2019-06-11
Tutti dicono di aver vinto ma il Pd
esce a pezzi
Come ai tempi della prima Repubblica, tutti dicono di aver vinto. E dunque dovremmo dire che, dopo le elezioni amministrative di domenica, non c'è niente di nuovo da segnalare. In realtà qualche cosa di nuovo c'è, ed è sufficiente dare un'occhiata ai risultati senza tener conto delle dichiarazioni dei leader politici. Matteo Salvini dice che l'esito delle votazioni per la Lega è «straordinario». Nicola Zingaretti parla di «belle vittorie e belle conferme» e assicura di essere solo all'inizio. Luigi Di Maio sostiene di essere soddisfatto della vittoria ottenuta a Campobasso. Insomma, tutti felici e contenti e dunque nulla dovrebbe essere cambiato. Eppure i numeri dicono altro rispetto alle frasi rilasciate via agenzia dagli uffici stampa. E allora guardiamole queste cifre, cominciando dalla situazione dei capoluoghi di provincia prima e dopo il voto. La Lega e il centrodestra, prima del 26 maggio, ne guidavano quattro tra quelle in cui si doveva votare, mentre il Pd ne amministrava nove e il Movimento 5 stelle due. Dopo i ballottaggi la situazione è la seguente: Salvini e alleati sono passati da quattro a sette, Zingaretti e compagni da nove a sei, Di Maio e i suoi cittadini da due a uno. Se la matematica non è un'opinione, l'unico che domenica ci ha guadagnato qualche cosa è il capitano leghista, che ha conquistato tre città in più (in realtà sarebbero quattro, ma in un caso si tratta di una lista civica vicina al centrodestra, ma non automaticamente riconducibile a Salvini). Gli altri, al contrario, hanno perso. In qualche caso si tratta di sconfitte storiche, come quelle di Ferrara e Forlì, nella rossa Emilia Romagna, che certo non possono essere mitigate dalla riconquista di Livorno, anche perché in Toscana il Pd ha dovuto passare la mano su Piombino.E qui stiamo parlando di comuni capoluogo di provincia, ma anche altrove, cioè nei centri più piccoli, le cose non sono andate meglio. Delle 226 amministrazioni che si dovevano rinnovare, la Lega e il centrodestra ne hanno portate a casa 84, mentre al Partito democratico ne sono andate 115 e una sola ai grillini (le altre che mancano all'appello sono state conquistate da liste civiche). Messa così, la vittoria dovrebbe essere assegnata ai compagni, i quali avrebbero qualche motivo per gioire. In realtà, se si osserva la situazione prima delle urne, essa appare un po' modificata, perché il centrodestra a trazione leghista di comuni ne controllava appena 48, mentre il partito di Zingaretti ne aveva 153 e il M5s quattro. Anche qui, chi sa far di conto comprenderà che passare da 153 a 115 significa aver perso 38 sindaci, mentre salire da 48 a 84 vuol dire averne conquistati 36 in più. Quanto ai grillini, prima guidavano quattro giunte, adesso devono accontentarsi di una, in questo caso Campobasso.Basterebbero i numeri, a dire il vero impietosi, a fare giustizia delle chiacchiere. A questa tornata elettorale non ci sono più vincitori, come invece sembrerebbe leggendo certe dichiarazioni politiche: ce n'è uno solo ed è il partito di Salvini, che insieme al centrodestra si ritrova con 36 sindaci in più rispetto al 26 maggio. Il resto sono chiacchiere o sparate senza alcuna relazione con la realtà. Da questo punto di vista, la migliore della giornata è quella diffusa a tarda notte da Paolo Gentiloni. L'ex presidente del Consiglio, dopo aver appreso dell'andamento dei ballottaggi, infatti ha twittato: «Nella sfida delle città babbo #Salvini non sfonda. Straordinario il nostro successo a Livorno». Ora, non si sa che cosa si aspettasse dal voto l'ex premier, forse una disfatta del suo partito. Ma dire che uno non sfonda perché non ha espugnato pure Reggio Emilia e Prato fa un po' ridere. La sinistra ha dovuto cedere Ferrara, una città che amministrava da 74 anni, e a Forlì, su 109 sezioni, il Pd è riuscito a vincere solo in 25: in alcune zone, tradizionalmente popolari, il consenso per il candidato di centrodestra è arrivato al 62%. Questo significa non sfondare? Espugnare città che da decenni erano dominate dalla sinistra è da considerarsi una battuta d'arresto? Alle dichiarazioni dei politici il giorno dopo le elezioni ovviamente siamo abituati. Anche ai tempi di Andreotti e di Berlinguer ci toccava sorbirci in tv discorsi di circostanza che tentavano di non far capire chi fosse lo sconfitto, ma in questo caso ci pare troppo. Negli ultimi anni, grazie a Matteo Renzi, la sinistra ha perso tutto ciò che c'era da perdere: Pisa, Pistoia, Arezzo, Grosseto, Siena e Imola. Adesso, nonostante Zingaretti e la sparizione di Leu, si sono aggiunte Ferrara, Forlì, Piombino e Cortona. Manca dunque un tassello alla conquista definitiva delle ultime roccaforti del Pd: le regioni rosse. Il primo appuntamento è a dicembre in Emilia Romagna, dove alle europee la Lega ha preso il 33%, diventando il primo partito.