Nonostante 527.000 euro di contributi, le emittenti locali hanno fatto ricorso contro il riordino dei canali con l’appoggio di Nello Musumeci. Lamentano la perdita di posti di lavoro che non compaiono nei documenti ufficiali.
Nonostante 527.000 euro di contributi, le emittenti locali hanno fatto ricorso contro il riordino dei canali con l’appoggio di Nello Musumeci. Lamentano la perdita di posti di lavoro che non compaiono nei documenti ufficiali.Molte delle circa 120 televisioni private che hanno finora trasmesso sul territorio della Sicilia, comprese alcune delle 80 autoproclamatesi «escluse dalla transizione verso la nuova tecnologia digitale», e che a fine febbraio avevano annunciato di aver dato mandato all’avvocato Antonio Ingroia di presentare alla Procura di Roma un esposto denuncia, hanno percepito per il 2021 contributi pubblici dal ministero dello Sviluppo economico. Alle 48 «tv comunitarie (una definizione che identifica le televisioni che non hanno carattere commerciale, ma possono, in maniera più limitata, trasmettere spot pubblicitari, nda)» che hanno ottenuto il contributo, sono andati complessivamente 527.000 euro. Sulla tabella del Mise, ben 42 di queste, nella voce del punteggio «riferito al criterio dipendenti e giornalisti», hanno un desolante 0,000. Eppure, all’epoca dell’annuncio dell’iniziativa giudiziaria, uno degli allarmi era proprio quello del rischio dei licenziamenti di massa. ll leader della protesta, Sebastiano Roccaro, imprenditore del settore televisivo, noto anche per essere stato nel 2012 il responsabile della comunicazione della campagna elettorale dell’ex presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, e per la successiva storia di un curioso finanziamento di 1,2 milioni di euro erogato dallo stesso Crocetta a un istituto di giornalismo presieduto proprio dal giornalista pubblicista, vicenda che era finita sui giornali nel 2015, aveva paventato alla Verità numeri da capogiro. Roccaro, infatti, aveva denunciato che «circa 350 giornalisti, circa 500 operatori e circa 200 registi» rischiavano il posto. Questo dopo aver già, secondo quanto riportato dall’Ansa, parlato «diritto all’informazione e interruzione di pubblico servizio» e sollevato «la presunta incostituzionalità del bando», affermando che Catania e Siracusa erano «penalizzate da un piano di assegnazione delle frequenze che non tiene conto delle emittenti presenti sul territorio». Contattato dalla Verità Ingroia aveva confermato l’incarico, ma manifestato molta più prudenza del portavoce delle tv locali dell’isola: «Stiamo studiando quali sono i profili da sottoporre all’autorità giudiziaria, certamente alcune violazioni possono avere rilievo penale». Ma chi è il leader della protesta delle tv private siciliane, che puntano a mettere in crisi il passaggio all’alta definizione con la nuova tecnologia di codifica dei canali locali, che sta avvenendo per aree geografiche, dopo che lo switch off delle reti nazionali è già operativo dall’8 marzo scorso? Nella banca dati del Mise, risulta una sua iscrizione, nel 2018, come presidente di una onlus, l’associazione Rosina Attardi. Nome che nella tabella dei contributi Mise 2021 compare 12 volte accanto ai nomi di altrettante «tv comunitarie», che hanno ricevuto complessivamente oltre 100.000 euro. Delle 12 televisioni controllate dalla onlus, registrata al Mise da Roccaro, solo una ha un punteggio superiore a zero alla voce su dipendenti e giornalisti. Ma, oltre all’interesse nel mantenimento dello status quo da parte della miriade di piccole televisioni, va evidenziato che molte delle televisioni destinate a scomparire, hanno scelto di non partecipare al bando del Mise per le nuove frequenze. Nella prima graduatoria, stilata il 21 gennaio, infatti, erano presenti solo 88 televisioni, di cui dieci facenti capo proprio all’associazione Rosina Attardi. Ma nella graduatoria definitiva dell’8 marzo, i canali tv siciliani in graduatoria erano scesi a 55. Dunque, oltre la metà dei canali che, secondo quanto aveva spiegato alla Verità nel febbraio scorso Pino Maniaci, storico volto di Telejato, definita dal giornalista «la tv antimafia», trasmettevano in Sicilia, potrebbero aver scelto di non partecipare al bando, entrando a far parte di quelli che Ingroia aveva definito «gli irriducibili», o di rinunciare in corso d’opera. Lo stesso giorno, però, Roccaro ci aveva detto, prima della pubblicazione della graduatoria definitiva dove scompaiono le tv controllate dalla onlus Attardi, che tutte le reti che aderivano alla protesta, avevano partecipato al bando ma erano «state escluse perché non ci sono le frequenze, sono entrate solo 27, 28 circa». Ma, come detto, nella prima graduatoria, in vigore alle data del colloquio, avvenuto il 23 febbraio, erano presenti anche le dieci reti della Attardi. Tutte, tranne Canale 8 con un punteggio pari a zero, come lo sono però anche alcune televisioni presenti nella graduatoria definitiva. A fianco delle tv private ribelli, era sceso anche il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci. Che in una lettera del 15 febbraio indirizzata al ministro Giancarlo Giorgetti, dopo aver fatto suo l’allarme occupazione, affermando che i canali a rischio chiusura davano «stabile occupazione per centinaia di giornalisti e specialisti locali», aveva chiesto il «differimento per almeno un anno in più rispetto alla scadenza del primo marzo 2022», del termine di sostanziale «spegnimento» delle emittenti locali attualmente operanti». Un sostegno alla secessione delle tv siciliane che rischia di bloccare la riforma dell’intero settore.
Francesco Filini (Ansa)
Parla il deputato che guida il centro studi di Fdi ed è considerato l’ideologo del partito: «Macché, sono solo un militante e il potere mi fa paura. Da Ranucci accuse gravi e infondate. La sinistra aveva militarizzato la Rai».
Francesco Filini, deputato di Fratelli d’Italia, la danno in strepitosa ascesa.
«Faccio politica da oltre trent’anni. Non sono né in ascesa né in discesa. Contribuisco alla causa».
Tra le altre cose, è responsabile del programma di Fratelli d’Italia.
«Giorgia Meloni ha iniziato questa legislatura con un motto: “Non disturbare chi vuole fare”. Il nostro obiettivo era quello di liberare le energie produttive».
Al centro Joseph Shaw
Il filosofo britannico: «Gli islamici vengono usati per silenziare i cristiani nella sfera pubblica, ma non sono loro a chiederlo».
Joseph Shaw è un filosofo cattolico britannico, presidente della Latin Mass Society, realtà nata per tramandare la liturgia della messa tradizionale (pre Vaticano II) in Inghilterra e Galles.
Dottor Shaw, nel Regno Unito alcune persone sono state arrestate per aver pregato fuori dalle cliniche abortive. Crede che stiate diventando un Paese anticristiano?
«Senza dubbio negli ultimi decenni c’è stato un tentativo concertato di escludere le espressioni del cristianesimo dalla sfera pubblica. Un esempio è l’attacco alla vita dei non nati, ma anche il tentativo di soffocare qualsiasi risposta cristiana a tale fenomeno. Questi arresti quasi mai sono legalmente giustificati: in genere le persone vengono rilasciate senza accuse. La polizia va oltre la legge, anche se la stessa legge è già piuttosto draconiana e ingiusta. In realtà, preferiscono evitare che questi temi emergano in un’aula giudiziaria pubblica, e questo è interessante. Ovviamente non si tratta di singoli agenti: la polizia è guidata da varie istituzioni, che forniscono linee guida e altro. Ora siamo nel pieno di un dibattito in Parlamento sull’eutanasia. I sostenitori dicono esplicitamente: “L’opposizione viene tutta dai cristiani, quindi dovrebbe essere ignorata”, come se i cristiani non avessero diritto di parola nel processo democratico. In tutto il Paese c’è la percezione che il cristianesimo sia qualcosa di negativo, da spazzare via. Certo, è solo una parte dell’opinione pubblica, non la maggioranza. Ma è qualcosa che si nota nella classe politica, non universalmente, tra gli attori importanti».
Stephen Miran (Ansa)
L’uomo di Trump alla Fed: «I dazi abbassano il deficit. Se in futuro dovessero incidere sui prezzi, la variazione sarebbe una tantum».
È l’uomo di Donald Trump alla Fed. Lo scorso agosto, il presidente americano lo ha infatti designato come membro del Board of Governors della banca centrale statunitense in sostituzione della dimissionaria Adriana Kugler: una nomina che è stata confermata dal Senato a settembre. Quello di Stephen Miran è d’altronde un nome noto. Fino all’incarico attuale, era stato presidente del Council of Economic Advisors della Casa Bianca e, in tale veste, era stato uno dei principali architetti della politica dei dazi, promossa da Trump.
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