2021-02-14
La scommessa di Salvini: allearsi con Mario
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Sergio Mattarella ha fatto il segretario di 4 partiti scegliendo i ministri all'insaputa dei leader: l'azzardo del leghista è ancora più difficile. Ma può contare sul pragmatismo antitedesco di Mario Draghi in Ue. E giocare un ruolo da «kingmaker» per l'ascesa di Mr Bce al Colle.Su tre dicasteri, senza portafoglio, due sono andati ai «ribelli» Renato Brunetta e Mara Carfagna.Lo speciale contiene due articoli.Venerdì, quando si è iniziato a capire che Mario Draghi sarebbe salito al Colle con la mitologica lista dei ministri, sono partite telefonate incrociate tra i leader di partito: il motivo dei contatti diretti tra Matteo Renzi, l'omonimo Salvini e Nicola Zingaretti era lo stesso: «Ma tu lo sai chi sono i tuoi ministri?». Uguali, nella sostanza, le rispettive risposte: «No, e tu?». Solo la condivisione dell'imbarazzo lo ha in parte stemperato: è diventato chiaro che il segretario di partito di Pd, Lega, Fi e Iv era stato in quelle ore lo stesso: Sergio Mattarella. Si potrà a lungo discutere sull'estensione dei poteri del Colle: un governo che ottenga la fiducia delle Camere è comunque legittimato. Ma un esecutivo composto da 15 figure di partito senza indicazione esplicita da parte dei rispettivi capi è una novità anche per la politica italiana.Matteo Salvini ha fatto il suo «all in» su Draghi contando sull'intuizione - giusta - che l'ex capo della Bce, una volta completata la cintura tecnocratica attorno al suo governo, avesse necessità di una sponda solida di centrodestra. Non tanto per una questione di numeri (la «maggioranza Ursula», prima opzione del Pd e forse del Colle, sarebbe bastata) quanto per equilibrio politico. Forse però non si aspettava che le scelte sui nomi, già ristrette dal contesto, fossero in capo al presidente della Repubblica, in un dialogo con il nuovo premier che ha reinventato con discutibile protagonismo l'articolo 92 della Costituzione.Da venerdì sera la scommessa di Salvini si è fatta dunque più difficile ma anche più interessante. Più difficile, perché le scelte di Mattarella paiono cesellate per tentare un'operazione spericolata ai danni del leader leghista. Non è in discussione tanto il rapporto con i vertici del partito dei singoli ministri scelti (il segretario li ha convocati per oggi), quanto la loro appartenenza a una presunta area ritenuta «responsabile» dal punto di vista del Quirinale. Aver aperto a Draghi «senza veti» ha messo Salvini (come Berlusconi, Renzi e in parte pure Zingaretti) nell'obbligo di fare buon viso davanti a scelte altrui: da questo punto di vista, le nomine dei sottosegretari e dei viceministri saranno un tornante più importante del solito per ridare peso e centralità ai segretari di partito. Si consumeranno piccole ma interessanti vendette a vari livelli. E da queste nomine in avanti si capiranno le prospettive della scommessa di Salvini, giocata almeno su due piani. Il primo è europeo. È abbastanza fuori strada chi dipinge, su questo, una spaccatura tra «europeisti» e «sovranisti» nel Carroccio: per quanto ovviamente Giorgetti sia a suo agio al governo con Draghi, chi ha contribuito a portare nel partito il dibattito sulla razionalità della costruzione comunitaria è in realtà aperto all'opzione «Super Mario». Secondo questa interpretazione - peraltro esplicitata «in chiaro» per esempio da Claudio Borghi - l'indubbia dimestichezza dell'ex governatore della Bce può essere l'occasione per dare un'inquadratura laica al tema dello spazio negoziale nel perimetro dell'Unione. Dove fin qui un «europeismo» acritico ha finito per cancellare la categoria stessa dell'interesse nazionale, a differenza di quanto hanno fatto praticamente tutti i nostri partner. Se Draghi darà pragmatismo operativo ad anni di contrapposizioni sterili su «sovranismo», «populismo» e altre astrazioni polarizzanti, si porrà inevitabilmente in attrito con l'egemonia tedesca sul patto di stabilità e le condizioni del Recovery fund, e Salvini potrà dire di non aver sprecato le sue fiches. Il secondo piano è interno. Mattarella pare avere ogni intenzione di tenere in piedi la trincea ideologica un po' fumosa dell'«antisovranismo», proprio al fine di indebolire la leadership del Carroccio. Su cosa si misurerà la presa del leader sui gruppi parlamentari? Durata dell'esecutivo, legge elettorale ed elezioni del Colle. Semplificando un po', la scommessa «interna» di Salvini, aiutato in questo da un partito molto strutturato e verticistico (e dal fatto di averlo pur sempre preso al 3% e portato a ridosso del 30), coincide con un'alleanza di lungo periodo proprio con Mario Draghi. La durata del governo è infatti decisiva per l'incastro istituzionale che porta alla scelta del successore di Sergio Mattarella. Se il nuovo premier davvero lavora al grande salto, dovrà costruire, mentre governa, una base parlamentare (e una norma per votare) che lo porti al Quirinale. Non è detto che l'operazione sia allineata con i desiderata dell'attuale inquilino, anzi. Ma la presenza della Lega nella nuova maggioranza - probabilmente un imprevisto sgradito a molti, forse anche a Mattarella - consegna a Salvini un possibile ruolo di kingmaker (con Fi) e una centralità potenzialmente maggiore rispetto a quando era al governo con Di Maio e soci.Certo, è uno scenario, ovviamente liquefacibile in poche settimane. Siccome la scommessa è ad alto rischio, ce n'è anche uno opposto. Quello in cui la Lega è costretta ad assistere a un rientro del Paese nei vincoli Ue a colpi di tagli e tasse, a tenersi Draghi al governo fino al 2023 e a rieleggere Sergio Mattarella o chi per lui. Del resto, se l'esito fosse certo che scommessa sarebbe?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-scommessa-di-salvini-allearsi-con-mario-2650529125.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-cav-abbozza-pero-mastica-amaro-forza-italia-finisce-in-un-angolo" data-post-id="2650529125" data-published-at="1613247523" data-use-pagination="False"> Il Cav abbozza però mastica amaro. Forza Italia finisce in un angolo Al netto delle dichiarazioni ufficiali, chi ha visto Silvio Berlusconi nelle ultime 24 ore racconta di un Cavaliere «arrabbiato», non solo per il nuovo governo di Mario Draghi, ma anche per «il trattamento ricevuto». Il leader di Forza Italia aveva deciso di spostarsi fino a Roma per incontrare l'ex presidente della Bce, nonostante i medici continuino a consigliargli di stare tranquillo: la caduta accidentale e il ricovero di una notte in clinica non hanno di certo fatto diminuire le preoccupazioni. La nota uscita venerdì sera aveva i toni concilianti. «Forza Italia farà la sua parte: è quello che avevo dichiarato l'altro giorno al termine dell'incontro con il presidente Draghi, e che ripeto volentieri stasera», ha dichiarato Berlusconi, «Accolgo infatti con soddisfazione la nomina a ministri della Repubblica di Renato Brunetta, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, sicuro che si impegneranno con l'abituale dedizione portando un contributo di competenza e di esperienza all'azione dell'intera compagine governativa. Al presidente Draghi e a tutto il governo il più vivo augurio di buon lavoro». Ma la situazione sarebbe molto più complessa. Del resto durante il colloquio tra i due si era parlato soprattutto di Antonio Tajani, considerato in questi ultimi tempi come il braccio destro del Cavaliere. Tanto che venerdì sera, prima che Draghi inforcasse la sua station wagon per recarsi al Quirinale, dentro Forza Italia erano tutti convinti che alla fine i ministri azzurri nel nuovo governo sarebbero stati due, Tajani e il capogruppo al Senato Anna Maria Bernini. Poi però deve essere successo qualcosa. A quanto pare a muoversi sarebbe stato Gianni Letta in persona, in modo da riequilibrare pesi e contrappesi. Da tempo gli azzurri sono divisi in schieramenti. Da una parte ci sono appunto Letta, Mara Carfagna e Renato Brunetta, dall'altra Tajani, Licia Ronzulli, Niccolò Ghedini e la Bernini. Prima che Draghi varcasse il portone del Quirinale, quindi, l'impressione era che il secondo gruppo potesse portare a casa un tranquillo 2 a 0 secco, per dirla in gergo calcistico. Insomma nessuno si aspettava grossi colpi di scena. L'intervento di Letta sarebbe servito a rimettere equilibrio. E anche a tenere dentro il partito Mara Carfagna, data da tempo in uscita da Forza Italia. Quindi mentre la macchina di Draghi parcheggiava, la situazione sul pallottoliere sembrava questa: gli azzurri avrebbero portato a casa due ministeri, con Tajani e la Carfagna. La Bernini sarebbe stata depennata all'ultimo momento, facendo così saltare anche la nomina a capogruppo al Senato della Ronzulli. Ma il risultato non era quello definitivo. A scompaginare il quadro, suggeriscono i bene informati, potrebbe essere subentrata anche la moral suasion del Quirinale, da sempre propenso a una maggioranza Ursula alla amatriciana, con un occhio di riguardo nei confronti dell'ala moderata di Forza Italia. Così dopo la Carfagna ecco spuntare Brunetta come ministro della Pubblica amministrazione nella lista di Draghi. Lo stesso Brunetta che nell'ultimo mese aveva lanciato ramoscelli d'ulivo a Giuseppe Conte, tanto da minacciare persino di votare la fiducia all'avvocato di Volturara Appula. E infine a spuntarla è stata Mariastella Gelmini, come ministro per gli Affari regionali. La Gelmini è considerata un po' fuori dagli schemi, quindi slegata dalle diatribe interne. Sta di fatto che dopo il discorso di Draghi la situazione si è ribaltata. Se il primo gruppo pensava di aver perso 2 a 0, alla fine ha vinto 2 a 1. Il problema adesso sono i troppi nodi da sciogliere sul tappeto. In Forza Italia alla fine nessuno si aspettava un risultato di questo tipo. Anche perché il messaggio che è arrivato al partito non è di sicuro dei migliori. Prima ti lamenti, fai il contro canto e minacci di uscire, poi se tutto va bene alla fine vai a fare il ministro (anche se senza portafoglio, altra nota dolente per il Cav).
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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