
Siamo un Paese vecchio, asfittico, che ha paura del nuovo e del futuro, non fa figli e non fonda nulla. Ingessato nella burocrazia, soffocato dal fisco, scoraggiato da ogni tentativo di rischiare. Servono grandi riforme che non rinneghino identità, storia, cultura. Signori della grande stampa e della tv, venditori di almanacchi e di oroscopi politicamente corretti, l'annuncio che avete dato a reti unificate è una bufala: il sovranismo non è finito dopo l'euroaccordo con Bruxelles sulla manovra. Semplicemente non è ancora cominciato. Lo dico anche ai suoi fautori; il compito per l'anno neonato è far nascere un vero, maturo, duraturo, sovranismo. Ossia un governo che governi nel nome del popolo sovrano e dell'amor patrio, che decida come sa decidere un governo davvero sovrano, che sappia anteporre gli interessi generali e nazionali a quelli settoriali e particolari e stabilisca il primato della politica e della comunità nazionale sulla finanza e sulla tecnocrazia globali. Ieri Sergio Mattarella è apparso prudente più del solito e rispettoso di tutti, non ha attaccato sovranisti e populisti, si è appellato in modo ecumenico alla comunità. È stato il Papa a far la predica più politica, parlando contro ignoti e rivolgendosi alla cristianità che per lui si riduce alla comunità di Sant'Egidio e paraggi. Ma il problema che hanno eluso entrambi è che i valori condivisi non ci sono più, tocca rifondarli. Non solo i «valori» delle opposizioni divergono dai «valori» della maggioranza ma il discorso delle istituzioni e il racconto dei media divergono paurosamente dal modo di vedere e di sentire della gente. C'è un abisso in mezzo. È da lì che deve ripartire la ricucitura di cui parlava Mattarella, ossia la rifondazione d'Italia e il dialogo con l'Europa: rigenerare il senso della comunità. E può farlo solo una grande, ambiziosa rivoluzione conservatrice.Se vuole salvarsi questo Paese deve avviare quest'anno una grande rivoluzione conservatrice. Non solo un cambiamento né solo un ritorno alla sua tradizione, ma una vera e propria rivoluzione conservatrice. Da una parte ha bisogno di una svolta radicale, un rinnovamento vero nei metodi, nello stile, nei contenuti, negli assetti e nelle strutture pubbliche. È un Paese vecchio, stitico, asfittico, che ha paura del nuovo e del futuro, non fa figli e non fonda più nulla; è vecchio dentro, oltre che nelle strutture e negli organismi. Un Paese ingessato nella burocrazia, soffocato dalla pressione fiscale, scoraggiato da ogni tentativo di rischiare. Se non cambia, se non osa, l'Italia non si salva. Non viene cacciata dall'Europa ma vomita sé stessa.Rivoluzionare l'Italia per rivoluzionare l'Europa, dice bene Matteo Salvini. Ma farlo a partire dalle classi dirigenti, dai migliori e da chi fa, non dalle plebi e da chi non fa, come invece pensano i grillini. Luigi Di Maio ha come suo manifesto ideologico la poesia A' livella di Totò: ma si ricordi che A' livella si riferiva ai morti, mica ai vivi. Un Paese vivo deve saper ripartire dalle sue migliori energie, deve saper partire dai meriti e dalle capacità.Dall'altra parte un Paese non si salva se rinnega sé stesso, la sua identità, la sua storia, la sua cultura, la sua tradizione, le bellezze che ha ricevuto in dono dal passato, l'esperienza delle generazioni precedenti. Per questo è necessario che la rivoluzione sia anche conservatrice. Un Paese dove i morti superano i nati, i vecchi superano i giovani, tra chiese chiuse, edicole chiuse, librerie chiuse, paesi chiusi, non va da nessuna parte. L'Italia deve riscoprire il gusto e la passione di conservarsi, di avere memoria storica e sensibilità civile. Non basta sorvegliare i confini, come giustamente enuncia Salvini e non basta frenare i flussi migratori come altrettanto giustamente cerca di fare; bisogna poi che ci sia vita dentro quei confini, vi sia una comunità viva, un Paese che non è spaventato, non ha paura del nuovo, dell'estraneo e del futuro, ma sa difendere il suo passato, il suo presente e il suo avvenire. Insieme. A viso aperto.Ci sono molte cose, poi, in cui la rivoluzione coincide con la conservazione. Fare una rivoluzione demografica, rimettersi a far figli, rilanciare e tutelare le famiglie, ripopolare il sud e ogni provincia, sarebbe insieme un investimento sul domani e un ritorno a casa. Insomma, non basta rivoluzionare né basta conservare, si deve tentare l'ardita via di ripartire da entrambi.Per il 2019, Di Maio e Alessandro Di Battista hanno promesso il taglio agli stipendi dei parlamentari. Non si tratta di dimezzare lo stipendio, semmai dimezzare il numero dei parlamentari e raddoppiare la loro qualità, davvero scadente. Ma per l'anno nuovo non vogliamo demagogici palliativi contro qualcuno ma grandi riforme per l'Italia.Da troppo tempo noi italiani, noi osservatori, siamo seduti a vedere i fuochi d'artificio, limitandoci solo a mettere e togliere i like e le faccine. E «loro» che fanno e dicono solo per conquistare quei like, quelle faccine. È tempo di fare un passo avanti, sporgerci di più, rimetterci in gioco, esigere e orientare una rivoluzione conservatrice. Altrimenti non fallisce solo un governo, e una formula, ma si spegne una comunità, anzi una civiltà. Mi piacerebbe che questo compito fosse la nostra verità. Qui comincia l'avventura...
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






