2021-04-21
La Serie A per l’Italia è un’industria che gli ammutinati avrebbero fatto morire
Se il progetto di Agnelli & C. avesse azzoppato il campionato, a risentirne sarebbe stato il Paese. Il comparto frutta infatti 1,3 miliardi di contribuzione fiscale. Senza contare l'indotto, i posti di lavoro e le attività collegatePer capire l'impatto che la nuova Superlega potrebbe avere non solo sul nostro campionato, ma su tutto il sistema economico italiano, bisogna andare a riprendere il report che Pwc (Pricewaterhousecooper) aveva redatto per la Figc nel 2020, prima dell'emergenza sanitaria. In quelle 168 pagine ci sono i numeri che in questo momento rimbalzano sulle scrivanie di tutte le squadre di calcio italiane, ma anche di quelle del governo. Non è un caso quindi che anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi, sia intervenuto sulla questione nei giorni scorsi. Perché se Milan, Juventus e Inter dovessero lasciare la Serie A, a risentirne sarebbero persino le entrate fiscali dello Stato o quelle dell'Inps, la nostra cassa di previdenza pensionistica. Proprio su questo si concentra la trattativa su quello che resterà della nostra Serie A. Certo, in questi giorni sui giornali si è parlato soprattutto dei debiti delle tre big del campionato. Ma bisognerebbe anche dare un'occhiata ai ricavi e a quanto rischia di perdere il sistema Paese. Non è solo una questione di squadre piccole che sfidano le più grandi con la speranza di vincere. È un tema di sopravvivenza per tutti, anche per il calcio dilettantistico o per gli altri sport. Non a caso a fronte delle prese di posizione molto dure di alcune società, come il Torino di Urbano Cairo, altre come la Roma si limitano a dire di essere contrarie «a questo modello “chiuso", perché totalmente in contrasto con lo spirito del gioco che tutti noi amiamo». Le trattative nel dietro le quinte, infatti, sono più che mai avviate. Diversi club, tra cui Lazio e Napoli, soprattutto, vogliono vedere le carte, ben sapendo che tagliare fuori l'Uefa e la Fifa potrebbe giovare allo stesso campionato italiano. Ne potrebbe persino valorizzare il brand, con un torneo più snello, con i playoff, dove i diritti televisivi internazionali varrebbero anche di più. Di sicuro senza Milan, Juve e Inter non si va molto lontani. Basti pensare che tra il 2018 e 2019 il valore della produzione dell'industria del calcio per la sola serie A è stata pari a 3,8 miliardi di euro. Le tre squadre che dovrebbero partecipare alla nuova Superlega pesano da sole circa il 35% sul totale, ovvero 1,33 miliardi di euro. Se si aggiungono anche Roma e Napoli, altre due formazioni che potrebbero unirsi al nuovo torneo tra club europei, si passa al 57% di fatturato: più della metà di tutti i ricavi del campionato. E «in misura analoga, si osserva la stessa distribuzione anche per i costi di produzione, laddove le prime cinque società della serie maggiore contribuiscono per circa il 58% del totale dei costi». Le cinque grandi catturano poi l'84% del seguito dei tifosi dell'intera Serie A. Non bastano i ricavi. Basta dare un'occhiata alla contribuzione fiscale e previdenziale «aggregata del calcio professionistico italiano» per capire che anche in via XX Settembre, sede del ministero dell'Economia, non facciano i salti di gioia nel pensare che Juve, Milan e Inter non giochino più il nostro campionato. Nel solo 2017, infatti, la contribuzione fiscale «ha raggiunto i quasi 1,3 miliardi di euro, in crescita del 7,4% rispetto al 2016 e addirittura del 47% rispetto al 2006 (quando il dato non superava gli 864,5 milioni di euro)», si legge nella relazione. «La voce con la più alta incidenza continua a riguardare le ritenute Irpef (49% del totale), seguite dall'Iva (20%), dalle scommesse sul calcio (15%), dalla contribuzione previdenziale Inps (11%) e dall'Irap (4%), mentre l'incidenza dell'Ires è pari all'1%. Prosegue anche la crescita del reddito da lavoro dipendente, in aumento tra il 2016 e il 2017 del 5,5%, fino a superare i 1.532 milioni di euro, e continua l'incremento del numero dei contribuenti, che per la prima volta dal 2009 supera le 11.000 unità». Non solo. A questo si aggiunge che «il numero di lavoratori dipendenti con redditi superiori a 200.000 euro raggiunge quota 1.066, dato record tra quelli registrati negli ultimi 12 anni. Il calcio professionistico continua inoltre a rappresentare il principale sistema sportivo dal punto di vista della contribuzione fiscale, con un'incidenza del 71,5% rispetto al gettito complessivo generato dal comparto sportivo italiano, dato in crescita rispetto al 69,8% registrato nel 2016». Solo per l'Inps, il contributo tra il 2006 e il 2018 «è passato da 74,2 a 141,7 milioni di euro». Per le scommesse si parla di un aumento di almeno cinque volte tra il 2006 e il 2019, passando da 2,1 a 10,4 miliardi di euro, con un «gettito erariale passato da 171,7 a 248,5 milioni di euro (il secondo sport, il tennis, non supera i 60,6 milioni, mentre il basket si ferma a 23,6)».Come è noto i ricavi dei diritti televisivi e radio costituiscono ancora il principale ricavo per i club, in media circa il 40%. Mentre gli introiti degli ingressi allo stadio contribuiscono appena per il 9%. Nel solo 2019 l'audience è stata pari a 2,3 miliardi di telespettatori. Le plusvalenze rappresentano la seconda fonte di ricavo (21% del totale). Sono alti anche i ricavi da sponsor e attività commerciali (circa il 19% del totale). Secondo lo studio di Pwc fatto per la Figc, sono più di un milione i calciatori tesserati, con un impatto socio economico totale di 3,1 miliardi di euro, di cui almeno 726 milioni di euro tra investimenti infrastrutturali (140 milioni), consumi dei calciatori (585 milioni di euro) e posti di lavoro creati (99.000). Ci sarebbe almeno 1 miliardo e 200 milioni di euro a beneficio persino del sistema sanitario nazionale.
Il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin (Imagoeconomica). Nel riquadro il programma dell'evento organizzato da La Verità
Charlie Kirk con la moglie Erika Frantzve (Getty Images)
L’AIE cambia idea, niente picco di domanda. Tassonomia Ue, gas e nucleare restano. Stagione atlantica avara di uragani. La Germania chiede più quote di emissione. Cina in ritardo sul Net Zero. Maxi-diga in Etiopia.