatti il governo italiano sta cercando di convincere l’Ue e il Fmi a concedere ossigeno economico a Saied proprio per evitarne il collasso politico che sprofonderebbe il Paese nel caos. Tornando a Ennahda, è interessante notare quanto rilevato in tal senso dal Counter Extremism Project: una Ong, guidata dall’ex ambasciatore americano Mark Wallace e specializzata nel contrasto alle ideologie estremiste. «Ennahda ha raggiunto l’apice del suo potere politico subito dopo la rivoluzione tunisina, quando il partito ha ottenuto la maggioranza relativa alle elezioni dell’ottobre 2011», riporta l’Ong. «Il declino della popolarità del partito è continuato fino alla metà del 2016 quando, in un apparente tentativo di rivitalizzare il partito, il leader Rached Ghannouchi ha cercato pubblicamente di rinnovare la piattaforma di Ennahda», prosegue. «Nonostante questo cambiamento formale della piattaforma, Ghannouchi ha rifiutato di rinunciare ai legami con il movimento globale della Fratellanza, gettando ulteriore scetticismo sulla sincerità della sua nuova piattaforma. Nell’aprile 2016, [...] Ghannouchi ha partecipato a una conferenza internazionale dei Fratelli Musulmani a Istanbul. Ghannouchi ha continuato a servire come membro di alto rango di diverse organizzazioni islamiste e affiliate alla Fratellanza in Europa», si legge ancora. Non solo. La figlia di Ghannouchi, Intissar Kherigi, è stata almeno fino al 2016 nel board di Enar: una Ong, supportata dall’Ue e dalla Open Society di George Soros, il cui ex direttore, Michael Privot, ha ammesso passati legami con la Fratellanza. Senza trascurare che, nel 2012, Ghannouchi prese parte a un convegno organizzato a Roma da Sant’Egidio: nell’occasione, l’allora ministro Andrea Riccardi disse che, grazie alle primavere arabe, il Mediterraneo stava diventando «il mare della democrazia». Nel periodo in cui è stato al potere, Ennahda ha rafforzato i rapporti della Tunisia con Paesi sospettati di aver finanziato i Fratelli musulmani, a partire dal Qatar. Ennahda ha consolidato i propri legami anche con la Turchia di Tayyip Erdogan, che a sua volta vanta strette relazioni con Doha. A gennaio 2020, Ghannouchi, che all’epoca era presidente dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo della Tunisia, fu ricevuto a colloquio dal capo di Stato turco a Istanbul. Inoltre, subito dopo il colpo di mano attuato da Saied a luglio 2021, l’attuale presidente tunisino fu biasimato dallo schieramento politico di Erdogan, l’Akp: un partito che, secondo il Counter Extremism Project, include esponenti favorevoli alla Fratellanza. Ma non è finita qui. Il 7 novembre 2015, il Times of Israel riportò che Ennahda aveva indetto una manifestazione «a sostegno della ’rivolta’ palestinese contro Israele», in cui comparvero bandiere di Hamas. «Questa è essenzialmente un’azione simbolica per mostrare il nostro sostegno alla causa e alla rivolta palestinese», disse nell’occasione il deputato di Ennahda, Sahbi Atig. Secondo Middle East Monitor, a marzo 2020 Ghannouchi ebbe poi un incontro con il cofondatore di Hamas, Mahmud al-Zahar, per discutere di «cooperazione» in funzione antisraeliana. Oltre a essere considerata un’organizzazione terroristica da Usa, Israele e Ue, Hamas gode di buoni rapporti con la Turchia e viene spalleggiata dall’Iran. Insomma, l’autoritarismo di Saied non deve indurci a considerare Ennahda uno schieramento liberale. Bisogna evitare le pericolose dicotomie in cui si cadde nel 2011, quando qualcuno sosteneva che le primavere arabe, benedette all’epoca dall’amministrazione Obama, avrebbero portato la democrazia in Nord Africa. Lo stesso Pse nel 2012 si disse «affascinato» dalle primavere arabe, mentre a febbraio il suo attuale presidente, Stefan Löfven, ha accusato Saied di «repressione antisindacale». In un recente tweet, il gruppo S&D ha inoltre invocato «tolleranza zero» contro il capo di Stato tunisino. Andrebbe tuttavia ricordato che, a seguito di quelle rivoluzioni, o è esploso il caos (Libia) o sono tornati i regimi autoritari (Egitto). È in questo senso che andrebbero quindi lette le (condivisibili) parole di Antonio Tajani, quando a marzo disse: «Non possiamo abbandonare la Tunisia, altrimenti rischiamo di avere i Fratelli musulmani che rischiano di creare instabilità». Il quadro è infatti complesso. E, pur restando saldi nei principi, bisogna evitare semplificazioni manichee, che possano portare a scelte politiche destabilizzanti.
Jose Mourinho (Getty Images)