2022-04-26
La sinistra esplode sulla Liberazione. Fischi per Letta: «Servo della Nato»
La guerra trasforma il 25 Aprile nella resa dei conti all’interno dell’antifascismo militante: il segretario del Pd insultato nel corteo, Vauro attacca Sergio Mattarella ma viene contestato in diretta. E pure i grillini si spaccano.Egocentrismi rossi. Lo scontro frontale avviene in piazza del Duomo a Milano dove i titolari di cattedra del 25 aprile, altrimenti noti come brigate Stalin, si ritrovano nel corteo nazionale con gli infiltrati delle brigate Biden, che in nome dell’Ucraina libera (del resto chiamasi Festa della Liberazione) sventolano le bandiere dell’Alleanza atlantica. Il corto circuito è al tempo stesso surreale e psicologicamente insostenibile, tanto che gli autoproclamati da 77 anni a gestire i cliché della Resistenza - Putin o non Putin - non riescono proprio a resistere all’affronto. Chiedono agli ultimi arrivati di andarsene, di arrotolare le loro bandiere politicamente scorrette ed evaporare verso la pianura sarmatica. Quando vedono Enrico Letta idealmente con l’elmetto camminare dentro la comfort zone del Pd, lo spernacchiano come se fosse Giorgia Meloni. «Sei un servo della Nato», gli urlano al limite dell’isteria. E poi: «Guerrafondaio, rappresenti solo i tuoi amici a Washington», «Fuori l’Italia dalla guerra imperialista». Per aggiungere infine qualcosa che sa inevitabilmente di Cia: «Fuori i servizi della Nato dal corteo».Niente di nuovo per chi non appartiene al circolino postmarxista né alla Ditta. Se non hai la patente; se ritieni che celebrare la liberazione dal nazifascismo sia un dovere repubblicano e condiviso; se non sei intriso dalla mistica del mitra inceppato a Giulino di Mezzegra, non sei gradito neppure se ti chiami Peppe Provenzano. Il gotha nazarenico abbozza, il settore piddino sbanda e il segretario più twittarolo della sinistra di governo copre lo smacco con una coltre di silenzio. Il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo (sbeffeggiato perché non sufficientemente antiputiniano), prova a tendergli la mano amica: «La contestazione è un grave errore perché queste cose il 25 aprile non servono mai. Anche quando ci sono posizioni diverse bisogna evitare che su singoli fatti si perda la bussola di una posizione unitaria». Ma la platea fischia, ulula, invoca i cosacchi al Giambellino.Gli elicotteri della polizia volteggiano, si teme la scintilla ma ciascuno tiene la sicura sugli sten paracadutati dagli inglesi (così ci hanno insegnato il nonno, Giorgio Bocca e Renzo De Felice) e ci si limita a litigare sui numeri: 70.000 per l’Anpi, 25.000 per la questura. Anche questa è una scaramuccia che arriva da lontano; a quel tempo le brigate Solaio che calarono in strada quando la quinta armata del generale Mark Clark aveva già vinto la campagna d’Italia, erano la stragrande maggioranza. Quella dell’anno bellico 2022 è una cerimonia ancora più divisiva del solito. Fino ad ora erano sostanzialmente le divisioni di sempre tra chi vuole attribuirsi i meriti della Liberazione e chi non vuole che se li prenda una parte sola. Anche gli insulti dei centri sociali alla Brigata Ebraica (puntuali come un rito di passaggio) erano colpevolemente derubricati a liti da ballatoio. Ma attorno alle armi all’Ucraina c’è il corto circuito assoluto. Nella rissa verbale non si salva neppure il presidente della Repubblica, che in mattinata ad Acerra aveva sottolineato: «Pensando agli ucraini svegliati dalle bombe e dai carri armati mi sono venute in mente le parole “Questa mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor”. Sono le prime di Bella Ciao e questo tornare indietro della storia rappresenta un pericolo non solo per l’Ucraina ma per tutti gli europei». L’accostamento è considerato blasfemo dai nipoti dei partigiani, anche perché Sergio Mattarella era vicepremier del governo ulivista quando i belgradesi furono svegliati dalle bombe buone di Bill Clinton e Massimo D’Alema, ma non ebbe soprassalti. Lo fa notare in Tv il vignettista Vauro aggiungendo: «Lui non è più il garante della Costituzione» e viene rimbeccato in diretta da una manifestante antifa come lui. La doppia morale galoppa, la maionese rossa impazzisce e l’affaire Ucraina si ingarbuglia a Milano e altrove; stesse reazioni a Roma, Torino, Cagliari. I rappresentanti del popolo invaso sfilano cantando brani patriottici e scandendo «Putin assassino»; i molti nostalgici dell’Unione Sovietica li fischiano, vorrebbero mandarli via, gruppi di antagonisti li apostrofano: «Nazisti». Chissà se avessero sfilato, come sognava Giuliano Ferrara, le insegne del battaglione Azov. Anche dalle parti del Movimento 5 stelle c’è imbarazzo, per la terza volta in una settimana Giuseppe Conte annuncia di voler cacciare Vito Petrocelli, presidente della commissione Esteri al Senato, per il «Buona festa della LiberaZione» con la zeta da assaltatore ceceno. Quella che almeno la metà dei manifestanti del 25 Aprile (di sicuro chi ha contestato Letta) ha dipinta sul cuore. Il resto è retorica perché evocare la Liberazione dopo due anni di lockdown pandemici, di Dpcm imposti a colpi di fiducia e di restrizioni arbitrarie delle libertà costituzionali risulta un bizzarro esercizio di stile. Lo porta a termine con entusiasmo il sindaco di Milano Giuseppe Sala, con un discorso passepartout da Municipio 1, anodino e buono anche negli anni Settanta: «Questa è la festa della democrazia, questa è la festa della libertà dal fascismo e dal nazismo e su questo non ci dividiamo. L’identità del nostro continente è precisa. Non è possibile avere tentennamenti e guidare formazioni politiche che non hanno fatto i conti con il passato. Basta ambiguità». Sta parlando davanti alle due o tre sinistre che hanno appena finito di prendersi a schiaffi. Ma non sembra accorgersene.